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Turchia: tutto il potere a Erdogan, a testa bassa contro giornalisti e Gulen

Non ha tutti i torti il “sultano” di Ankara quando, dal suo punto di vista, invita i governi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti a tacere e a farsi i fatti propri rispondendo alle critiche sull’arresto di numerosi giornalisti su mandato di una magistratura turca sempre più asservita alla cordata di Erdogan. Quando il governo della democratica Spagna chiudeva manu militari giornali quotidiani, riviste e radio nel Paese Basco incarcerando e torturando direttori e giornalisti non una voce si levò contro Madrid, solo per citare i casi più eclatanti.

Ma questa volta a violare in modo brutale la libertà di stampa è stato un personaggio a capo di un governo che si sta sempre più autonomizzando da Ue e Usa nei confronti dei quali i toni di Erdogan sono sempre più polemici, e questo spiega le numerose critiche indirizzate al presidente turco dopo la retata di due giorni fa. Anche perché a finire nel mirino della repressione non sono stati questa volta i quotidiani dell’estrema sinistra o della comunità curda – la cui chiusura in passato non ha destato alcun clamore dalle nostre parti – ma soprattutto quelli di Zaman. Uno dei quotidiani più letti del paese, per anni fiero sostenitore dell’Akp e della sua guida suprema impegnata nell’ascesa da sindaco di Istanbul a premier e poi a capo dello stato e solo recentemente diventato strenuo oppositore dell’esecutivo dopo la rottura del suo proprietario – Fethullah Gulen, fondatore di un’associazione per la lotta contro il comunismo nel lontano 1965 – con la cupola dell’islamismo liberista in salsa turca. 

E’ proprio contro Gulen e la sua confraternita/rete imprenditoriale Hizmet – di destra, conservatrice e islamista quanto i propri competitori nell’Akp – che Erdogan ha deciso con la retata di lunedì di affondare la lama colpendo giornalisti e poliziotti fedeli ad un vero e proprio contropotere di tipo politico ed economico che a suo dire – e non ha tutti i torti, anche stavolta – tenta di contrastare il proprio rafforzamento.
In ballo, non è un segreto, c’è la trasformazione della Repubblica turca in Repubblica Presidenziale, progetto da tempo caldeggiato da Erdogan e dalla sua cerchia e che i maldestri tentativi di Gulen e dei suoi tenta di dinamitare per ora senza alcun esito. Di queste ore la notizia che il capo dello Stato, a partire dal prossimo 5 gennaio, presiederà il consiglio dei Ministri ogni due mesi rafforzando ulteriormente il proprio controllo sull’esecutivo. “Che vi piaccia o meno il presidente userà le sue prerogative” ha detto Yildirim, uno dei portavoce di Erdogan, in parlamento, rispondendo alle critiche dell’opposizione che accusa il “sultano”  di concentrare nelle sue mani sempre più potere. La decisione è però in linea con la Costituzione turca, che prevede “un sistema semi-presidenziale di fatto” che Erdogan vuole forzare verso un presidenzialismo totale. Inoltre, secondo le anticipazioni pubblicate dai media turchi, per ogni dicastero chiave verrà istituito un rettorato ad hoc composto da advisor che seguiranno e valuteranno il lavoro del governo, inviando report alla segreteria della presidenza della Repubblica che terrà aggiornato il presidente sull’operato dell’Esecutivo. I consulenti non saranno incaricati solo di monitorare l’azione dei ministri, ma si incontreranno per proporre nuove idee, in maniera simile a un “think tank” di fatto sovradeterminante rispetto al governo.
Sul fronte della repressione, ieri i giudici del tribunale di Istanbul hanno sentenziato che rimarranno in carcere il direttore del quotidiano Zaman Ekrem Dumanli e quello dell’emittente Samanyolu Hidayet Karaca, arrestati lunedì insieme ad altri colleghi, funzionari e poliziotti accusati di aver finanziato e diretto un’organizzazione armata, di contraffazione e calunnia. Per gli inquirenti gli imputati – tra i quali Tufan Erduger, ex Presidente dell’Ufficio per la Lotta Contro il Terrorismo di Istanbul – avrebbero preso parte a un complotto per fare arrestare l’imam Mehmet Dogan, un personaggio inviso alla confraternita per le sue critiche a Gulen. Un’operazione riuscita, secondo i magistrati, visto che nel 2010 il religioso fu arrestato e tenuto in cella per 17 mesi perché accusato di far parte di al-Qaeda prima di essere più o meno scagionato.

“Non si può fare marcia indietro dalla democrazia” ha detto Dumanli ai giornalisti mentre veniva condotto dagli agenti all’ospedale di Eyup a Istanbul per i controlli sanitari definiti “di rito”. Sono stati invece liberati 11 dei 29 arrestati nel corso della maxi retata, tra cui il regista e gli scenografi della serie tv “Tek Turkiye” e i giornalisti di Zaman Huseyin Gulerce e Ahmet Sahin. Secondo alcuni analisti la retata di lunedì potrebbe essere solo l’inizio di un’ondata repressiva senza precedenti contro la stampa vicina a Gulen e contro i media critici in genere.
Secondo alcune indiscrezioni i Pm ora punterebbero all’arresto di Gulen in persona. Lo afferma Fuat Avni, uno pseudonimo dietro cui si nasconderebbe una talpa della confraternita nella polizia, che giovedì scorso aveva anticipato su Twitter l’incipiente retata. L’ipotesi non è stata né confermata né smentita dal sostituto procuratore di Istanbul Orhan Kapici, ma i giudici avrebbero già preparato una richiesta di estradizione per Gulen, da tempo autoesiliatosi negli Stati uniti, e presto la invieranno al ministero della Giustizia turco perché la trasmetta all’Interpol, ha scritto ieri il quotidiano pro-governativo Yeni Safak.

“Gli individui che mettono in pericolo la sicurezza nazionale avranno la risposta che si meritano, che siano giornalisti, o meno” ha assicurato Erdogan parlando di “un inchiesta condotta da magistrati indipendenti e del tutto in linea con le leggi”.

Ma martedì migliaia di persone erano scese in piazza ad Istanbul davanti al quartier generale della polizia per protestare contro gli arresti. Per l’opposizione parlamentare l’operazione repressiva rappresenta un “golpe”. “Nei Paesi democratici non si punisce la libertà di stampa” hanno dichiarato in un comunicato congiunto l’Ordine e il sindacato dei giornalisti turchi, sostenuti da alcune associazioni internazionali per la libertà di stampa e dall’Unione Europea. 
Assai più interessanti le prese di posizione della sinistra. Ad esempio di Ertugrul Kurkcu, del Partito Democratico dei Popoli (HDP), secondo il quale gli arresti costituiscono “colpo basso alla libertà di stampa” ma “Le operazioni in atto dimostrano che il conflitto tra il Governo e la comunità di Gülen continua. Si tratta di una lotta di potere tra parti che non hanno ragione”.

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