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Ucraina, elezioni di guerra

Sono elezioni di guerra quelle organizzate domani in Ucraina dal nuovo regime ultranazionalista scaturito dal colpo di stato del febbraio scorso. E che non coinvolgeranno tutta la popolazione del paese. Per stessa ammissione delle autorità centrali saranno ben 4,6 i milioni di cittadini e cittadine che non potranno – e in moltissimi casi non vorranno – votare, in particolare nelle zone sudorientali del paese sottoposto ormai da mesi ad un tremendo assedio e a continui bombardamenti da parte delle forze armate di Kiev. Nel conteggio il governo ucraino ha inserito anche gli abitanti della Crimea, che subito dopo il golpe ha deciso di tornare a far parte della Federazione Russa. Fatto sta che sono circa una ventina le circoscrizioni in cui non saranno assegnati i seggi e nel nuovo parlamento entreranno meno dei 450 deputati previsti.

Scontata domani l’affermazione del cosiddetto ‘Blocco Poroshenko’, formato da alcuni importanti ras liberal-nazionalisti e da una consistente cordata di oligarchi attorno all’attuale presidente della repubblica, il miliardario Petro Poroshenko. I sondaggi della vigilia anticipano tutti la vittoria della coalizione formata dal suo partito Solidarietà e da Udar, il movimento guidato da Vitaly Klitschko. Ma probabilmente i vincitori non otterranno la maggioranza assoluta e per governare dovranno quindi venire a patti con altre forze politiche “meno moderate”, come ad esempio il “Fronte del Popolo” dall’attuale premier Arseni Yatseniuk, che non ha risparmiato critiche feroci al presidente accusandolo di condurre la guerra contro i ‘separatisti’ senza la necessaria determinazione. Negli ultimi mesi il ‘re del cioccolato’ Poroshenko, ex ministro degli esteri del governo di Yulia Tymoshenko e poi dell’economia in quello di Mykola Azarov contro cui i golpisti hanno animato la cosiddetta rivolta di Maidan, ha viaggiato in lungo e in largo per l’Europa e il resto del mondo, accreditandosi presso numerosi governi – compreso quello dei compiacenti Renzi e Mogherini – come il rappresentante legittimo dell’Ucraina, nonostante secondo la costituzione del suo paese sia ancora Viktor Yanukovich, defenestrato con il golpe di febbraio, il presidente legittimo del paese. Poroshenko ha rafforzato i legami con Bruxelles e con Washington, oltre che con la Nato – anche se ha dovuto rimandare sia l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica sia quello nell’area di influenza dell’Unione Europea, complice la continuazione della guerra negli oblast orientali – ma al tempo stesso ha cercato di ricomporre, per quanto possibile, i rapporti con Mosca, alternando aperture a ritorni di fiamme dell’offensiva militare contro le popolazioni russofone.

Soprattutto, Poroshenko ha cercato di rafforzare i legami con Angela Merkel nel tentativo di ancorare il suo potere al nucleo forte dell’Unione Europea, assediato com’è dalle forze estremiste del panorama politico ucraino – quando non apertamente neonaziste – che fanno maggiormente riferimento a Washington (e ad alcuni paesi dell’Europa orientale, come la Polonia) e alla sua strategia del muro contro muro con la Russia. Anche il suo alleato Vitaly Klitschko e il suo partito Udar, d’altronde, sono un prodotto della fondazione Konrad Adenauer della Cdu tedesca, partoriti qualche anno fa dalla cancelliera di Berlino proprio al fine di avere un utile strumento all’interno della scena Ucraina in vista di una destabilizzazione e di una crisi preparate evidentemente per tempo dai paesi occidentali in competizione tra loro.

Il problema principale per Poroshenko e per il governo che dovrà formare dopo il voto di domani è rappresentato dall’incapacità di risolvere militarmente la spaccatura – tutta politica, oltre che geopolitica e culturale – con le popolazioni russofone del sud-est. Incapacità alla quale l’oligarca e il suo entourage hanno tentato di porre rimedio cercando un accordo di minima con la Russia e che ha portato a un cessate il fuoco proclamato lo scorso 5 settembre presto sfociato di nuovo in combattimenti feroci. Nelle ultime settimane sono almeno 300 i civili del Donbass morti sotto le bombe a grappolo e i missili sparati dall’artiglieria di Kiev, per non parlare di centinaia di militari e di miliziani. Ed oggi la situazione è così tesa che si parla dell’imminente inizio di un’ennesima offensiva militare in un territorio che, anche contro i desiderata di Putin, si percepisce ormai come indipendente da Kiev e indisponibile ad una soluzione federale che dopo migliaia di morti, crimini di guerra e distruzioni consistenti sembra sinceramente irrealizzabile.

E il parlamento che uscirà dalle urne non aiuterà certo Poroshenko e l’Unione Europea a ripristinare quel minimo di normalità auspicata per portare avanti senza troppi scossoni il piano di assimilazione del paese da parte di Bruxelles e dei suoi interessi economici e geopolitici. Mentre l’attenzione dei media italiani è tutta puntata sulla provocazione del cosiddetto ‘Partito di Internet’ che alle elezioni presenta candidati travestiti da Darth Vader, in queste ore in tutto il paese fioccano le denunce per compravendita dei voti, con i diversi oligarchi, padroni incontrastati dei territori che controllano manu militari, intenti ad accaparrarsi i consensi necessari per entrare in parlamento o mandarci i propri fidati galoppini. Mentre nei fatti il Partito Comunista e ciò che rimane dell’ex maggioritario Partito delle Regioni hanno dovuto accontentarsi di una campagna elettorale semiclandestina, protagonisti della scena sono diventati i finanziatori e i capi dei battaglioni neonazisti inquadrati nella cosiddetta Guardia Nazionale, l’un contro l’altro armati: Andrej Bile­tskij del battaglione «Azov», Semën Semën­cenko del battaglione «Don­bass», Juruj Berezu del battaglione «Dnepr-1».

Sono proprio le milizie di estrema destra e gli oligarchi che le manovrano per affermare i propri interessi politici e di potere a impensierire gli ambienti presidenziali. Utilizzati come carne da macello contro le forze di sicurezza di Yanukovich e poi inviati a punire le popolazioni ribelli del Donbass dopo che era apparso chiaro che l’esercito regolare non era in grado di sostenere lo scontro con le motivatissime milizie popolari, i gruppi neonazisti rivendicano ora più potere. I membri dei battaglioni punitivi hanno spesso manifestato contro presidenza e governo accusati di lassismo nella guerra contro le Repubbliche Popolari, e sono arrivati addirittura ad attaccare il parlamento poche settimane fa, mentre in tutto il paese continuano aggressioni e devastazioni ai danni di esponenti politici, giornalisti e intellettuali dissidenti.

Poroshenko ha tentato di placare l’estrema destra attraverso qualche pesante concessione simbolica, come l’istituzione di due nuove feste nazionali: il 14 ottobre, anniversario della fondazione nel 1942 delle milizie dell’Esercito Insurrezionale Ucraino (Upa) alleate dei nazisti tedeschi e il 1 gennaio, data di nascita del loro capo, il famigerato Stepan Bandera.

Vedremo nelle prossime ore se basterà, o se chi ha spericolatamente pensato di utilizzare la violenza nazista per perseguire i suoi scopi non rimarrà a sua volta vittima del proprio spericolato gioco. E’ vero che dal punto di vista elettorale i partiti neonazisti – Svoboda e Pravy Sektor in particolare – non hanno un grande peso, ma è anche vero che sdoganati da Euromaidan hanno potuto costruire una infrastruttura politica e di potere non indifferente. In una situazione di crisi civile ed economica tragica come quella che sta vivendo l’Ucraina dopo il golpe, migliaia di miliziani armati e determinati e che godono di un sostegno crescente sia in patria che nelle cancellerie occidentali, potrebbero diventare l’ago della bilancia.

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