Conosciuti e sorvegliati lo erano da tempo i fratelli Kouachi, figli d’immigrati algerini, orfani insieme ad altri fratelli. Un’adolescenza difficile e una giovinezza anche peggiore con tutte le devianze dell’immigrazione marginale delle banlieux. Chérif, il maggiore, appare presto il più inquieto e violento, nel 19° arrondissement dove abita con Saïd. Si trova accusato insieme ad alcuni compagni per traffici di droga, in realtà roba di poco conto, spaccio o giù di lì. Quindi l’attrazione per la jihad, la frequentazione di alcune moschee e la vicinanza con attivisti e soprattutto con un indottrinatore che propina corsi di avvio all’Islam e video sugli interventi della Nato in Iraq.
La stampa francese e internazionale ha diffuso in queste ore ampie notizie sui successivi passi dei fratelli e dei loro sodali ripresi dai dossier della polizia. Che segue, scheda e monitora il cosiddetto gruppo di Butte-Chaumont, dagli incontri informali, ai training di mezzofondo, fino alle nozioni sull’uso di armi da guerra (sic), seppure il vero addestramento militare i fratelli lo riceveranno altrove.
Intanto una reclusione nel gennaio 2005 consente a Chérif di ampliare i contatti con quella smania jihadista presente fra certi islamici della metropoli. Oggi la Francia apprende che un tal Djamel Beghal fu il mentore dell’ascesa paramilitare del maggiore dei Kouachi che poi coinvolgerà anche il minore, però l’Intelligence di casa (Sous-direction antiterroriste) lo sapeva. Il bello è che il gruppetto giunge davanti a un giudice, ma viene considerato una banda di quartiere, da affidare più ad assistenti sociali che sottoporre a leggi speciali. La pena diventa una detenzione provvisoria, per Saïd addirittura di poche ore. Le osservazioni della Sdat documentano parecchi incontri di Chérif con predicatori salafiti (lo mostra con tanto d’immagini di repertorio il quotidiano Le Monde). Lui viene messo alla prova con l’inserimento nel manipolo che studia una possibile evasione dell’attentatore della RER parigina nella stazione Musée d’Orsay dell’ottobre 1995. Il fratellino Saïd non è da meno: nella 2011 raggiunge lo Yemen, che vive anch’esso il subbuglio delle Primavere arabe, ed entra in contatto con membri di Al-Qaeda. Lì riceve un particolare addestramento armato.
La sua presenza è comunque segnalata dai servizi yemeniti alla Sicurezza statunitense, che ne introduce il nome (e quello del fratello) nella lista dei vigilati per tendenze jihadiste e li esclude dalla possibilità d’imbarco aereo. Ovviamente i Kouachi erano sospettati di contatti con l’organizzazione qaedista, non avevano ancora svolto azioni, però si potevano configurare i contorni del nucleo di cosiddetti ‘pionieri’ del jihadismo di Francia all’estero. Successivamente nei rapporti politici dei Kouachi subentra la figura di Salim Benghalem, considerato dagli Usa come uno dei maggiori carnefici dell’Isis in Siria. Sempre secondo Le Monde la storia dei due fratelli e delle loro frequentazioni, si lega a quelle infiltrazioni nell’attualità di nazioni arabe che tentano mutazioni politiche. La Tunisia fra queste. L’assassinio dei due leader dell’opposizione Chokri e Brahmi rivendicate dal gruppo salafita Ansar Al-Shari’a, che creò una grande crisi al governo islamico di Ennahda fino a determinarne la caduta e il recente ridimensionamento elettorale, è stata da poco rivendicata da un franco-tunisino autonominatosi Abou Mouqatel. Di fatto un terrorista di professione che reclutava nel gruppo di Butte-Chaumont e aveva contatti col jihadismo iracheno già dal 2002.
I Servizi francesi sapevano ma non agirono, in epoca Sarkozy e poi Hollande. Molti si chiedono perché. Poi l’ulteriore carneficina di oggi su ostaggi e terroristi islamici. Hollande e Cazeneuve tirano un respiro di sollievo. Per quanto tempo? Chi saranno i prossimi Kouachi?
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