Mentre scriviamo non sono ancora noti i risultati definitivi delle elezioni organizzate ieri in Ucraina – almeno nei territori che controlla od occupa – dal regime nazionalista scaturito dal colpo di stato filoccidentale di febbraio. A rendere difficile il conteggio è sicuramente la forte differenziazione politica tra una regione e l’altra del paese, così come la forte disgregazione del quadro politico, caratterizzato da una consistente compravendita di voti – prezzo medio 12 euro – e dal proliferare di partiti personali fondati nelle ultime settimane da oligarchi in cerca di un posto al sole.
L’unico dato per ora certo è che il blocco che fa capo al presidente Petro Poroshenko non ha affatto sfondato come invece previsto dai sondaggi. Durante la notte il Fronte Nazionale del premier Arseniy Yatsenyuk ha addirittura superato la coalizione guidata dal ‘re del cioccolato’, tornata in mattinata in leggero vantaggio con il 22% dei voti. Al terzo posto, per ora, i nazionalisti del ‘partito’ filo-Ue Samopomich (“Ci aiutiamo da soli”) con l’11% circa, guidati dal sindaco di Leopoli, Andriy Sadovy. Dietro gli altri partiti liberal-nazionalisti e di estrema destra, che renderanno il parlamento preda degli scontri di potere tra i diversi rivoli della cosiddetta ‘rivoluzione’ di EuroMaidan.
Se i rapporti di forza dovessero essere confermati, Yatseniuk potrebbe chiedere e ottenere di guidare nuovamente l’esecutivo, e per Poroshenko e i suoi sarebbe una grana non da poco. Se è vero che dal punto di vista ideologico e soprattutto economico tra il presidente oligarca e il premier uscente non ci sono differenze degne di nota, è a livello di agganci internazionali che le strade tra i due si dividono. Se Poroshenko è un liberale pragmatico e incline ai compromessi, Yatseniuk è invece ferocemente antirusso e contrario ad ogni forma di negoziato sul futuro delle regioni del paese insorte dopo il golpe e trasformatesi in Repubblice Popolari. Ormai così indipendenti da Kiev che ieri neanche un’urna è stata aperta a Donetsk e Lugansk le cui popolazioni invece andranno al voto, per eleggere un parlamento autonomo, il prossimo 2 novembre. In ballo, inoltre, tra Poroshenko e Yatseniuk, ci sono anche i rapporti internazionali con i padrini del golpe di febbraio: mentre il primo è più incline a un rapporto privilegiato con Berlino anche se coordinato con Obama, il secondo tende più verso il muro contro muro caldeggiato da Washington e dai paesi dell’Europa orientale nemici giurati di Mosca.
Il voto di ieri ha comunque segnato il tramonto politico di quella che durante le manifestazioni in Piazza dell’Indipendenza a Kiev, sfociate poi nell’assalto violento ai palazzi del potere, veniva descritta dai media occidentali come la ‘pasionaria ucraina’. Il partito Patria – Batkivshchyna – di Yulia Tymochenko è letteralmente affondato dopo che Yatsenyuk e altri leader hanno deciso di staccarsi dall’ex premier finita in galera per malversazione, ed allo stato non è detto che la madrina della ‘rivoluzione arancione’ riesca a superare lo sbarramento del 5% e ad entrare alla Rada Suprema. Impresa che invece sembra essere riuscita al cosiddetto Blocco d’Opposizione, guidato dall’ex ministro dell’energia Iuri Boiko e sponsorizzato da due dei più importanti oligarchi del paese, Rinat Akhmetov e Dmytro Firtash. Un calderone formato da pezzi dell’ex Partito delle Regioni e di altre formazioni locali che si è avvicinato al 10% pescando consensi soprattutto nell’Ucraina centro-orientale, catalizzando i voti di quella parte della comunità russofona che ha deciso di andare alle urne.
Uno dei dati certi del voto di ieri è infatti l’aumento considerevole dell’astensionismo che sembra aver coinvolto soprattutto gli ucraini di lingua e cultura russa e gli elettori di sinistra. L’affluenza in quelle che avrebbero dovuto essere “le prime elezioni libere dell’Ucraina” da molti anni a questa parte, almeno stando alla propaganda dei partiti nazionalisti, ha appena superato il 52% degli aventi diritto – anche meno delle presidenziali di maggio – infliggendo un colpo non secondario alle aspirazioni del nuovo regime ad una legittimazione popolare. Particolarmente bassa l’affluenza alle urne in città importanti come Odessa o Kharkov, dove evidentemente l’adesione della popolazione al nuovo corso è assai poco solida.
Il Partito Comunista Ucraino, una delle forze più importanti della Rada fino alla sua messa fuori legge di fatto a partire dal golpe di febbraio, ha dovuto condurre una campagna elettorale di fatto clandestina, e non ha raccolto ieri più del 3% dei voti. «Gli elettori saranno costretti a votare sotto le canne dei fucili: e non in senso figurato» aveva d’altronde denunciato il segretario del PCU, Simonenko, ad una delegazione del Parlamento Europeo alla vigilia del voto.
Risultato al di sotto delle aspettative anche per il Partito Radicale – nazionalisti di ultradestra – di Oleh Lyashko, che invece i sondaggi davano in forte ascesa e che si sarebbe fermato al 7,5%; un’affermazione intorno al 6% per l’ex Partito Social-Nazionalista poi ribattezzatosi Svoboda, ponte tra i gruppi nazisti e i battaglioni punitivi e l’estrema destra di governo.
Non entreranno in Parlamento i nazisti di Pravyi Sektor, fermi al di sotto del 3% e che potrebbero contribuire già dai prossimi giorni ad aumentare l’instabilità politica in un quadro contraddistinto da una competizione feroce per il potere tra i diversi oligarchi. Dalle urne uscirà probabilmente una maggioranza filoccidentale netta, ma composita e litigiosa, il che potrebbe essere un problema non secondario per l’Unione Europea che invece aspira ad una rapida normalizzazione della situazione nel paese che, oltretutto, è alle prese con una crisi economica e sociale tremenda. Crisi che allo stato può solo peggiorare, creando le condizioni per un’ulteriore recrudescenza delle forze più estremiste e apertamente militariste, che potrebbero diventare punto di riferimento di quei settori di Maidan e dell’opinione pubblica reazionaria che non si accontentano di farsi da parte dopo aver costituito la ‘punta di lancia’ che ha reso possibile l’affermazione del nuovo regime. I 30 seggi alla Rada rimasti vuoti in rappresentanza delle popolazioni della Crimea e del sud-est che non hanno votato, d’altronde, rischiano di trasformarsi in una colpevole ammissione di fallimento per le forze nazionaliste egemoni, insieme ad un tasso di corruzione che dopo la cosiddetta “rivoluzione” è aumentato a dismisura. Argomenti questi che l’estrema destra nazionalista e neonazista già agita nelle piazze e nelle caserme prospettando una nuova Maidan contro gli alleati di ieri, accusati di essere troppo accomodanti con Mosca e di aver tradito il programma della rivolta dell’autunno.
Nel tentativo di accreditarsi come ‘uomo forte’ della situazione, ieri a sorpresa il miliardario Poroshenko era atterrato a Kramatorsk, città a qualche decina di chilometri da Donetsk strappata dall’esercito di Kiev alle repubbliche popolari durante l’estate e di fatto occupata militarmente dalle forze del regime contro la volontà di una popolazione che ha disertato i seggi, nonostante le minacce e le angherie dei battaglioni neonazisti che da mesi stazionano in quelle che sono di fatto le retrovie del fronte.
Poroshenko ha visitato un seggio elettorale a Kramatorsk ed ha dispensato una certa dose di demagogia a buon mercato che evidentemente però non è servita a molto stando ai risultati del voto: “Il vostro servigio all’Ucraina è un successo. Per me e per milioni di ucraini, voi siete degli eroi ai quali dobbiamo la nostra pace” ha detto il ‘re del cioccolato’ a favore di telecamera.
Per tentare di tornare in sella e concedere qualcosa a Yatseniuk, Poroshenko potrebbe ora ordinare una nuova offensiva militare contro le milizie di Donetsk e Lugansk, che da giorni ormai si preparano alla resistenza denunciando che Kiev, proprio durante le ultime fasi della campagna elettorale, ha ammassato truppe ed armi a ridosso del fronte.
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