Il Parlamento di Belgrado, al termine di un lungo dibattito in aula protrattosi per oltre 12 ore, ha approvato nella tarda serata di ieri la revisione del bilancio 2014, che comprende le dure misure di tagli e cosiddetta austerità adottate nelle scorse settimane dal governo per “risanare le finanze”, “incentivare il settore privato” e “modernizzare il Paese”. Misure esplicitamente imposte al paese dall’Unione Europea in vista dell’avvicinamento della Serbia ai 28.
A favore del piano lacrime e sangue hanno votato 188 deputati (sul totale dei 250 del parlamento unicamerale), mentre i contrari sono stati solo 10.
Dal primo novembre scatteranno le riduzioni dei salari nel pubblico impiego e delle pensioni superiori ai 25 mila dinari (circa 210 euro). I salari dei dipendenti pubblici, già largamente insufficienti rispetto all’elevato costo della vita, verranno tagliati di circa il 10 per cento, mentre non vi saranno riduzioni – almeno per ora – degli assegni per il 61% dei pensionati che percepiscono meno di 25 mila dinari. Per 1.510.000 di pensionati con assegni al di sotto dei 40 mila dinari (336 euro) il taglio sarà pari al 10%, mentre la riduzione sarà superiore al 10% per chi ha una pensione di oltre 40 mila dinari.
Il premier Aleksandar Vucic, intervenendo in aula prima del voto, ha chiesto ai cittadini “un anno e mezzo di pazienza e risparmi”, sostenendo che nel 2016 la Serbia uscirà dal tunnel registrando “il tasso di crescita più alto in Europa”. “Abbiamo deciso i tagli per ridurre la differenza fra ciò che abbiamo guadagnato e quello che spendiamo, per ridurre il nostro debito e incrementare la crescita. Non vi sono alternative”, ha detto Vucic secondo il quale quest’anno il Pil registrerà un calo fra lo 0.3% e lo 0,4% sopratutto a causa delle catastrofiche inondazioni di maggio. Il prossimo anno, ha aggiunto, si prevede per la Serbia una crescita economica di circa l’1%.
Discorsi già sentiti, sacrifici già fatti, inutilmente, da altri popoli europei.
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