Improvvisamente la situazione che sembrava avviata verso una relativa distensione sembra vivere una nuova escalation.
La riunione prevista ieri a Minsk tra le delegazioni della Giunta ucraina e quelle delle Repubbliche Popolari per consolidare la tregua in atto dal 9 dicembre e discutere di questioni riguardanti il possibile ritorno del Donbass sotto l’autorità di Kiev nel quadro di un paese ‘federalizzato’ è stata improvvisamente cancellata.
Secondo varie fonti è stato il regime di Kiev a bloccare tutto, ma poi anche Vladislav Deinego, capo della delegazione della Repubblica Popolare di Lugansk, aveva affermato che “I rappresentanti delle Repubbliche Popolari non parteciperanno ai negoziati di venerdì”. Poco prima il capo negoziatore della Repubblica di Donetsk, Denís Pushilin, aveva informato che nonostante i suoi avessero completato attraverso l’intermediazione dell’Osce tutte le procedure previe alla riunione di Minsk, erano stati ignorati dall’Ucraina.
Poi la cancellazione della prevista seconda riunione del Gruppo di Contatto di Minsk con la mediazione di Russia e Osce è stata confermata dal capo ufficio stampa del ministero degli esteri bielorusso Dmitri Mirónchik.
Sembra che a causare la fibrillazione sia stato il mancato scambio di prigionieri che secondo la road map pattuita tra le due parti avrebbe dovuto tenersi prima del previsto incontro di ieri a Minsk. Nessun accordo raggiunto quindi finora su altri importanti punti del negoziato in stallo, come ad esempio il ritiro dell’artiglieria pesante ad alcuni chilometri di distanza dal fronte o l’apertura di corridoi umanitari per permettere l’assistenza delle popolazioni assediate del Donbass. A più di tre mesi dall’accordo sul ripiegamento dell’artiglieria pesante ad almeno 30 chilometri dal fronte, raggiunto a Minsk nell’ambito del patto firmato il 20 settembre, nessun passo avanti è stato fatto su questo punto.
E’ soprattutto un altro dei punti che avrebbero dovuto essere al centro dei colloqui di ieri a preoccupare. L’organizzazione Amnesty International – che certo non può essere considerata vicina ai ribelli del Donbass e tantomeno alla Russia – ha affermato mercoledì scorso che nei territori orientali dell’Ucraina è in atto una “catastrofe umanitaria”, denunciando che i battaglioni di volontari di Kiev – quelli formati per lo più da militanti ultranazionalisti e neonazisti – bloccano sempre più spesso gli aiuti umanitari diretti verso la martoriata regione vittima ormai da molti mesi di bombardamenti ed embargo.
“Con l’arrivo dell’inverno, la situazione già disperata dell’Ucraina orientale sta peggiorando perché i battaglioni di volontari impediscono che gli aiuti medici ed alimentari arrivino a chi ne ha bisogno. Non è un segreto che la regione stia affrontando un disastro umanitario e che sono molti gli abitanti che rischiano di morire di fame” ha denunciato Denis Krivosheev, direttore del Programma Regionale per l’Europa e l’Asia Centrale di Amnesty International.
Krivosheev ha sottolineato che da quanto il regime di Kiev ha sospeso il pagamento dei salari, delle pensioni e dei sussidi sociali alla popolazione dei territori ribelli, metà della popolazione non è in grado di alimentarsi e che i battaglioni punitivi “agiscono come bande di rinnegati” insistendo sul fatto che “negare il cibo alle persone intrappolate dal conflitto è contrario al diritto internazionale e i responsabili di questo devono risponderne”.
Secondo le ultime informazioni diffuse da Amnesty, i battaglioni neonazisti, tra i quali il Dnipro-1 e Aidar, hanno bloccato 11 strade che portano alle Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk, impedendo il passaggio di alcuni convogli di aiuti – alcuni dei quali inviati da istituzioni internazionali e associazioni di solidarietà operanti in vari paesi – ed hanno posto come condizione per lo sblocco degli aiuti la immediata liberazione di alcuni loro miliziani catturati dalle forze armate della controparte. La scorsa settimana il battaglione Dnipro-1 ha impedito il passaggio di quattro convogli carichi di aiuti umanitari inviati dall’oligarca Rinat Akhmetov. “Siamo in guerra con loro e stiamo versando il nostro sangue, ma al tempo stesso li sfamiamo” è stato il commento caustico del vicecomandante del Dnipro-1, Vladimir Manko.
Secondo le ultime notizie diffuse dalle agenzie di stampa internazionali il previsto scambio di prigionieri sarebbe stato ritardato di alcuni giorni ma sarebbe cominciato proprio ieri. L’operazione – iniziata a gruppi di dieci prigionieri alla volta vicino alla città di Kostiantynivka (45 km a nord della roccaforte ribelle di Donetsk) – dovrebbe riguardare complessivamente 222 guerriglieri e 150 soldati e volontari ucraini. Fonti dell’Afp sostengono che a vigilare sullo scambio sono presenti sul campo alcuni rappresentanti dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Ma la mossa non sembra preludere a una particolare distensione visto che il regime di Kiev proprio nelle ultime ore ha ordinato la sospensione – adducendo generiche “ragioni di sicurezza” – di tutti i transiti ferroviari e su strada diretti verso la Crimea, la penisola sul Mar Nero annessa lo scorso marzo alla Russia dopo un plebiscito popolare.
Da Mosca intanto arriva la risposta alla decisione adottata nei giorni scorsi dal parlamento ucraino di cancellare il proprio status di ‘paese neutrale e non allineato’, misura previa all’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica.
Vladimir Putin ha approvato la nuova versione della dottrina militare della Russia nella quale si sottolinea che la Nato è una minaccia primaria per la sicurezza del Paese. Il testo diffuso dal Cremlino afferma di preoccuparsi per «il rafforzamento delle capacità offensive della Nato direttamente alle frontiere russe, e delle misure prese per dispiegare un sistema globale di difesa antimissile» nell’Europa orientale. Da Mosca il viceministro della Difesa ha avvertito che la Russia romperà le relazioni con l’Alleanza Atlantica – già al minimo dopo il sostegno occidentale al colpo di stato nazionalista di febbraio in Ucraina – se la Nato ingloberà Kiev. “La decisione del Parlamento ucraino di eliminare lo status di paese non allineato non minaccia, per il momento, la sicurezza russa visto che si tratta di una risoluzione di tipo politico. Ma se questa decisione dovesse avere in futuro conseguenze militari noi reagiremo adeguatamente e romperemo totalmente le relazioni con la Nato e ristabilirle diventerà praticamente impossibile” ha avvertito Anatoli Antónov.
A favore del testo che mette fine alla neutralità ucraina e che afferma che tra le priorità del paese c’è l’integrazione nello spazio politico, economico e giuridico europeo allo scopo di divenire membri di Ue e Nato hanno votato due terzi dei deputati della Rada e l’opposizione del “Blocco” – erede del Partito delle Regioni del defenestrato presidente Yanukovich – è stata assai flebile.
La Nato ha naturalmente accolto con favore la decisione del regime di Kiev, affermando con incredibile faccia tosta: «Rispettiamo la decisione della Rada ucraina (…) L’Ucraina è uno stato indipendente e sovrano, e a esso soltanto spetta assumere decisioni sulla propria politica estera».
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