“Un giorno o l’altro non avremo altra scelta che fare la rivoluzione”, anonimo GJ
Dopo un mese di mobilitazione, il più esteso movimento che ha conosciuto la Francia della Quinta Repubblica è arrivato all’”Atto Sesto” della sua agenda.
Questa tappa della protesta non avrà più il suo teatro privilegiato nella capitale parigina, dove già dal primo giorno della mobilitazione il 17 novembre, i gilet gialli avevano cercato di raggiungere l’Eliseo.
Il 24 novembre, il 1 dicembre, poi l’8 e ancora il sabato successivo, avevano visto comunque contemporaneamente alla mobilitazione a Parigi ai Campi Elisi, numerose iniziative locali, e il mantenimento dei presidi nelle rotonde e nei caselli autostradali che hanno segnato fin qui la topografia del movimento.
Sabato scorso, le mobilitazioni più partecipate si sono svolte a Bordeaux, Marsiglia e Tolosa, Avignone per non citare che le più riuscite, dove spesso insieme o accanto ai gilets jaunes, avevano manifestato i gilets rouges della CGT – mobilitatasi con una propria piattaforma specifica venerdì 14 gennaio.
Insieme a questi gli studenti delle medie superiori protagonisti di due settimane di blocchi e di manifestazioni, che hanno toccato gli istituti periferici dei centri cittadini – professionali e polivalenti – come le zone periurbane, quelle rurali e quelle segnate dalla de-industrializzazione, che sono le realtà più colpite dall’attuali riforme scolastiche che approfondiscono di fatto la frattura tra studenti di serie A e studenti di serie B.
Gli universitari si sono mobilitati in un clima sociale favorevole contro il vertiginoso aumento delle tasse di iscrizione per gli studenti extra-UE ai corsi ordinari e ai master, trattamento di cui potevano beneficiare gli studenti che hanno sempre avuto uno stretto rapporto con la Francia dei Paesi Nord-Africani e Centro-Africani.
L’Atto Sesto della protesta si concentrerà degli snodi strategici del traffico trans-frontaliero ai confini francesi, come già successo nei sabati scorsi, o “colpendo” obbiettivi mirati – come il più grande hub agro-alimentare europeo a Rugins o le piattaforme Amazon, già al centro dell’iniziative – oppure invadendo con uno tsunami gialli i centri cittadini “sfidando” anche i divieti prefettizi, o gli scali portuali.
Il centro parigino è stato di fatto reso inaccessibile dal filtro preventivo, dalla negazione all’accesso e dall’accerchiamento delle forze dell’ordine con una strategia sempre più aggressiva che ha impiegato i blindati della gendarmeria, le truppe a cavallo, e tutti i numerosi strumenti “offensivi” di cui dispongono più ascrivibili alla strategia di guerra a bassa intensità che al contenimento delle mobilitazioni.
La durissima repressione che si è abbattuta contro il movimento è stata oggetto di critica da parte dell’ONU, di una puntuale denuncia di Amnesty International, delle associazioni di avvocati francesi e per ciò che concerne i suoi riflessi sul diritto di cronaca, di un durissimo comunicato da parte delle quattro associazioni di categoria di giornalisti il lunedì successivo alla mobilitazione dell’8 dicembre, una presa di posizione spalleggiata dalla Federazione Europea e Mondiale dei giornalisti di cui è difficile trovare traccia nei media italiani.
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Tout atour du rond point
Questa settimana è stata caratterizzata dal coagulo di differenti forze attorno ad un obiettivo preciso: tagliare le gambe al movimento, procedendo allo sgombero del cuore della protesa (il presìdio), porre le basi per legittimare un ipotetico dialogo sociale con i corpi intermedi e gli eletti locali, cercando di cooptare dentro la gestione del regresso sociale e delle politiche di austerity soggetti disposti a colmare il vuoto abissale prodottosi tra la classe dirigente e le peuple, collaborando nella exit strategy elaborata dal governo.
La strategia messa in campo, annunciata dal discorso di Macron di lunedì 10 dicembre, consiste nel voler spostare l’asse del discorso da quella trama intrecciata di rivendicazioni politiche e sociali a due temi che spiano la strada ad un recupero a destra della protesta, come l’immigrazione e l’identità nazionale, assolutamente aliene alla mobilitazione, ma punti di forza di quelle forze (RN, LR, FD e la galassia identitaria) di fatto ben presto sfilatasi dal movimento.
Ancora in questi giorni, i sondaggi davano attorno al 70% la percentuale degli intervistati che continuano a sostenere la protesta dei Gilet Jaunes, mentre più della metà di questi si diceva d’accordo sul continuare la protesta.
Allo stesso tempo, la popolarità di Macron rimane ben sotto il 30% – a seconda dei sondaggi – attestandosi, nelle ipotesi più ottimistiche per il Presidente, al consenso irrisorio di cui godeva Hollande nella seconda parte del suo Quinquennat.
Giovedì 20 dicembre, erano ancora attivi 367 blocchi e mentre i Gilets Jaunes mobilitati risultavano essere 33.385, secondo il sito www.gilets-jaunes.org, una “community” di poco più di 400.000 creata per monitorare in tempo reale il movimento dal suo nascere.
Da lunedì mattina sono iniziate le operazioni di “sgombero” dei presìdi sulle rotonde e ai caselli stradali su tutto il territorio nazionale, dando adito a differenti tipi di reazioni tra cui la più comune è stata quella della “strategia della lumaca” per cui allontanati da un punto e distrutte le costruzioni artigianali edificate in più di un mese di mobilitazione, i GJ hanno rimesso in piedi poco dopo il presidio nello stesso punto o poco più in là.
All’interno di questo attacco al cuore fisico della protesta, promosso dall’esecutivo e a cui si è allineata la dirigenza della CFDT, attraverso le parole del suo segretario Laurent Berger, che si è dichiarato favorevole ad uno sgombero “pacifico”, non sono mancate risposte di resistenza più determinate.
A Bandol, nel Varo, nella notte tra lunedì e martedì, verso mezzanotte, i manifestanti hanno messo dei bidoni della spazzatura in fiamme sulle barriere, impendendo la circolazione a tutti i veicoli. Un manifestante ha filmato questo casello sull’Asse Marsiglia-Tolone, costringendo la chiusura della A50, che ha mandato in tilt il traffico di questa importante arteria autostradale del Midi i giorni successivi.
Il 12 dicembre era stato sgomberato con i gas lacrimogeni questo presidio attivo dal 17 novembre.
Lunedì Vinci, il maggior concessionario privato della rete autostradale francese – privatizzate da Chirac nel 2006 – aveva annunciato che avrebbe fatto pagare gli automobilisti che non avevano usufruito dell’azioni di pedaggio gratuito dei GJ, tornando poi presto su suoi passi.
Vinci ha stipulato ai tempi di Hollande un accordo, proprio con Macron, allora ministro per l’economia, i cui i particolari sono venuti a galla solo di recente, che gli permette di alzare i pedaggi; ed infatti aumenti tariffari sono previsti dal primo febbraio.
L’azione dei GJ ha riaperto il dibattito sulle nazionalizzazioni della rete autostradale, un esempio di come un movimento che pratichi concretamente un obiettivo possa essere in grado di influenzare l’opinione pubblica.
A Voreppe – dove un primo sgombero aveva già distrutto una prima costruzione, poi rimessa in piedi – il secondo sgombero di questa settimana non sembra avere piegato la volontà dei partecipanti, “è un peccato, ma la ricostruiremo meglio ha dichiarato un GJ, aggiungendo: Aspettiamo l’Atto Sesto con impazienza”.
Nella Aude, i GJ sono stati costretti a lasciare il presidio di fronte a Monsanto, per le pressioni sul proprietario del terreno che gli aveva concesso di installarsi.
A Manosque, alla rotonda dell’A51 i gilet sgomberati la mattina, hanno ripreso possesso del rond point durante la giornata.
Martedì a Dunkerque, i presidi installati su tre rotonde sono stati sgomberati, ma nel pomeriggio i manifestati hanno ripreso la rotonda di Parapluies.
Il 18 la preparazione del G7 a Biarritz, anche senza Macron che all’ultimo momento aveva rinunciato ad andare, i GJ hanno organizzato una manifestazione.
A Arques-la-Battaille, a Siene-Marne, a qualche ora dallo sgombero, i gilets jaunes hanno rioccupato il presidio. Un GJ ha dichiarato: non lasceremo perdere. qui tutti sono convinti e solidali. E se ci cacciano, quando se ne vanno, lo rimetteremo in piedi, ogni volta, finché non sarà il Presidente a capitolare.
A Pontivy, le forze dell’ordine avevano dato fino a martedì sera per evacuare il presidio che durava dal 17 novembre, e i GJ hanno deciso di cercare un altro posto per continuare ad essere visibili e a discutere, in particolare del referendum d’iniziativa cittadina (RIC).
Se ci sgomberano, ritorneremo, dichiara un GJ rotonda dell’uscita della A16 Abbeville, nella Somme, “Siamo noi che decidiamo quando lasciare. Non è certo Lui che può ordinarcelo”. E conclude: “Non ci hanno dato niente. Perché dovremmo rientrare?”.
A Pont D’Aspac, i GJ si allontanano dalla rotonda ma si installano lì a fianco su un terreno privato.
Ad Angoulême dopo lo sgombero della rotatoria, i GJ sono diventati più mobili: “Non possiamo più riunirci nelle rotonde, passeremo allo stadio successivo, bloccando gli edifici ammnistrativi” ha dichiarato un GJ durante il blocco della Baque de France, giovedì 20.
A Montpellier, settima città dell’Esagono, i gjlet jaunes installatesi nella rotonda Près d’Arènes dal 17 novembre, non vogliono lasciare il presidio: “I GJ non sono estinti. La soppressione della CSG per i pensionati, i referendum popolari, la soppressione delle tasse sui prodotti di prima necessità e l’aumento di quelli sui prodotti di lusso… Ci sono così tante rivendicazioni che non sono state ancora soddisfatte”, dichiara un GJ.
A Lorient giovedì 20 i GJ hanno continuato la loro strategia mobile, recandosi in vari luoghi simbolo dal commissariato al comune e nell’ospedale in solidarietà con il personale e per richiedere più risorse per l’ospedale pubblico, con un solo fine: “farsi vedere senza disturbare le persone”.
Il fatto più tragico è avvenuto a Lot-et-Garonne, dove Olivier Daurelle, un GJ responsabile del movimento dei gilets jaunes a Villeneuve-sur-Lot si era recato con altri gilets gialli in aiuto del presidio a rischio sgombero ed è stato investito, durante un blocco, e ferito mortalmente da un camion.
Philippe Castaner, ministro dell’Interno, ha colto subito l’occasione per speculare sulla tragedia dichiarando: “bisogna che questo finisca. Nove morti, è anche questa la realtà del movimento dei Gilet Jaunes”.
Questa breve panoramica, redatta grazie ai report di siti di informazione locale, serve per dare un quadro della determinazione dei GJ – cui si potrebbero aggiungere molte altre azioni – e della risolutezza dell’esecutivo nel volere perseguire la propri azione repressiva nei confronti dei presidi.
Va comunque detto che la forma dell’Assemblea Generale per dotarsi di un profilo organizzativo più strutturato sta guadagnando diverse realtà locali, che spesso chiedono ed ottengono dalle amministrazioni comunali spazi adeguati per incontrarsi, come a Tolosa, Bordeaux, Hennebont, Nimes…
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Le Gilets Jaunes
Emerge sempre più evidente il protagonismo femminile, e le questioni legate alla condizione specifica femminile nelle classi subalterne in particolari nelle famiglie monoparentali, ormai un quinto nell’Esagono, che nella stragrande maggioranza dei casi hanno come “capo-famiglia” una donna.
È acclarato come la precarietà lavorativa penalizzi in particolare le donne che percepiscono un salario molto inferiore agli uomini, e che godono di un trattamento pensionistico peggiore della componente maschile.
L’economista Rachel Silvera, intervistata da “Marie Claire”, il 18 dicembre, da Corine Goldberger, in un bel servizio sulla componente femminile della protesta, afferma: “Senza dubbio anche i sindacati danno l’impressione di difendere prima di tutto i salariati delle grandi imprese del pubblico e del privato. Ora le donne hanno spesso una situazione di maggiore instabilità e fluttuante: contratti a tempo determinato a ripetizione, interinali, lavoratrici autonome a basso reddito, e spesso precarie e isolate a domicilio (baby-sitter, ‘badanti’, donne delle pulizie)”
Una porzione importante della classe lavoratrice che ha trovato in questo movimento un vettore di comunicazione diretta delle proprie istanze senza che nessuno facesse da mediatore e interpretasse le proprie istanze ed uno strumento organizzativo.
Altre volte, come nel caso delle lavoratrici in appalto di un famoso hotel di lusso del centro parigino, per esempio, lo strumento sindacale è ancora un arma che permette uno sciopero ancora in corso, che dura da mesi: la leader della protesta afferma giustamente “i gilets jaunes, c’est nous”, ribadendo l’identificazione nel movimento.
In un servizio di France Info una GJ, leader di un presidio dichiara apertamente: è la rivoluzione delle donne, le donne siano uscite e non è facile farle tornare a casa.
Un’altra figura di spicco, Ingrid Levasseur, 31 anni, madre di due bambini a carico, lavora come badante e guadagna poco meno di 1200 euro netti.
Un’altra donna GJ è Florance, 54 anni, fa le pulizie per 650 Euro al mese, e insieme al suo compagno raggiungono la cifra di 2000 al mese.
Mentre Dominique ha 61 anni, è al Presidio perché è preoccupata del futuro dei propri figli e dei nipoti, è ripresa mentre va a prendere un casco protettivo per andare a manifestare a Parigi!
Un’altra testimonianza importante è quella tratta da Simone Media, che intervista un medico.
Sabrina Ali Benali, dottoressa alle Urgences Médical a Parigi parla della condizione di estrema vulnerabilità dei suoi assistiti: alimentazione inadeguata, riscaldamento insufficiente, il disagio abitativo di cui cita l’esempio di una famiglia di 6 persone che vive in 30 metri quadri. Cita i suicidi e l’alcolismo diretta conseguenza della violenza nel gettare le persone sul lastrico, facendogli perdere il lavoro, in confronto alla quale qualche macchina incendiata è davvero poca cosa.
Ma una delle testimonianze più toccanti, che è diventata virale sui social, è una intervista presa ad uno dei concentramenti della protesta di sabato scorso a Parigi di una infermiera, costretta a turni di lavoro anche di 12 ore, aggravati talvolta dalla sostituzione dei colleghi in una cronica mancanza d’organico.
L’infermiera si rivolge direttamente a Macron e afferma:
“Vieni a farti curare in un ospedale pubblico, accedi attraverso il pronto soccorso come chiunque, aspetta come fanno tutti, passa una giornata nel mio reparto, dove sono spesso sola ad occuparmi di più di una ventina di pazienti, suona tre o quattro volte e aspetta che io abbia il tempo di venire ad occuparmi di te Emmanuel, e poi renditi conto delle cose, ma per davvero, vieni a stare in un letto d’ospedale davvero, senza privilegi e vedrai ciò che è, ecco!”
Questo sentimento popolare
Questa settimana sono stati pubblicati i risultati della terza ricerca scientifica che ha studiato il movimento, confermando se ancora ce fosse bisogno alcuni dati in sintonia con l’analisi che fino a qui abbiamo svolto.
Avevamo abbondantemente citato la prima ricerca pionieristica promossa dal del Centre Émile Durkheim di Bordeaux, resa pubblica da “Le Monde” l’11 settembre, e quella del Laboratoire d’ètudes sociales di Tolosa, pubblicata da “Libération” la scorsa settimana.
Si tratta del Collettivo Quantité critique, coordinato da Yann Lann, professore di sociologia a Lille, pubblicata da “L’Humanité” il 19 dicembre.
“I risultati della nostra inchiesta” scrivono i membri del collettivo “coincidono con quelli dei ricercatori di Bordeaux sulla questione delle caratteristiche sociali delle persone intervistate” affermando che “L’idea che si tratta delle classi popolari, spesso escluse dallo spazio politico, che prendono parola si trova confermato dai nostri risultati” per cui più di una metà, attorno al 60%, è composto da operai ed impiegati, e sono inoltre “sopra-rappresentati” i disoccupati rispetto alla quota di questi presente nella società.
Interessanti le conclusioni rispetto alla sensibilità ecologica dei GJ intervistati perché sono “coscienti che una “catastrofe ecologica” si profili (sono l’83% ha essere d’accordo con questa affermazione), i gilets jaunes pensano che la soluzione alla crisi ecologica non passi attraverso per dei cambiamenti dei comportamenti individuali, ma per delle risposte strutturali”, nonostante una buona parte di questi attuino nella ristrettezza dei loro mezzi scelte individuali che si configurano in tal senso.
Per ciò che concerne l’orientamento politico di destra o di sinistra, le due ricerche – quella del CED di Bordeaux e questa differiscono leggermente – “questo movimento” affermano “si caratterizza ugualmente per la presenza di un terzo polo, quello degli astensionisti. I tre gruppi all’interno del movimento hanno un peso quasi identico”
Sull’importanza dell’orientamento astensionista di una parte dei partecipanti ai GJ avevamo già scritto il 19 novembre sulla scorta delle considerazioni fatte da alcuni ricercatori che stavano monitorando ciò che si stava sviluppando dal 15 ottobre, giorno in cui due anonimi utenti di FB avevano lanciato u evento per un blocco del traffico contro l’innalzamento del prezzo del diesel e della benzina per il mese successivo.
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Il dibattito sindacale
Abbiamo cercato di riportare costantemente il dibattito che si è sviluppato nel mondo sindacale, le azioni e le varie prese di posizione a riguardo.
Il movimento dei GJ ha di fatto “dinamicizzato” l’universo sindacale e polarizzato estremamente le posizioni, anche all’interno della maggiore centrale sindacale: la CGT, che a metà del maggio prossimo terrà il suo 52° congresso a Lione.
Numerosi documenti – l’importante federazione dei chimici – o quello firmato da differenti realtà sindacali – chiamano ad una più marcata azione del sindacato nelle aziende in grado di affiancare i GJ, riconoscendo la valenza estremamente positiva che ha portato la marea gialla.
In una lunga intervista di Sébastina Crépel pubblicata il 20 dicembre su “L’Humanité”, il segretario della CGT espone l’orientamento della Confederazione nell’attuale fase politica e l’agenda a venire.
Martinez sottolinea l’importanza dell’ “azione collettiva” che ha posto il movimento, ed espone i limiti del sindacato nel corpo della classe, i cui tre quarti non è raggiunto dall’organizzazione.
Ciò che dimostra l’azione dei gilets jaunes come quella dei sindacati è che l’azione collettiva paga.
Per Martinez bisogna che il numero dei partecipanti accresca per raggiungere obiettivi più soddisfacenti e questo pone anche la questione della nostra capacità collettiva di colpire il cuore del sistema, cioè il capitale. E il capitale sono le grandi imprese, le multinazionali.
Uno dei compiti del sindacato è nell’individuazione dei responsabili della situazione: il MEDEF, cioè la Confindustria transalpina, che non viene di fatto toccata dalle misure prese dal governo che ricadono sui contribuenti e non viene identificata dai GJ come il proprio avversario primario.
Citiamo integralmente la risposta alla domanda su cosa intende fare la CGT all’inizio del 2019 considerando che il governo ha dichiarato di volere procedere con le riforme annunciate:
“Noi pensiamo che bisogna rapidamente porre una tabella di marcia, mobilitando dall’inizio dell’anno sulle questioni essenziali come i salari e la giustizia fiscale. Noi stiamo agendo per portare queste rivendicazioni con il massimo delle organizzazione sindacali dei salariati e dei giovani dopo le feste a tempo pieno, nelle forme che devono ancora essere definite.”
Una disamina attenta del rapporto sindacti e GJ la si trova in “Gilets jaunes: les syndicats entre deux eaux”, di Arthur Brault-Moreau, pubblicato il18 dicembre su www.regards.fr di cui riportiamo integralmente le conclusioni.
“Per concludere, che sia per il rifiuto dei sindacati riformisti, per le esitazioni della CGT o per il coinvolgimento non immediato ma sincero di Solidaires, i sindacati sembrano essere stati travolti dal movimento dei gilet gialli. L’attuale sviluppo del movimento giallo flou si è sviluppata lontano dai sindacati. Pertanto, se la paura del governo mostra una incredibile efficacia del movimento sociale recente, sembra difficile immaginare una vittoria senza una messa in gioco dello strumento sindacale. Alle occupazioni delle rotonde, gli scioperi potrebbero essere un relai o un appoggio decisivo”
Molto del futuro del movimento si gioca su questo: la grève géneral è di fatto ciò che può definitivamente cambiare le carte in tavola.
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