Atene è piena di italiani. Sono arrivati a centinaia nella capitale ellenica per seguire da vicino quello che a molti appare come un momento storico per la sinistra in Europa. Attivisti di movimenti sociali, giornalisti di movimento e non, ricercatori sociali, militanti dei partiti di sinistra. Molti di loro sono in realtà sono più vicini al Partito Democratico di Renzi e a Sel che alla sinistra radicale, ma la sfida di Atene non se la vogliono proprio perdere e affollano le manifestazioni e i cortei che da diversi quartieri della capitale ellenica sono confluiti nel pomeriggio di ieri in una piazza Omonia che palpitava di ammirazione per Alexis Tsipras e anche per il leader di Podemos, Pablo Iglesias. Il più colorato e battagliero, raccontano i testimoni, è il corteo che ha sfilato dal vicino quartiere di Exarchia al grido di “né Samaras né Venizelos” (i leader dei due partiti di governo attuali, Nuova Democrazia e Pasok).
“La paura è finita, la Grecia e l’Europa cambiano. Domenica scriveremo la Storia, non voltiamo pagina, cambiamo era”. Tsipras infiamma la folla promettendo la vittoria, il cambiamento. La gente è emozionata e non sta nella pelle, sicura che domenica finalmente si cambierà pagina. Si canta “Bella Ciao”, e non solo per l’alta presenza di italiani nella folla che acclama quello che viene considerato il leader della sinistra europea.
“Uniti nessuno può fermarci”, dice il quarantenne dal palco, “domenica aiuteremo il sole a sorgere sulla Grecia. Sarà la fine di un sistema corrotto. Torna la democrazia. Dateci la forza per metter fine al memorandum della catastrofe e della barbarie”. Non poteva mancare un riferimento alla decisione della Bce sull’acquisto dei titoli, che fatto irruzione in campagna elettorale. “Il premier Samaras è disperato, sperava che la Banca centrale europea avrebbe preso una decisione contro la Grecia”, ha attaccato Tsipras. La folla intanto intonava “Via Samaras, è arrivata l’ora della Sinistra”. L’attacco al premier è al centro dell’intervento del segretario di Syriza: “Samaras ha investito nella paura. Si sono attaccati al potere puntando sulla paura. Mai un premier greco era sceso così in basso, parlando male della sua patria. Ma ora è venuto il momento di tutti i greci…Samaras e i suoi hanno dalla loro parte la Merkel. Noi abbiamo ciò che loro non hanno, il popolo”. Poi Tsipras promette che metterà fine alle ingiustizie, alla fame e alla povertà, alla corruzione, al disastro della sanità pubblica e della scuola. Lo dobbiamo, dice, a quei “ragazzi greci che sono stati costretti ad emigrare, e oggi non hanno i soldi per tornare a votare”.
Tsipras, che nel discorso ha usato molte volte la parola “Patria”, ha poi rassicurato “il nostro governo garantirà i depositi bancari dei cittadini”. “Non siamo un pericolo per la gente, ma per coloro che hanno distrutto questo paese con i loro governi” ha sostenuto, aggiungendo che “il nostro unico impegno è con il popolo e non con le oligarchie o il vecchio regime”.
Il gran finale, dopo aver detto “che dalla Grecia, culla della democrazia, parte un messaggio in tutte le lingue d’Europa”, è stato l’abbraccio con il leader di Podemos, la ‘sorella’ spagnola di Syriza. E anche Pablo Iglesias ha scatenato l’entusiasmo della folla quando chiudendo il suo intervento ha gridato “Syriza e Podemos, venceremos”. Se c’è un paese europeo che attende l’esito del voto anticipato di domenica ad Atene è sicuramente lo Stato Spagnolo. Molti i media iberici che hanno definito le elezioni greche “la prova generale di quello che potrebbe succedere a Madrid”. Le conseguenze della crisi sociale scatenata dalle misure di austerity applicate senza pietà dai rispettivi governi sono le stesse così come l’avversario, la troika. Simile è anche la concezione di due sinistre diverse per cultura politica e genesi ma accomunate da una visione “riformista radicale” che mira al cambiamento della situazione dall’interno di una architettura istituzionale ed economica dell’Unione Europea alla quale si vuol far cambiare rotta ma senza rotture e traumi. Non è un caso che nei loro interventi né Tsipras né Iglesias citano mai apertamente l’Unione Europea come nemico da battere, il convinto europeismo dei due partiti si percepisce ed è in sintonia con la piazza, almeno con gran parte di essa. «Torneremo a essere un partner con pari diritti», e giù applausi.
Molti i leader iberici arrivati a dar manforte a Tsipras, oltre al segretario di Podemos. Il leader di Izquierda Unida Cayo Lara, l’europarlamentare del portoghese Bloco de esquerda Marisa Matias, la candidata di Guanyem al comune di Barcellona Ada Colau, il segretario generale del Partito Comunista Francese e presidente della Sinistra Europea Pierre Laurent, il segretario del Prc Paolo Ferrero.
Intanto, a due giorni dal cruciale voto politico in Grecia, i sondaggi accreditano un aumento del vantaggio di Syriza e anche del divario tra i due principali partiti. In base alla rilevazione condotta dalla società Gpo per conto della tv privata Megatv, Syriza otterrebbe il 32,5% delle preferenze contro il 26,5% di Nea Dimokratia. Seguono To Potami (Il Fiume, liberaldemocratici) con il 5,8%, il partito neonazista Chrysi Avgi’ (Alba Dorata) con il 5%, il Partito Comunista di Grecia con il 5%, il Pasok (socialista) con il 4,4% e i Greci Indipendenti (destra antiausterity) con il 3,4%. Potrebbe farcela a entrare in parlamento addirittura il Movimento dei Socialisti Democratici (Kidiso) fondato poche settimane fa dall’ex premier socialista Giorgos Papandreou, con il 3% mentre fuori rimarrebbero i socialdemocratici di Dimar. Se così fosse Syriza vincerebbe ma non otterrebbe seggi sufficienti per avere la maggioranza e formare un monocolore, e dovrebbe trovare alleati di governo più a destra vista la chiusura totale da parte del Partito Comunista.
“Serve un voto chiaro e solido che ci dia un mandato forte per negoziare con la Troika. Non vogliamo diventare ostaggi di partner che potrebbero pretendere di annacquare il nostro programma” ha spiegato Tsipras dal grande palco di piazza Omonia, mentre a Piazza Syntagma, a pochi passi dal Parlamento, si svolgeva il comizio conclusivo del Kke. Una separazione fisica relativa – le due piazze distano poche centinaia di metri che però marca una divergenza politica sostanziale e inconciliabile.
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