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Strage a Parigi nella redazione del settimanale Charlie Hebdo

Sanguinoso attacco nella tarda mattinata di oggi contro la redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo. Secondo un primo bilancio ci sarebbero 12 morti, tra i quali i quattro vignettisti Cabu, Charb, Tignous e Wolinski e due agenti di polizia.
Stando ad una prima ricostruzione, due uomini incappucciati e vestiti di nero sono penetrati all’interno della sede parigina del giornale satirico francese urlando ‘Allah è grande’ in arabo aprendo il fuoco con dei fucili mitragliatori contro i presenti. I due sarebbero poi fuggiti su un’auto dirigendosi verso la Port de Pantin.
Charlie Hebdo era più volte finito nel mirino delle organizzazioni jihadiste per aver irriso la figura del Profeta Maometto. Secondo le Figaro, tra i dieci feriti – cinque dei quali in gravi condizioni – c’è anche un poliziotto giunto sul posto all’inizio dell’assalto.
Alcuni giornalisti che lavorano in uffici adiacenti a quelli del settimanale preso d’assalto e dei semplici vicini sono riusciti a filmare alcuni dei momenti dell’attacco, in cui si vede un poliziotto giustiziato dai terroristi davanti alla sede del giornale.
Nel novembre del 2011 gli uffici della rivista satirica nella capitale francese erano stati distrutti in un attacco con bombe incendiarie il giorno dopo la pubblicazione del nome del profeta Maometto come “Editor-in-chief” del numero del giornale in uscita.
Il governo francese ha immediatamente innalzato al massimo il livello di allerta per la sicurezza nella regione parigina. “E’ un attentato terroristico, non vi è dubbio, di una barbarie eccezionale, che ha assassinato giornalisti e poliziotti per colpire al cuore la democrazia e la libertà di espressione, principi che la nostra Repubblica difende”, ha detto il presidente Francois Hollande giunto sul luogo della strage.
Che però, se come pare sarà confermata la matrice islamista del massacro, dovrà spiegare al popolo francese perché negli ultimi anni la Republique ha sostenuto o comunque tollerato il dilagare in Medio Oriente, ed in particolar modo in Siria, delle organizzazioni jihadiste in chiave anti-Assad e anti-Teheran. Salvo poi mandare negli ultimi mesi armi e truppe in Iraq per combattere il terrorismo islamico, fenomeno che a questo punto sembra esser stato favorito per indebolire governi avversari (e la cui sconfitta definitiva non è quindi in programma nonostante dichiarazioni e proclami altisonanti della cosiddetta ‘coalizione internazionale’) e al tempo stesso poter contare su un nemico che permettesse l’intervento militare nell’area.

 

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