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Parlamentarie. Pacco, Contro Pacco, Contro Paccotto

E così, dopo le parlamentarie del Movimento 5 Stelle e quelle appena svolte dal PD e da SEL, possiamo finalmente ragionare avendo tra le mani qualcosa di più concreto. Ci sono i numeri e tre diverse esperienze dalle quali poter trarre insegnamento.
 
Iniziando da chi le ha introdotte per primo, il Movimento 5 Stelle, tutti i timori della vigilia sono stati confermati dalla diffusione dei dati ufficiali.
Si è trattato, di fatto, di una consultazione tra pochi amici informatizzati: solo 20.252 votanti, a fronte di ben 1.400 candidati, per lo più sconosciuti.
Tradotto: meno di 15 elettori di media per ogni candidato. Se poi hanno votato anche i 1.400 candidati, gli elettori veri da dover prendere in considerazione si riducono a 18.852, e con loro la media elettori/candidati.
Con questi numeri da partita a carte tra amici in un Bar, poco importa che non sia consentito mettere il naso nel cuore organizzativo del Blog e che, quindi, non sia possibile certificare la correttezza della consultazione.
 
Ma se con il Movimento di Beppe Grillo si può essere severi sulla base dei dati ufficiali, commentare l risultati delle parlamentarie di SEL è al momento praticamente impossibile, vista l’assenza degli stessi. Non è ancora stata diffusa, ad oggi, una paginetta riepilogativa alla quale fare riferimento. Tutta colpa, probabilmente, del lungo periodo festivo nel quale si è deciso di far svolgere la consultazione.
Stanno invece avendo larga eco tutti i mal di pancia circa l’irregolarità di alcuni risultati, ma, soprattutto, la scelta di piazzare in cima alle future liste elettorali un elenco bloccato di nomi.
Tenuto infatti conto di quanto dichiarato da Vendola, che ritiene possibile ottenere 70-80 parlamentari, buona parte del risultato delle primarie verrà vanificato da una scelta dei vertici che inciderà per circa il 25% degli eletti stimati.
 
Dove, invece, c’è larga generosità di informazioni e di dati, per quanto questi ultimi dichiarati ancora provvisori, è il sito del PD appositamente creato per l’evento.
Ma la prima cosa che salta all’occhio a chi cerca di capire quale effetto potranno avere i risultati di queste parlamentarie sulla futura composizione delle liste da parte del PD, è l’anomala scelta, a monte, di aver suddiviso la consultazione in maniera diversa rispetto al come le liste verranno costituite e presentate agli elettori, circoscrizione per circoscrizione.
Come ben si sa, per l’elezione della Camera dei Deputati l’Italia è suddivisa in 27 circoscrizioni elettorali.
Di regola, ad ogni singola Regione corrisponde una circoscrizione, fatta eccezione di Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia, con due circoscrizioni, e la sola Lombardia con tre circoscrizioni.
Nulla di più semplice ed ovvio, quindi, che adottare la stessa suddivisione. Questi sono tutti i candidati a disposizione per ogni singola circoscrizione, a voi la scelta di come collocarli sulla lista. Chi arriva primo sta in cima, chi arriva ultimo in coda.
E invece no.
L’Emilia Romagna, ad esempio, che coincide con una singola circoscrizione, la numero 11, è stata suddivisa in ben 11 coordinamenti provinciali, tutti con candidati diversi.
Lo si è fatto, si dirà, perché i candidati debbono essere espressione dei territori, il più vicino possibile agli elettori.
Sì, va bene, ma in questo caso si trattava di scegliere dei rappresentanti a cui affidare le chiavi di un intero Paese, per cui, che senso ha continuare a promanare quest’idea che si è rappresentati meglio dal ras del quartiere piuttosto che da chi, in maniera meno visibile, potrebbe invece svolgere più adeguatamente incarichi di tipo generale?
Ma che questa storia del radicamento territoriale sappia tanto di favoletta e nasconda, invece, finalità ben diverse, è ampiamente dimostrato da quelle che potremmo definire candidature anomale, quali quella della Bindi a Reggio Calabria e la Finocchiaro a Taranto.
In altre parole, piccolo sarà pure bello, ma anche più facilmente controllabile dagli apparati locali.
Tenuto peraltro conto che, diversamente dal sistema delle preferenze, dove l’elettore fa due scelte indissolubili, forza politica e candidato preferito, nulla potrà assicurare che lo stesso avverrà per le parlamentarie appena svolte, perché nessuno e nulla, tranne la violazione della legge, potranno assicurare che chi ha partecipato alle primarie e le parlamentarie del PD, poi, nel segreto dell’urna, sceglierà di votare PD.
Siamo cioè di fronte ad una scelta compiuta senza particolare assunzione di responsabilità da parte degli elettori che partecipano alle primarie, e che rende le primarie e le parlamentarie molto più facilmente manipolabili rispetto al voto di preferenza, in quanto non costa nulla prestarsi ad una richiesta di voto per un candidato di un partito che non s’intende votare.
E per l’appunto, quanto più l’ambito elettorale è ristretto, tanto più diviene semplice controllare i flussi di voti.
 
Ma al di là di queste considerazioni, vi è ora la curiosità di capire come verranno collocati nelle liste bloccate i candidati vincenti, vista, appunto, la mancata corrispondenza dei coordinamenti provinciali con le circoscrizioni elettorali.
Chi è arrivato primo a Rimini, ad esempio, in quale posizione verrà collocato rispetto a chi è arrivato ottavo, con più o meno gli stessi voti, a Bologna?
Si adotterà il criterio numerico assoluto a prescindere? Oppure si terrà conto del fatto che il criterio numerico assoluto non ha alcun senso con consultazioni che sono difficilmente comparabili, vista la diversità del numero dei votanti e del numero dei candidati tra un coordinamento provinciale e l’altro?
E quale impatto avrà il listino bloccato di nomi di cui può disporre Bersani?
Insomma, l’impressione e che ci si trovi ancora una volta di fronte a meccanismi complicati “per scelta”, dove la scelta, però, ha il solo scopo di garantire le rendite di posizione di chi può disporre dell’ultima parola.
Evidentemente, il listino bloccato di nomi da poter piazzare nei posti sicuri non garantiva a sufficienza.

* coordinatore di www.riforme.info

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