La prima volta di Podemos in piazza ha dimostrato che il progetto politico nato solo pochi anni fa su iniziativa di alcuni attivisti e intellettuali ha anche gambe nella società. Non si tratta di un movimento puramente virtuale. E certamente il risultato elettorale di Atene ha rinvigorito una base sociale che non ha dubbi: dopo Atene toccherà a Madrid.
Non è un caso che nelle strade del centro della capitale iberica ieri uno degli slogan più gridati e gettonati sia stato “tic tac, tic tac”, attraverso il quale circa duecentomila persone provenienti da tutto lo stato hanno simulato una sorta di conto alla rovescia prima che la classe politica che ha imposto e gestito l’austerity venga spazzata via nelle urne, così come è accaduto in Grecia domenica scorsa.
L’anno da poco iniziato è anno di elezioni. Prima per il rinnovo della maggior parte dei parlamenti delle comunità autonome e poi in autunno le elezioni generali che, secondo i sondaggi, potrebbe portare alla fine del bipartitismo imposto al paese dall’autoriforma del regime franchista. Un’alternanza tra “socialisti” e “popolari” che, tranne in alcuni territori ribelli dello stato – baschi, catalani, galiziani e poco altro – è stata assai gradita agli elettori spagnoli e per lungo tempo. Fino a che, qualche anno fa, prima il governo Zapatero e poi quello Rajoy hanno cominciato ad applicare la cura da cavallo imposta dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario gettando il paese nell’abisso della disoccupazione di massa, degli sfratti, dei tagli all’università e agli ospedali. Una situazione “alla greca” che ha prodotto una reazione altrettanto “alla greca”, con la nascita di una decina di movimenti popolari di massa che nel giro di pochissimo tempo si sono estesi a tutto lo stato. Movimenti che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone che spesso non si erano mai interessate di “politica”, mettendo in atto azioni di disobbedienza e di mobilitazione capillare, quelle ‘maree’ diversamente colorate a seconda del tema preso di petto – bianca contro i tagli alla sanità, gialla contro i tagli alle biblioteche, blu contro la privatizzazione dell’acqua, nera contro i tagli al settore pubblico, verde contro i tagli all’istruzione, viola per la difesa dei diritti delle donne, rossa per i sussidi ai disoccupati, arancione per la difesa dell’assistenza sociale ecc – che i media italiani hanno spesso rappresentato in forma parziale ed episodica. Un’articolazione settoriale che ha spesso messo in crisi il governo del Partito Popolare e la strategia della troika e che ad un certo punto ha cominciato a mettere in discussione non solo i tagli, gli sfratti o l’austerity, ma la stessa architettura politica di una democrazia nata monca a causa della perpetuazione dei fondamentali franchisti all’interno della monarchia parlamentare. E così i cosiddetti “indignados” hanno cominciato a contestare l’istituzione monarchica, una legge elettorale che limita la rappresentanza, i diktat della troika, i provvedimenti repressivi e i privilegi dell’oligarchia.
E’ da un movimento degli ‘indignados’ frutto della reazione di massa della società iberica agli assalti di Bruxelles e Francoforte che è nato Podemos, da una congiunzione di valori e tradizioni di sinistra e un nuovo linguaggio trasversale anticasta che guarda però più alla Grecia di Syriza che all’Italia di Beppe Grillo.
Bastava guardare agli striscioni e agli slogan che hanno invaso ieri il centro di Madrid per accorgersi del forte legame con Atene. D’altronde pochi giorni prima della conclusione della campagna elettorale ellenica il segretario di Podemos, Pablo Iglesias, era volato nella capitale greca per sostenere il futuro premier Alexis Tsipras al grido di “Syriza, Podemos, venceremos”. I risultati delle elezioni greche e i sondaggi che danno Podemos in testa con quasi il 30% dei voti hanno convinto i dirigenti, gli attivisti, i simpatizzanti della nuova formazione politica che “si, se puede”. Uno “yes we can” obamiano in salsa spagnola che potrebbe spazzare via il bipartitismo e dimezzare i consensi di PP e Psoe, cambiando il panorama politico delle Cortes e dei parlamenti locali per la prima volta dall’inizio degli anni ’80. “Questo è l’anno del cambiamento, possiamo sognare e possiamo vincere” sono state le ultime parole del comizio di Pablo Iglesias al termine della “Marcia del Cambiamento” che ha inondato Puerta del Sol e molte delle vie limitrofe, come ai tempi dei grandi raduni degli ‘indignados’, esperienza dalla quale vengono molti degli attivisti e dei dirigenti del nuovo partito (anche se la parte più radicale del movimento contesta la deriva istituzionale e interclassista di Podemos).
Quando la Marcia è partita ufficialmente alle 12 di ieri da plaza de Cibeles in realtà il percorso fino a Puerta del Sol era già occupato da decine di migliaia di partecipanti ‘indisciplinati’ e curiosi. Una manifestazione inconsueta che non aveva al centro alcuna rivendicazione specifica nei confronti di un governo e di una classe politica nei confronti del quale la Marcia ha voluto semplicemente lanciare una sfida a tutto campo.
“Oggi – ha detto Iglesias dal palco di Puerta del Sol – sogniamo un paese migliore, ma non abbiamo riempito questa piazza per continuare a sognare. Siamo qui per rendere questo sogno realtà nel 2015. Ai sogni bisogna dare impulso e quest’anno lotteremo perché il cambiamento politico arrivi. Quest’anno ci sarà qualcosa di nuovo. È l’anno del cambiamento. Quest’anno batteremo il Partito popolare alle elezioni”.
I venti minuti del discorso di Iglesias hanno preso di mira le istituzioni e i poteri economici che hanno imposto e gestito l’austerità provocando una gravissima emergenza sociale mentre i settori dell’oligarchia si sono ulteriormente arricchiti. “C’è bisogno di sognatori. Abbiamo bisogno di Don Chisciotte. Siamo orgogliosi di questo sognatore a cavallo. Non permetteremo che i truffatori lo disarcionino. Il nostro paese non è una marca, la Spagna è la sua gente, mai più il nostro paese senza i suoi cittadini” ha gridato Iglesias tra gli applausi dopo aver toccato le corde profonde di un sentimento nazionalista trasversale anche a quei settori della società che dicono basta all’austerity. “Per molto tempo ci hanno fatto credere che se ai ricchi va bene andrà bene anche per noi, ma è una bugia, è una favola che è diventata un incubo” ha sottolineato Iglesias che più volte ha fatto riferimento alle mobilitazioni e alle rivendicazioni del Movimento 15-M che tre anni fa occupava e si accampava a Puerta del Sol aggiungendo poi: “Oggi in Grecia c’è un governo serio e responsabile che lavora per il suo popolo. Chi diceva che non si può? Chi diceva che un governo non può cambiare le cose? In Grecia si sono fatte più cose in sei giorni che altri governi in anni di attività”. Non sono mancati gli elogi e i richiami agli attivisti delle ‘maree’, ai movimenti contro gli sfratti, ai lavoratori in lotta dell’Aena, della Coca Cola. Ed anche agli ‘yayoflautas’, gli anziani attivisti “che difendono la dignità dei loro figli e dei loro nipoti”, e poi ai “giovani in esilio”, quegli emigranti ai quali Iglesias ha promesso di “lavorare per un paese nel quale tutti possano presto tornare”. E poi ancora un riferimenti ai lavoratori immigrati, che “mai più nessuno deve chiamare stranieri”.
“Di fronte al totalitarismo finanziario noi difenderemo la democrazia” ha promesso il leader indiscusso di Podemos che pure non ha mai fatto riferimento ad un conflitto nei confronti dell’Unione Europea e ad una possibile messa in discussione dell’Euro. D’altronde, esattamente come accade in Syriza, la direzione di Podemos è esplicitamente europeista e non mette in discussione l’architettura istituzionale ed economica dell’Unione Europea che pure andrebbe contestata nel momento in cui ci si propone di eliminare i frutti avvelenati delle sue politiche.
Voglia di governo, svolta socialdemocratica di Podemos
Madrid: Podemos in testa nei sondaggi, a spese di Izquierda Unida
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