Non ce l’ha fatta la maggioranza di governo a far eleggere dal parlamento di Atene il successore dell’attuale presidente della repubblica Karolos Papoulias il cui mandato scade a marzo.
Il candidato governativo Stavros Dimas, 73 anni, membro del partito di destra Nea Dimokratia, più volte ministro ed ex commissario europeo, ha ottenuto solo 168 voti rispetto ai 180 necessari per essere eletto alla terza e ultima votazione di questa mattina.
Per la coalizione governativa è andata anche peggio del previsto, visto che di fatto Samaras e Venizelos oggi hanno raccattato esattamente gli stessi voti della scorsa seduta, e non sono riusciti a convincere nessun altro deputato indipendente (per lo più transfughi dai partiti di governo, ma anche da Syriza e da Alba Dorata) a votare per il candidato alla presidenza della repubblica anche solo per evitare lo scioglimento anticipato dell’assemblea e quello che per l’establishment e la stampa ellenica e internazionale rappresenta una sorta di ‘salto nel buio’ del paese.
Al primo turno il 17 dicembre scorso Dimas aveva ottenuto 160 preferenze e 168 al secondo turno il 23 dicembre, esattamente gli stessi di oggi.
Il fallimento della maggioranza di governo – centrodestra più socialisti – porterà, impone la legge greca, allo scioglimento del parlamento entro dieci giorni e alla convocazione di nuove elezioni politiche tra poche settimane, probabilmente il 25 gennaio prossimo.
Di fatto la campagna per quello che si annuncia come uno scontro al vetriolo è già iniziata nei giorni scorsi, quando ormai appariva chiaro che le possibilità che il governo targato troika potesse evitare le elezioni anticipate erano assai remote.
Le elezioni in vista rappresentano a tutti gli effetti un vero e proprio referendum pro o contro la troika. Da una parte Nea Dimokratia, che si presenta come l’argine alla vittoria della sinistra radicale e al fallimento definitivo del paese, dall’altra Syriza – probabilmente in accordo con i socialdemocratici di Dimar – che chiede ai greci di votare compattamente per un’alternativa di governo che punti su un alleggerimento dell’austerity imposta dai creditori internazionali in cambio di centinaia di miliardi di euro di prestiti. Alexis Tsipras, il leader del partito di sinistra nato da una federazione tra gli ex comunisti del Synaspismos, gruppi marxisti ed eco-socialisti e transfughi dal Partito Socialista punta in particolare su una negoziazione e su una ristrutturazione del debito ellenico che permetta ad un eventuale governo progressista di investire ingenti risorse nella ricostruzione dello stato sociale distrutto in anni di politiche dettate dall’Ue e dal Fmi.
Ma non è affatto scontato che Syriza riuscirà a ottenere i voti – e i seggi – sufficienti a governare, e dalle legislative potrebbe uscire un parlamento di fatto ingovernabile. I sondaggi più recenti danno la sinistra in testa su Nea Dimokratia – 27,2% contro 24,7% secondo Kapa Research per To Vima, 28,3% contro 25% secondo Alko per Proto Thoma – ma con uno scarto in calo e comunque non sufficiente ad assegnare a Tsipras la maggioranza assoluta dei seggi. Scarsa è inoltre la possibilità per i socialdemocratici di Dimar e per i Verdi, i due possibili partner di un governo con Syriza, di oltrepassare la soglia di sbarramento.
Sulle preferenze degli elettori pesa sicuramente la campagna di terrorismo psicologico già iniziata dall’establishment ellenico e da quello europeo che descrive una possibile vittoria di Syriza come una ‘catastrofe’ che porterà la Grecia definitivamente a fondo. Basta vedere l’ennesimo tonfo della Borsa di Atene questa mattina – mentre scriviamo il listino è a meno 11% – che si trascina dietro quasi tutte le piazze europee, per capire da che parte sono schierati i mercati finanziari internazionali.
Ieri in un’intervista al quotidiano Bild, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble ha allertato sul fatto che “nuove elezioni non cambieranno il debito greco. Ogni nuovo governo dovrà comunque rispettare gli accordi presi dai suoi predecessori”, ha precisato quello che molti considerano il vero capo dell’esecutivo di Berlino. Il governo tedesco e le istituzioni dell’Unione Europea stanno stringendo sulla Grecia un meccanismo di ricatto che potrebbe si far infuriare e radicalizzare la parte più attenta dell’opinione pubblica ellenica, riportando però all’ordine i settori popolari più timorosi.
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