Continua in Grecia la campagna elettorale, tutta all’insegna dello scontro tra la continuità con il governo attuale e la possibile vittoria di Syriza, formazione politica che promette discontinuità rispetto ad anni di austerità targata Troika.
Secondo il sondaggio più recente condotto per conto della catena tv privata Mega, Syriza sarebbe al 28,5% contro il 25,3 di Nea Dimokratia (centrodestra). Lontanissimi To Potami (Il Fiume, centristi) con il 5,8%, il Partito Comunista Greco con il 5,7%, il partito nazista Chrysi Avgi (Alba Dorata) con il 5,4% e i socialisti del Pasok con il 5,0%. Il Movimento dei Socialisti Democratici, fondato pochi giorni fa dall’ex premier ed ex segretario del Pasok Giorgos Papandreou, è accreditato di un 2,6% delle preferenze, al di sotto della soglia minima del 3% necessaria ad entrare nel nuovo parlamento (anche se un altro sondaggio dà alla formazione di Papandreou il 6%). Al di sotto della soglia anche la destra nazionalista – Greci Indipendenti – e i socialdemocratici di Dimar.
Secondo il sondaggio – che va preso con le molle visto l’interesse da parte dei committenti di incanalare il voto – sarebbe salita rispetto alla precedente rilevazione dal 74% al 75,7 la percentuale dei greci che vogliono rimanere “ad ogni costo” nella zona euro e nell’Unione Europea. Solo il 22,3% preferirebbe invece che la Grecia uscisse dall’Eurozona. Alla domanda su chi sarebbe il miglior primo ministro al momento, il 40,3% ha indicato l’attuale capo del governo Antonis Samaras, contro il 34,9% che ha espresso una preferenza per Alexis Tsipras.
Come è evidente a tutti, la campagna elettorale per il voto del 25 gennaio prossimo non si svolge solo ad Atene o a Salonicco, ma anche – e soprattutto – a Bruxelles e Berlino. Non c’è un governo o un’istituzione politica ed economica dell’Unione Europea che non sia intervenuta, anche più volte, chiedendo ai greci ‘responsabilità’ e ‘continuità’ o minacciandoli di tremende conseguenze nel caso in cui dalle urne uscisse un risultato inviso ai poteri forti.
Mentre il settimanale tedesco Bild insiste sul fatto che fonti anonime del governo di Berlino – che però ha smentito – potrebbe considerare l’opportunità di cacciare Atene dalla moneta unica europea, questa settimana a introdurre un nuovo elemento di drammatizzazione nel dibattito politico greco è stato un portavoce della Banca Centrale Europea. Che ha ricordato ai contendenti – e agli elettori – che l’accesso delle banche greche ai finanziamenti della BCE continuerà solo a condizione di una «conclusione positiva dell’attuale programma di salvataggio e di un successivo accordo» con la Troika.
Bce, Commissione e Fmi chiedevano a Samaras di accettare nuovi tagli allo stato sociale per 1,7 miliardi di euro, un piano di ulteriori licenziamenti nel settore pubblico, l’aumento dell’età pensionabile e altre privatizzazioni prima del 31 dicembre scorso, ma il primo ministro e la sua maggioranza hanno opposto resistenza; l’imminente campagna elettorale consigliava a socialisti e conservatori di non presentarsi davanti all’elettorato avendo di nuovo chinato la testa di fronte a ulteriori condizioni capestro. E così la patata bollente è stata opportunamente posticipata di due mesi, il che vuol dire che chiunque vinca le elezioni si troverà a fare i conti con un aut-aut: decidere in fretta e furia un altro giro di vite o perdere fondamentali finanziamenti per il sistema bancario. La Bce manterrà ancora per due mesi la deroga che permette alle banche elleniche di accedere alla liquidità offerta dall’Eurotower solo se il governo di Atene raggiungerà una nuova intesa con il fondo europeo salvastati (Efsf) e con il Fondo Monetario Internazionale. E la possibilità offerta alle banche di Atene, ha chiarito il portavoce della Bce «si basa sul presupposto di una conclusione positiva della valutazione in corso e di un accordo successivo tra le autorità greche e la Commissione europea, in accordo con Bce e Fmi».
La tensione sui mercati finanziari interni e internazionali rimane molto alta, e solo a dicembre dagli istituti ellenici sono usciti quasi 2,5 miliardi di euro di investitori e risparmiatori che hanno deciso di posteggiare altrove i loro capitali, in attesa di capire chi vincerà il 25 gennaio e come si comporterà. Stessa sorte per la Borsa di Atene, che da settimane continua a perdere terreno sull’onda dei timori generati dalla possibile vittoria di Syriza, nonostante Tsipras e i suoi ormai da tempo stiano mandando ai mercati e alle istituzioni finanziarie e politiche comunitarie continui segnali di rassicurazione rispetto alla volontà da parte della sinistra di non adottare misure unilaterali, di rimanere all’interno dell’Eurozona, e di garantire il pagamento del debito anche se ad un ritmo meno sostenuto di quanto assicurato finora dai governi a guida socialista o conservatrice dissanguando il paese.
Il quarantenne Tsipras ha dichiarato che l’obiettivo primario di un suo eventuale governo sarebbe rinegoziare gli accordi con la Troika – mirando quindi al consenso della controparte e senza strappi – per ridurre l’austerity e rilanciare l’economia. Sul fronte del debito Syriza mira a rinegoziare i tempi e i termini di pagamento e a cancellarne una parte consistente. D’altronde tutti sanno che Atene non potrà mai pagare i 330 miliardi che i creditori internazionali vogliono indietro, e nonostante i sacrifici assurdi imposti alla popolazione negli ultimi anni di fatto la Grecia è riuscita si e no a pagare gli interessi sul debito.
Spiegava Ettore Livini su La Repubblica del 7 Gennaio:
“I contorni del piano allo studio iniziano a delinearsi: un mix di allungamento delle scadenze dell’esposizione, oggi in media a 32 anni, e di taglio dei tassi – ora all’1,5% – che riduca la zavorra dei prestiti per Atene liberando risorse per gli investimenti. Ma che consenta nello stesso tempo ad Angela Merkel di garantire ai falchi del Nord che la Grecia – pur se a condizioni vantaggiosissime – pagherà fino all’ultimo euro. (…) Di una cosa, però, sono convinti tutti persino – sotto sotto – i falchi della Ue: il Partenone non riuscirà mai a rimborsare realisticamente tutto il suo debito, pari al 175% del Pil, a tassi di mercato. E la rinegoziazione non è tanto una questione di “se”, ma di “quando””.
Un programma tutt’altro che ‘rivoluzionario’ quello di Tsipras, che oltretutto se anche dovesse vincere le elezioni quasi sicuramente non arriverebbe alla maggioranza assoluta e per governare dovrebbe affidarsi ad una difficile alleanza con qualche altro partito di centrosinistra che in cambio potrebbe imporre una virata ancora più moderata dell’agenda di Syriza.
Ma in una situazione di profonda e strutturale crisi economica e finanziaria continentale, basta evidentemente molto poco a mandare in fibrillazione i mercati, i creditori e gli investitori e a mettere in allarme tutto l’establishment europeo timoroso soprattutto di un effetto a catena che le possibili concessioni ad Atene potrebbero avere su paesi in condizioni simili come Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro (e le ben più pesanti Italia e Francia).
E così, per cercare di tranquillizzare sia i creditori privati sia gli elettori greci, Tsipras ha assicurato in un intervento pubblicato sul The World Post e pubblicato anche sul Corriere della Sera che Syriza “non vuole il crollo, ma la salvezza dell’euro. E per ottenere questo risultato non serve proseguire le politiche fallimentari di austerity, ma tornare a crescere e cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico”.
Il giovane leader della sinistra ellenica spiega che il suo programma non si discosta poi molto dalle prese di posizione del presidente della Bce Mario Draghi. In questa fase, scrive, l’Europa deve scegliere tra due strade alternative: “Da una parte, la prospettiva delineata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble: occorre rispettare gli impegni presi e proseguire su quella strada, a prescindere dai risultati ottenuti. Dall’altra, la volontà di ‘fare tutto il possibile ‘per salvare l’euro”.
Insomma Tsipras propone una soluzione tutta interna al dibattito già in atto all’interno delle stanze dei bottoni dell’Unione Europea. E nel frattempo i leader del partito di sinistra sono da tempo impegnati in un vorticoso giro di incontri e trattative con i rappresentanti delle istituzioni economiche e politiche europee al fine di accreditarsi presso l’Ue come portatori di soluzioni accettabili e non dirompenti, e attenuare così la vera e propria guerra che dai piani alti di Bruxelles e Berlino questi conducono contro la possibilità che Syriza vinca le elezioni del prossimo 25 gennaio. Basterà a vincere la sfida? E soprattutto: servirà a cambiare veramente la tragica situazione del popolo greco?
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