La propaganda è un’arma fondamentale in qualsiasi guerra, e la usano tutte le parti in causa in grandi quantità. Ma anche nella propaganda è possibile scovare alcuni elementi di informazione su quanto avviene in un teatro di guerra.
Come questo lancio dell’agenzia di stampa Tmnews che ci racconta cose già emerse negli ultimi mesi: molti miliziani dello Stato Islamico – la maggior parte, stando ad alcune fonti – non sono né siriani né iracheni ma vengono da decine di paesi lontani anche migliaia di chilometri dai territori dove si combatte; ricevono un compenso in denaro in cambio dei loro servizi anche se spesso sono forzati a entrare nelle milizie del califfato sia grazie a un condizionamento ideologico, religioso e psicologico sia grazie a minacce; vengono drogati per indurli a combattere senza remore e senza eccessivi timori.
Sono elementi di informazione, come segnalavamo, che erano già noti ai governi e ai media occidentali che però per anni hanno taciuto in nome del fatto che, in fondo, l’Isis e altre organizzazioni jihadiste combattevano contro i nemici dell’occidente in Medio Oriente, in particolare destabilizzando e attaccando l’asse tra governo Assad in Siria, Hezbollah in Libano e il governo iraniano e le sue propaggini in Iraq. Ora che il ‘mostro’ del Califfato si è allargato ed è diventato incontrollabile e ingombrante le cancellerie europee e gli Stati Uniti si sono decisi a indire un’ennesima crociata per frenare ciò che a lungo si è tollerato e contribuito a far crescere, sostenuti dai media mainstream che non esitano anche ingigantire il fenomeno del fondamentalismo islamista se ciò serve a sostenere la crociata di Obama e soci.
Un voltafaccia che però cozza con il comportamento di alcune delle potenze locali – in primis la Turchia – che non ne vogliono sapere di abbandonare i figliocci dello Stato Islamico, ritenuti ancora utili per il perseguimento delle proprie mire egemoniche contro la Siria e contro i curdi.
Di seguito il lancio dell’agenzia Tmnews, nel quale naturalmente si parla della manovalanza, della carne da cannone gettata contro i nemici. I livelli superiori dello Stato Islamico sono assai più sofisticati, e assomigliano più ad un consiglio d’amministrazione di una grande multinazionale o ai tecnocrati di quei governi che ora inviano i propri eserciti in Medio Oriente con la scusa di combattere il “terrorismo islamico”.
Duemila dollari per combattere più di un anno in Siria con lo Stato islamico. Droga in grandi quantità per non sentire la stanchezza e il dolore. Lo hanno raccontato a Cnn ex combattente dell’Isis catturati dai combattenti curdi che hanno permesso al network americano di entrare nelle prigioni in cui sono detenuti.
Gli uomini vengono portato fuori dalla loro cella bendati. Il primo si chiama Karem, dice di avere 19 anni, e sostiene di essere stato pagato 2.000 dollari per combattere sul fronte siriano per oltre un anno. Ha delle prove: i segni di tre colpi che gli hanno penetrato lo stomaco durante un combattimento. “Ci drogavano. Pillole di allucinogeni capaci di farti andare in guerra senza dare importanza alla tua vita o alla tua morte”.
Karem – continua Cnn – ha anche detto che molti dei combattenti dell’Isis sono stranieri e di aver incontrato una volta un miliziano cinese. Il combattente ha inoltre ricordato che le persone che non si convertono vengono decapitate, e la pratica viene usata anche sulle done in caso non si vogliano coprire il volto.
“Un uomo – prosegue Cnn – che dice di chiamarsi Suleiman dice di essere siriano e sostiene di essere stato forzato a entrare nello Stato islamico per paura che facessero qualcosa alla sua famiglia. Ci hanno detto che combattevamo per la giustizia e per l’Islam. Ci hanno mentito. Hanno sfruttato la nostra condizione mentale e la nostra povertà”, continua Suleiman che dice di aver ricevuto 3.600 dollari per organizzare un attentato con una bomba in Kurdistan.
Un terzo si chiama Jaber. Il giornalista di Cnn gli ha chiesto cose gli avrebbe fatto se lo avesse incontrato quando faceva parte dell’Isis. “Saresti stato ucciso. E ci sono diverse morti. Loro ti avrebbero torturato, avrebbero potuto decapitarti o tagliarti le mani. NOn ti avrebbero semplicemente sparato in testa”.
I tre prigionieri dicono di essersi pentiti e chiedono ai militari curdi il perdono. Ma le guardie della prigione sostengono che se li lasciassero andare ritornerebbero di certo a combattere con lo Stato islamico.
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