Immediata la reazione del governo israeliano alla richiesta ufficiale dell’Anp di aderire al Trattato di Roma che dà accesso alla Corte penale internazionale, e quindi alla possibilità di chiedere un’indagine sui crimini di guerra israeliani contro la popolazione di Gaza, ad esempio.
Ieri il capo del governo occupante, Netanyahu, ha ordinato di congelare il trasferimento all’Autorità nazionale palestinese di circa 127 milioni di euro di dazi doganali raccolti per conto delle autorità palestinesi. In base ad accordi bilaterali, Israele raccoglie di norma dazi doganali per conto dell’Anp e ne versa l’importo complessivo a Ramallah una volta al mese. La decisione del congelamento dei fondi è stata presa venerdì in un vertice fra il premier Benyamin Netanyahu, il ministro della Difesa Moshe Yaalon e il ministro per le Questioni strategiche Yuval Steinitz.
Dura la reazione di Saeb Erekat, il capo negoziatore palestinese: «sono soldi palestinesi e quindi la decisione è contraria alla legge internazionale. È un crimine di guerra che va ad aggiungersi ai crimini commessi da Israele contro il popolo palestinese».
Se Israele non annullerà il congelamento di dazi doganali destinati all’Anp, ha detto ancora Erekat, potrebbe essere annunciato nel prossimo futuro lo scioglimento dell’Autorità nazionale palestinese. Erekat ha quindi difeso la recente iniziativa diplomatica palestinese al Consiglio di sicurezza dell’Onu e la firma di 20 Convenzioni internazionali (fra cui lo Statuto di Roma) in quanto, ha precisato, “siamo determinati a difendere i nostri diritti, ma in maniera non violenta nel contesto della visione dei Due Stati per i due popoli”.
Non è la prima volta che Israele congela il trasferimento mensile delle tasse ai palestinesi: una simile sanzione era stata imposta nell’aprile 2014 dopo che il presidente palestinese Mahmoud Abbas aveva presentato domanda di adesione ad una serie di trattati e convenzioni internazionali.
La decisione dell’Anp di sottoscrivere il Trattato di Roma sembra aver letteralmente portato Tel Aviv sull’orlo di una vera e propria crisi di nervi.
A detta dell’estremista Avigdor Lieberman, ministro degli esteri di Israele, la mossa del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, che lo scorso 31 dicembre ha firmato la richiesto di adesione alla Corte dell’Aia, “sancisce la fine degli accordi di Oslo” stipulati nel 1993. Lieberman ha anche duramente attaccato i parlamenti dei paesi dell’Unione Europea che negli ultimi mesi hanno approvato il riconoscimento della Palestina come ‘stato indipendente’ e ha affermato che “hanno così scritto un nuovo capitolo nei Protocolli dei Savi di Sion”. Deputati importanti nel Parlamento europeo e nei parlamenti di Svezia ed Irlanda, ha aggiunto, “hanno mentito spudoratamente”, e come la Cecoslovacchia nel 1938, anche Israele “è ora abbandonato al suo destino” dall’Europa.
Parole forti, fuori misura, che dimostrano il nervosismo della classe dirigente israeliana che si sente, a ragione, sempre più isolata da parte dei tradizionali sostenitori internazionali oggi più interessati ad un ruolo diretto in un Medio Oriente normalizzato che a continuare a concedere a Israele carta bianca. Significativo l’episodio in cui, nei giorni scorsi, un gruppo di coloni ha preso a sassate i rappresentanti diplomatici statunitensi arrivati in un campo dove gli estremisti sionisti avevano sradicato circa 5000 alberi di olivo da poco piantate dai contadini palestinesi.
Ora, secondo indiscrezioni, il governo israeliano starebbe studiando la possibilità di sottoporre alcuni leader palestinesi a procedimenti giudiziari per crimini di guerra da presentare ai tribunali degli Stati Uniti e di altri paesi, in segno di rappresaglia nei confronti della scelta palestinese di chiedere l’adesione al Tribunale Penale Internazionale. Israele presenterebbe le denunce contro i dirigenti palestinesi servendosi di organizzazioni non governative e di organizzazioni legali filoisraeliane.
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