Ci sono notizie che valgono quanto un saggio scientifico sulla direzione presa dal capitalismo in crisi. Tra le tante conseguenze, infatti, c’è certamente l’aumento esponenziale delle disegualianze, sia patrimoniali che reddituali. E la difficile convivenza di ceti situati ai poli opposti della scala sociale, o perlomeno a grandi distanze reciproche.
La notizia è questa. Uno degli ingegneri incaricati di stendere un piano di sviluppo edilizio per Manhattan – l’isola che rappresenta il cuore di New York, ospita Wall Street e tutto ciò che riguarda il business globale – ha immaginato di costruire ingressi diversi per l’accesso a un edificio particolarmente lussuoso, ma che riserva alcuni piani a 55 condomini con reddito notevolmente più basso della media del palazzo.
Il problema che si è trovato di fronte l’ingegnere è un derivato classico dell’ipocrisia dominante anche nel sistema Usa. L’edificio fa parte infatti dell’Housing Inclusionary Program, uno tra i tanti promossi per “ridurre la disuguaglianza”; in particolare, offrendo alloggi a prezzi accessibili nelle zone di pregio (ammettiamolo: il concetto “di pregio” newyorkese è del tutto diverso dal nostro).
Intento lodevole, certamente, ma complicato da realizzare. Immaginatevi voi un George Soros o equivalente che entra dallo stesso portone e si ritrova nello stesso ascensore con un normale impiegato di una delle tante aziende che quotidianamente manda sul lastrico… C’è il serio pericolo che al povero licenziato di turno possa saltare in testa di scaricare la sua 357 magnum sul finanziere, anziché – o prima di – suicidarsi.
Meglio separare gli ingressi, dunque, non si sa mai. Una dimostrazione “ingegneristica” della contrapposizione tra interessi opposti, tra classi che la retorica padronale descrive sempre come “sulla stessa barca”. Ma non riescono a stare nello stesso palazzo…
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