Per l’economia di molti paesi africani il crollo dei prezzi del petrolio rischia di trasformarsi in una vera e propria condanna: gli Stati del continente che malgrado una crescita sostenuta devono ancora affrontare problemi come malnutrizione, disuguaglianze economiche e Aids, infatti, sono molto meno attrezzati rispetto ai grandi produttori mediorientali di greggio – fautori del dimezzamento dei prezzi allo scopo di affossare Russia, Venezuela e Iran e di mettere in crisi l’industria dello shale oil – per far fronte ai minori introiti.
A differenziare paesi come Nigeria, Gabon, Angola e Guinea Equatoriale dall’Arabia Saudita o dagli Emirati Arabi Uniti è innanzitutto la minore disponibilità di riserve di valuta straniera, che permetterebbero di assorbire meglio lo shock, nel breve periodo.
Secondo gli esperti, a pagare verosimilmente il prezzo più alto per la situazione, in paesi come la Nigeria, che dipende all’80% dalle esportazioni petrolifere saranno gli strati più poveri della popolazione. Meno entrate per il governo significherebbero infatti anche meno fondi per i programmi di sostegno economico e sociale, senza contare le conseguenze indirette come la svalutazione delle monete nazionali. Ne è un esempio ancora la Nigeria, dove il naira – la valuta locale – ha perso circa il 15% del suo valore da quando il prezzo del petrolio è passato da oltre 107 dollari al barile a circa 70 (scendendo ulteriormente nell’ultimo mese).
Alcuni studiosi, come Shenggen Fan, direttore dell’ International Food Policy Research Institute (Ifpri) sottolineano però anche possibili conseguenze positive, come il calo dei prezzi delle derrate alimentari, che l’esperienza mostra esser legato a quello del petrolio. Se le popolazioni locali riuscissero a mantenere il potere d’acquisto dei loro salari, ha dunque sostenuto Fan, potrebbero esserci effetti sensibili “sulla sicurezza alimentare”, anche se solo nel medio e lungo termine.
Intanto proprio in queste ore è giunta la notizia che il colosso petrolifero Royal Dutch Shell ha accettato di versare 55 milioni di sterline (circa 70 milioni di euro) agli abitanti di Bodo, città nel Sud della Nigeria, per due casi di fuoriuscita di greggio risalenti al 2008. Stando a quanto riferito dalla Shell e dall’ufficio legale londinese Leigh Day, l’azienda verserà 35 milioni di sterline a 15.600 pescatori del delta del Niger e i restanti 20 al comune di Bodo. Ciascuno dei 15.600 pescatori che hanno fatto richiesta di risarcimento riceverà quindi 2.200 sterline (2.800 euro), pari a circa tre anni di salario minimo in Nigeria.
L’accordo mette fine a tre anni di battaglia legale ed evita alla Shell un processo davanti all’Alta corte di Londra, già fissato per il prossimo mese di maggio. Indipendentemente dall’accordo raggiunto, il colosso petrolifero si è impegnato a ripulire le zone inquinate; le operazioni dovrebbero iniziare tra due, tre mesi. “Ci auguriamo che questo accordo favorisca buoni rapporti con la Shell per il futuro, non solo per la comunità di Bodo, ma per tutte le comunità del delta del Niger, che sono state colpite nello stesso modo – ha dichiarato Sylvester Kogbara, che presiede il consiglio dei leader e degli anziani di Bodo – e speriamo che la pulizia dell’ambiente a Bodo inizi presto”.
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