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Il governo Renzi manda 500 soldati in Iraq. Arriva anche la Nato?

Gli ultimi soldati italiani si ritirarono dall’Iraq occupato insieme a statunitensi e soci in nome del ritorno della democrazia, nel dicembre del 2006. Pochi anni dopo media e governi sentenziarono che finalmente, dopo decenni di guerre, embarghi, attentati, bombardamenti e morti “la guerra in Iraq era finita”. 

Ma la realtà dei fatti si è presto incaricata di smentire quelle ottimistiche valutazioni.
Nelle scorse settimane il governo Renzi, con la ministra Pinotti in prima fila, aveva già deciso di inviare in Medio Oriente un certo numero di militari e di caccia, affermando che si trattava del contributo di Roma alla ‘coalizione contro l’Isis’ che vede protagonisti gli Stati Uniti e le petromonarchie della penisola arabica, oltre a Gran Bretagna, Francia e Germania accorsi per contendere a Washington l’egemonia nell’area.
Sembrava che – nonostante la gravità di una decisione mai votata dal parlamento italiano – tutto finisse con un pugno di soldati e qualche aereo da bombardamento da poter vantare come indispensabile contributo del governo a guida Pd alla ‘lotta contro il terrorismo’.
Ma è di queste ore la notizia che l’Italia ha deciso di inviare nel nord dell’Iraq più di 500 soldati, tra l’altro pare dopo aver dovuto scontrarsi con i comandi militari statunitensi a capo dell’operazione “Inherent Resolve”, che evidentemente non erano proprio entusiasti dell’arrivo del contingente di Roma. Che nel caso avrebbero voluto spedire assai più a sud – tra Baghdad e Nassiryah – lontano da un’area evidentemente più strategica per il controllo dell’intera regione.
Il compito dei soldati italiani sarà ufficialmente quello di sostenere le milizie agli ordini del governo regionale curdo di Erbil, un’entità di fatto in competizione con quello di Baghdad e legata invece a doppio filo non solo a Washington, ma anche a Israele che “tollera” l’Isis in funzione anti Hezbollah e anti Assad e anche al regime turco che ormai neanche prova più a nascondere il proprio sostegno di miliziani del Califfato che fanno strage di curdi in tutta la regione.
La base degli italiani sarà stabilita presso l’aeroporto di Erbil dove sono già acquartierate le truppe e i servizi di intelligence degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia e della Germania.
Dei 525 soldati incaricati di contrastare lo Stato Islamico 220 appartengono all’Aeronautica e sono già operativi da ottobre in tre diverse basi aeree del Kuwait insieme ad un aereo da rifornimento Boeing KC 767A, 2 droni Predator e 4 bombardieri Tornado. Altri 250 soldati, aggiunti alla missione, appartengono invece all’Esercito.
Secondo Gianandrea Gaiani de Il Sole 24 Ore, “fonti che hanno chiesto l’anonimato” informano che gli italiani dovrebbero essere comandati a turno da un comandante italiano e da uno tedesco, nell’ambito di una missione di fatto guidata da Berlino alla quale starebbero per unirsi piccoli contingenti militari provenienti anche da Olanda, Belgio e Danimarca.
Nel frattempo alcuni “soldati curdi” – quei peshmerga che fuggirono a gambe levate davanti ai primi attacchi dei miliziani jihadisti lasciando intere città indifese – stanno per arrivare in Italia per essere istruiti all’uso di armamenti dismessi quali mitragliatrici pesanti, blindati e armi controcarro che dovrebbero essere inviate a Erbil prossimamente insieme a un nuovo carico di munizioni prodotte decenni fa in Unione Sovietica, prelevate dal famoso arsenale di armi che furono sequestrate ai croati nel 1994 e da allora ammassate nei magazzini italiani. 
Sempre secondo Gaiani – normalmente bene informato – una cinquantina di militari italiani saranno assegnati con compiti di consulenza presso i comandi iracheni a Baghdad e presso il quartier generale dell’operazione “Inherent Resolve” guidata dal generale statunitense James Terry.
Di fatto il governo Renzi sta decidendo l’invio di una consistente missione militare all’estero e il coinvolgimento dell’Italia nell’ennesima guerra (poco convenzionale ma pur sempre guerra) senza coinvolgere il paese e neanche un parlamento che ormai è completamente svuotato ed esautorato. Secondo la versione ufficiale di Mogherini e Pinotti, l’invio dei soldati italiani nell’area è fondamentale per evitare una catastrofe umanitaria e per respingere gli assalti degli islamisti contro i curdi. Se questa è la mission i soldati e i caccia italiani rivolgeranno le loro armi anche contro i turchi, che bombardano le postazioni del Pkk, permettono all’Isis di tenere nel sud dell’Anatolia le proprie basi e di sconfinare in territorio iracheno e siriano? Nel momento in cui i contingenti militari di Washington e delle petromonarchie dovessero utilizzare la propria massiccia presenza in Iraq per iniziare l’invasione della Siria e perseguire la destituzione del suo governo – obiettivo non certo celato – cosa faranno le truppe italiane?
L’ipocrisia di questa operazione e della sua copertura ideologica sembra abbastanza evidente.
Una scelta gravissima, tenendo conto del fatto che presto ad affiancare le forze di una missione che non ha la copertura dell’Onu ma comunque appare come guidata da una coalizione internazionale relativamente ampia potrebbero arrivare le forze della Nato. Sarebbe stato lo stesso governo iracheno, oltre al Qatar, a chiedere che sia l’Alleanza Atlantica a farsi carico dell’addestramento delle forze locali da impiegare contro i miliziani islamisti. Gli Stati Uniti hanno già chiesto agli alleati – Italia compresa – di mettere a disposizione dell’eventuale missione delle unità di forze speciali da impiegare in prima linea anche nel Kurdistan iracheno dopo che sono già entrate in funzione nelle aree di Mosul, Baji e Ramadi, composte da statunitensi, britannici e australiani. Secondo alcune indiscrezioni anche la Spagna sarebbe disposta ad inviare le sue truppe speciali nel sud del paese dilaniato, e proprio in queste ore il premier Mariano Rajoy ha annunciato l’invio di 300 “istruttori”. 
Anche Washington, Londra e Berlino hanno annunciato recentemente l’invio di parecchie centinaia di militari in aggiunta a quelli già impegnati in Iraq. Segno che il “sostegno” al paese distrutto dalla guerra civile proprio grazie all’invasione straniera sta diventando rapidamente una nuova occupazione.

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