Vittoria storica per la sinistra greca ma senza maggioranza assoluta, il che sta generando già le prime fibrillazioni all’interno del partito di Tsipras e in una parte dell’area sociale organizzata che ha sostenuto nelle piazze l’ascesa di un partito che pochi anni fa era al 5% e che ieri ha conquistato il 36.34%. Ottenendo però solo 149 seggi – il doppio dei 71 del 2012, grazie al netto aumento percentuale e al premio di maggioranza di 50 parlamentari – rispetto agli almeno 151 necessari a governare da solo. In realtà glie ne servivano parecchi di più tenendo conto che se lo scontro con i poteri forti europei ed interni si dovesse radicalizzare il partito potrebbe perdere qualcuno dei parlamentari provenienti da quelle aree del Pasok uscite – o cacciate – dal partito socialista perché in polemica con i diktat della troika e l’austerity.
Da sottolineare che la partecipazione al voto nella giornata di ieri è stata solo del 64%, nonostante tutti i giornalisti stranieri abbiano evidenziato le lunghe file ai seggi e la mobilitazione dell’elettorato. Che non c’è stata più di tanto, visto che l’affluenza ha superato di neanche due punti quella registrata nelle politiche del 2012 e a fronte di norme che teoricamente rendono il voto obbligatorio.
Da segnalare anche che non c’è stato nessun crollo o smottamento della destra ‘costituzionale’ e governativa guidata dall’ex premier Antonis Samaras, che ha portato a casa un ottimo risultato con il 27.81%, poco al di sotto della quota raggiunta tre anni fa.
Il disastro, annunciato e previsto già dalla vigilia, c’è invece stato per i socialisti del Pasok, partner di governo di Nea Dimokratia relegati dall’elettorato in ultima posizione tra le formazioni che hanno avuto accesso al parlamento avendo superato lo sbarramento del 3%. Un misero 4.68% a fronte del quasi 40 che il Pasok otteneva sistematicamente alle elezioni prima che diventasse uno strumento dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale. Bastava girare per gli uffici deserti del partito ad Atene per rendersi conto ieri sera dell’aria che tira nell’ex partito egemone del centrosinistra ellenico. Nel quale già durante la notte è iniziato un durissimo scontro per la leadership, con una parte della dirigenza che chiede la testa del segretario Evangelos Venizelos. Che da parte sua accusa del disastro soprattutto Giorgios Papandreou, esponente di punta del partito che a poche settimane dal voto si è inventato una sua formazione – Kinima – che avrebbe sottratto voti preziosi al Pasok. Ma in realtà tutti i sondaggi degli ultimi mesi, quindi prima della scissione di un Papandreou già estromesso dalla direzione del partito, mostravano quel tracollo che ieri si è poi effettivamente manifestato.
Inquietante appare l’affermazione dell’estrema destra neonazista che si piazza al terzo posto con il 6.28% dei voti. Assai meno di quanto ottenuto alle elezioni amministrative e poi alle recenti europee, ma comunque troppo considerando che la sua direzione e molti dei suoi parlamentari sono in galera dal 2013 e verranno presto processati per reati gravissimi: omicidi, aggressioni, estorsione, traffico di armi ecc. I capi di Alba Dorata alla vigilia del voto hanno chiarito che “tifavano” per una netta vittoria di Syriza perché, in caso di fallimento di Tsipras e soci, i neonazisti avrebbero le carte in regola per proporsi ad un disilluso elettorato popolare come “salvatori della patria”.
Parzialmente deludente il risultato di To Potami, la lista centrista ed europeista fondata recentemente da un giornalista televisivo e che ha attratto parte del voto socialista in fuga. “Il fiume” ha ottenuto però solo il 6.05% e 17 seggi, meno di quanto gli assegnavano i sondaggi.
Buon risultato invece per i comunisti del KKE che con il 5,47% e 15 seggi ottengono un punto percentuale e 3 seggi in più rispetto al 2012 evitando di rimanere schiacciati all’interno dello scontro a due tra Syriza e Nuova Democrazia.
Greci Indipendenti (Anel, scissione di destra di Nea Dimokratia contraria all’austerity) ha ottenuto ieri il 4,75% e 13 seggi. Sette parlamentari in meno del 2012 ma abbastanza per fornire una sponda a Syriza. Un risultato che si sta rivelando centrale per la formazione di un nuovo esecutivo.
Già ieri sera, parlando davanti a migliaia di sostenitori riuniti per festeggiare la vittoria davanti all’università ad Atene, Tsipras ha evitato accuratamente di parlare di ‘vittoria della sinistra’ ed ha invece valorizzato termini come “patria” e “popolo”. Tsipras evidentemente parlava da premier a tutta la società greca, ma più di qualcuno ha intravisto nel linguaggio utilizzato dal popolare leader un’apertura di credito proprio nei confronti di Panos Kammenos, l’ex esponente di Nuova Democrazia ora a capo di un partito che è si anti-memorandum ma che in cambio potrebbe chiedere una contropartita. Ad esempio sul contrasto all’immigrazione o su alcuni temi riguardanti i diritti civili. Anel non è un partito della destra estrema, ma non ha certo una visione di classe dello scontro con la troika, che invece concepisce a partire dalla sua concezione prettamente nazionalista.
A sinistra l’alleanza sta creando mal di pancia e proteste, con dirigenti e militanti della sinistra interna e di altre formazioni indipendenti che chiedono alla direzione di Syriza di rinunciare all’accordo con Anel e di provare di nuovo a convincere il Partito Comunista a formare una coalizione di governo che lotti frontalmente contro la troika da una posizione di sinistra. Ma il KKE chiede misure drastiche e immediate – nazionalizzazioni, la denuncia e il rifiuto del pagamento del debito – che Tsipras non è disposta a concedere.
E’ comunque di poco fa la notizia che l’accordo tra Syriza e Anel è cosa fatta. «Il partito dei Greci Indipendenti sosterrà il governo che sarà formato dal presidente incaricato Tsipras. Da questo momento il Paese ha un nuovo governo» ha dichiarato Panos Kammenos, uscendo dall’incontro di un’ora avuto con il segretario di Syriza che dovrebbe essere nominato ufficialmente primo ministro alle 16 di oggi (le 15 italiane) dal presidente della Repubblica Ellenica, Karolos Papoulias. Prima di ricevere l’investitura Tsipras dovrebbe incontrare l’arcivescovo di Atene per comunicargli che non intende prestare anche la versione religiosa del giuramento previsto per mercoledì, il che potrebbe creare già le prime frizioni con la destra nazionalista. Che, secondo indiscrezioni, avrebbe chiesto per i suoi due ministeri cruciali: Difesa e Interni.
Tramonta quindi la possibilità di un’intesa con To Potami, formazione di “centrosinistra” (assai più di centro che di sinistra) ma assai più morbida nei confronti delle politiche rigoriste e assai più europeista della stessa Syriza.
Che in queste ore deve fare i conti con un evidente e strumentale tentativo da parte del partito socialista europeo – in particolare da parte di Matteo Renzi e di Francois Hollande, oltre che del leader di Sel Nichi Vendola – di impossessarsi del risultato elettorale greco, intestandosi la vittoria e cercando di cooptare Syriza all’interno di un fronte che si oppone sì alla Germania in nome dell’allentamento dell’austerity e del rilancio della crescita, ma in un meccanismo tutto interno e affatto conflittuale nei confronti della Troika.
Come era prevedibile, anche i movimenti euroscettici di destra ed estrema destra stanno cercando di appropriarsi del risultato elettorale ellenico. Tra questi il Front National francese, la cui presidente, Marine Le Pen, in una dichiarazione si «rallegra per lo schiaffo democratico mostruoso che il popolo greco ha dato all’Unione europea».
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marco
grecia, italia, inghilterra…. la feccia socialdemocratica è sempre la stessa.
sempre a fare pronta a fare patti con la peggior melma politica pur di rimanere attaccati alla poltrona.
d’altronde è più facile vendersi l’anima che cercare di aprire un serio confronto dialettico tra compagni per fare il bene del popolo.
credo che ai poveri greci aspetti na delusione ancora più grossa di quella che avemmo noi col primo governo “””delle sinistre””” negli anni 90