Il 21 novembre i nazigolpisti ucraini hanno celebrato il quinto anniversario dell’inizio di majdan. Il 25 novembre si apprestano a ricordare l’85° anniversario di quello che essi chiamano “holodomor” e che ha tutta l’aria di presentarsi, per moltissimi ucraini, come “kholodomor”.
Da fine anni ’90, la data segna il “Giorno del ricordo delle vittime del holodomor e delle repressioni politiche”. Nel 2003, l’ONU adottò una dichiarazione che esprimeva comprensione per la carestia che nel 1932-’33 colpì russi, ucraini, kazakhi e altre minoranze dell’URSS, ma, a differenza di Harvard e Kiev, la definiva tragedia e non “genocidio”.
Cosa intendono i neonazisti per “holodomor”? Si riferiscono alla siccità, ai miseri raccolti del 1931 e alla conseguente tremenda carestia che colpì anche parte dell’Ucraina negli anni 1932-1933 e che, a loro dire, fu di proposito indotta da quel maligno di Stalin, specificamente contro l’Ucraina. Per “kholodomor” (la fonia del termine è pressoché uguale: il primo sta a significare “morte per fame”; il secondo “morte per freddo”) gli antifascisti ucraini intendono ora il rischio di passare l’inverno all’agghiaccio, dato che Kiev non può assicurare il riscaldamento a moltissime famiglie e altrettante non sono in grado di pagare il gas, dato l’aumento delle tariffe imposto dal FMI.
Nessuno, e tantomeno nessuno storico, nega il fatto della morte per inedia di alcuni milioni di persone, negli anni 1932-’33, in diverse regioni cerealicole dell’URSS attanagliate dalla gravissima siccità del 1931. Ma solo i nazionalisti e i fascisti ucraini parlarono e parlano di “fame indotta volontariamente” dai bolscevichi russi, in particolare contro l’Ucraina; un mito messo in circolazione dalla propaganda goebbelsiana, al cui servizio passarono quei nazionalisti e poi, fino a oggi, sfruttato dalla narrazione antisovietica americana. Mentre lo storico Boris Borisov veniva censurato da Wikipedia per aver valutato dai 7 agli 11 milioni le vittime della depressione negli Stati Uniti, Valerij Panov nota su stoletie.ru che lo scorso ottobre il Senato USA ha approvato un progetto di risoluzione, secondo cui la carestia del 1932-’33 in Ucraina è qualificata come “genocidio” provocato “dal governo di Stalin per spezzare la resistenza all’occupazione comunista”: più o meno le stesse parole usate a suo tempo da Goebbels, che parlava di “milioni di ucraini deliberatamente eliminati dal governo sovietico”.
Dunque, “holodomor” contro l’Ucraina, dicono a Kiev. Gli storici russi Aleksandr Kolpakidi e Oleg Ajrapetov ricordano come, da quando si sono cominciate a tenere le statistiche, le zone cerealicole dell’Europa orientale abbiano conosciuto periodi ciclici di cattivi raccolti: stabilmente, ogni 5-6 anni, nella Russia centrale ogni 4 anni e cattivissimi raccolti ogni decina d’anni, e come questi abbiano sempre portato a grave inedia o carestie. Persino Lev Tolstoj ricordava la carestia di cui soffrirono oltre 40 milioni di russi nel 1891 e che causò la morte di più di due milioni di persone. Per carestia, tre milioni morirono in Russia nel 1902-1903 e ancora circa due milioni nel 1911. Poi ancora all’inizio degli anni ’20, a causa della guerra civile e dell’intervento straniero.
“Perché a Kiev non dichiarano “holodomor” le carestie zariste?”, chiede Kolpakidi. Per quanto riguarda la carestia che sarebbe stata scientemente provocata contro l’Ucraina, Ajrapetov ricorda come nel 1931 fossero state colpite tutte le regioni meridionali di Russia, Ucraina, Urali, Kuban, Caucaso settentrionale, Siberia occidentale, medio e basso Volga, oltre al Kazakhstan settentrionale. Anzi, in percentuale sulla popolazione totale, i morti in Kazakhstan furono il doppio che in Ucraina. Inoltre, tra le cause della fame, non vanno dimenticate le decine di milioni di animali, da lavoro e da carne, uccisi volontariamente dai contadini ricchi pur di non cederli a kolkhozi e sovkhozi.
I pubblicisti russi dell’epoca della perestrojka, ligi agli ammiccamenti d’oltreoceano, parlarono di oltre 7 milioni di morti in Ucraina, oltre 2 milioni in Kazakhstan e Kirgizija e 2,5 milioni in Russia; il Congresso USA si è fermato, per ora, al numero di 10 milioni nella sola Ucraina. Nel 2003, la francese INED, che pure addossa la responsabilità per la carestia alla “politica di confisca dei raccolti” attuata dai demoniaci comunisti, calcolava un numero di 4,6 milioni di deficit di popolazione ucraina – di cui 2,6 milioni i morti, 1 milioni le mancate nascite e 1 milione gli emigrati – cui aggiungeva i 12,5 milioni di morti della guerra, per spiegare le “conseguenze a lungo termine che ancora oggi pesano sullo stato della popolazione ucraina”. La rivista Ekspert ha scritto che vittime da fame e malattie legate a malnutrizione negli anni 1932-1933 furono circa 4,5 milioni in tutta l’URSS, di cui poco meno di due milioni in Ucraina.
Nel 2013, il sito ucraino mignews.com.ua scriveva di 7 milioni di morti in tutta l’URSS, compresi 3,5 milioni in Ucraina; ma, dopo majdan, le cifre continuano a balzavare da 2 a 10 milioni. Lo stesso sito ricorda come 23 paesi (USA, Australia, Canada, Spagna, Italia, Polonia, Paesi baltici, ecc.; ma non Gran Bretagna) parlino di “genocidio”, pur se in nessun documento ONU, Unesco o del Parlamento europeo figuri tale termine. Termine apparso per la prima volta nel 1978 in alcune pubblicazioni di ucraini, ex petljuriani e banderisti, fuggiti in Canada e USA dopo la Seconda guerra mondiale.
A proposito delle pretese secondo cui la carestia sarebbe stata “volontariamente organizzata” contro l’Ucraina, lo storico russo Nikolaj Starikov nota come nessun pubblicista occidentale si sia finora premurato di spiegare come mai i bolscevichi avrebbero procurato la morte di milioni di persone, quando è nota la grave deficienza di forza lavoro in piena epoca di industrializzazione e crescente pericolo di guerra. In risposta a pubblicazioni apertamente antisovietiche, quali “Comunismo e dilemma della liberazione nazionale” di James Mace, o “Il grande terrore” di Robert Conquest, il semplice calcolo demografico della popolazione ucraina (29 milioni nel 1926 e 37 milioni nel 1959, nonostante la guerra mondiale) sconfessi di per sé qualunque cifra messa insieme ad Harvard e a Yale.
Nel 1987, in “Fraud, famine and fascism: the ukrainian genocide myth from Hitler to Harvard”, Douglas Tottle ha dimostrato incontestabilmente come Conquest avesse usato immagini di bimbi morti di fame prese dagli archivi della prima guerra mondiale e rimesse in circolazione a metà anni ’30 da propagandisti yankee al soldo nazista. Lo scrittore ed ex collaboratore del KGB, Arsen Martirosjan, basandosi su fonti archivistiche, calcola i morti in Ucraina in circa settecentomila e giudica la cifra 7 milioni come risalente alle pubblicazioni naziste serie 145-RA e 154-RA della Seconda guerra; ricorda inoltre come proprio nel 1932-’33 in Ucraina e Caucaso settentrionale fosse scoppiata un’epidemia di tifo, la qual cosa non consente di calcolare separatamente i morti per fame. In base alle cifre dell’intera popolazione sovietica – 147 milioni nel 1926 e 170 milioni nel 1939 – Starikov conclude che sia difficile supporre “decine di milioni di morti” in tutta l’URSS nel 1932-’33 e riprende le parole dello storico statunitense Timothy Snyder, secondo cui l’ex presidente ucraino “Viktor Jushchenko ha reso un enorme servigio al proprio paese, parlando di 10 milioni di morti: tre volte tanto il numero” di 3,2 milioni, calcolato dall’Istituto ucraino per le ricerche socio-demografiche.
Tacendo sulle disastrose condizioni climatiche verificatesi all’epoca, a Kiev imputano la fame alle “requisizioni forzate” di grano da parte dello stato sovietico. Secondo le tabelle che Sergej Kara-Murza riprende dagli studiosi americani che hanno indagato la storia della collettivizzazione in URSS, si evince che nell’inverno 1932-’33, gli ammassi di grano allo stato non furono particolarmente elevati, così che a disposizione dei contadini era rimasta la stessa quantità di grano del 1934 (da 320 a 400 kg a persona) e molto più che nel 1936, anni in cui però non si verificò alcuna carestia.
A proposito dell’ultima “fatica” dell’americana Anne Appelbaum “Red Famine: Stalin’s War on Ukraine”, Svjatoslav Knjazev pone una “semplice domanda. Dov’è la logica nelle azioni del “tiranno sanguinario”? Perché avrebbe speso tante energie a fine anni ’20 per trasformare l’URSS, costruendo centrali elettriche, fabbriche, strade, migliorando le capacità tecniche dell’agricoltura, per poi, nel 1932, decidere improvvisamente di eliminare gli ucraini, salvo poi, nel 1933, precipitarsi disperatamente a salvarli, assicurando rifornimenti straordinari per 3 milioni di pud di grano, 23 milioni di pud di sementi, 6 milioni di pud di foraggio e 5 milioni di pud di generi alimentari?”.
La Appelbaum, foraggiata da Petro Poroshenko (un paio di anni fa fece notizia il suo improvviso e vertiginoso arricchimento, subito dopo majdan) per ripubblicare il libro in lingua ucraina, sponsorizzata da cupole quali il Council on Foreign Relations (associata al clan Rockefeller) e National Endowment for Democracy (legata alla CIA) e stimolata dalla sfrenata russofobia del marito, l’ex Ministro degli esteri polacco Radislav Sikorsky, non fa che ripercorrere le orme dei vari Conquest, Mace e degli “studiosi” yankee, allettata dagli appetitosi tornaconti di tali “ricerche”.
Aleksandr Kolpakidi conclude che il reale obiettivo degli attuali “storici” del “holodomor” sia quello di sviare l’attenzione degli ucraini dall’odierno reale “holodomor”, al compimento del primo quinquennio di majdan e dopo che ieri Poroshenko ha caratterizzato la guerra nel Donbass come “difesa dell’Ucraina dagli eredi di quegli “inumani” che inflissero il holodomor agli ucraini”. Un anno fa, l’ucraino Texty.org.ua classificava il paese, sulla base del livello salariale medio, come il più povero d’Europa. Quest’anno, The World Factbook della CIA lo pone al 187° posto mondiale per tasso di crescita della popolazione (0,04); al 190° per tasso di natalità (58 nati per 100 morti nel 2018), al 148° per aspettativa di vita (72,4 anni) alla nascita, con un’età media di 40,8 anni. La popolazione è passata dai 52 milioni del 1990, ai 45,5 del 2013, ai 42,3 del 2018.
L’odierno “kholodomor” – “morte da freddo”: con centinaia di cittadine, villaggi e anche interi quartieri della capitale lasciati all’agghiaccio dalla liberalizzazione e decentralizzazione dei servizi municipali essenziali – rispecchia una situazione in cui il FMI ha posto quale condizione per concedere ulteriori prestiti, l’aumento in ottobre del 23,5% della tariffa del gas, cui seguirà a gennaio un ulteriore 40%. E’ così che, dal 2013 al 2018, l’energia elettrica è passata da 0,2-0,3 grivne kw/h a 0,9-1,68; le tariffe domestiche da 2,41 grv/m2 a 5,85; il gas da 0,93 grv/m3 a 8,54; l’acqua da 3,18 grv/m3 a 19,59; l’energia da riscaldamento da 2,91 grv/m2 a 31,55 e passerà a 36,59 nel 2019, così come l’acqua calda da 16 grv/m3, a 74,53 e poi a 86,45 grivne. I salari medi, che erano di 3.619 grivne (443 $, quando 1 dollaro valeva 8 grivne) nel 2013, sono sì oggi triplicati a 9.042 grivne, ma sono pari a 290 $, con il dollaro che vale 27,7 grivne.
Ora sì che qualcuno sta condannando scientemente il popolo ucraino alla morte per inedia e freddo; ma non sono i comunisti. Le loro centrali risiedono a Washington, Bruxelles; la manovalanza è dei nazigolpisti di Kiev.
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