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Il riscaldamento globale tra le cause dei conflitti in Africa e Medio Oriente

Dopo anni di intenso dibattito, scienziati ed esperti di sicurezza concordano: il riscaldamento climatico, se non sarà frenato e arginato, sarà sempre più fonte di instabilità e di conflitti. Alluvioni, siccità, fenomeni atmosferici rilevanti e opposti che già si susseguono in molte regioni del pianeta, saranno sempre più frequenti se le emissioni di gas nocivi continueranno a sconvolgere il clima, alimentando le dispute per le risorse.
“Meno acqua e beni alimentari a disposizione, con la migrazione in crescita, aumenteranno i rischi di conflitti violenti” denuncia in un rapporto il Gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del Clima (Giec).
Ma in alcuni paesi, principalmente in Africa – come già notava due anni fa l’Institute for Security Studies (Iss) – la recrudescenza dei conflitti è fin d’ora almeno in parte anche attribuibile agli effetti dei mutamenti climatici. Nel Sahel, ad esempio – dice lo studio – la desertificazione è da tempo all’origine di scontri per il possesso della terra.
Se nel 2007 Ban Ki-moon attribuiva in parte le violenze in Darfur alle rivalità fra gruppi nomadi e sedentari per le risorse naturali, nel 2011 alcuni osservatori hanno azzardato anche un collegamento fra le cosiddette “Primavere arabe” e i lunghi periodi di siccità in diversi paesi produttori di cereali. L’aumento dei prezzi dei beni alimentari dovuto alla crisi dei cereali russi, ucraini e kazaki, secondo il Giec avrebbe ad esempio contribuito allo scoppio delle rivolte in paesi mediterranei già provati socialmente ed economicamente.
Secondo l’ex vice presidente statunitense Al Gore, i mutamenti climatici non sarebbero estranei nemmeno alla crisi in Siria. Dal 2006 al 2010 – ha detto Gore il mese scorso a Davos – una storica siccità ha distrutto il 60% delle tenute agricole, ucciso l’80% del bestiame e portato un milione di persone dalle campagne alle città; sfollati che si sono trovati a convivere in condizioni critiche con un altro milione di rifugiati provenienti dall’Iraq (situazione sul quale si è innestata una scientifica destabilizzazione da parte delle petromonarchie, della Turchia e delle potenze occidentali, cosa che naturalmente Al Gore evita di dire).
Persino il Pentagono, nella sua ‘road map’ per l’adattamento ai mutamenti climatici del 2014, constata che l’aumento delle temperature al livello globale, la crescita del livello dei mari, l’incremento di fenomeni climatici violenti accelerano l’instabilità mondiale.

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