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Obama minaccia Putin. I generali Usa pronti alla guerra

“I russi si stanno mobilitando per una guerra che loro pensano scoppierà entro cinque o sei anni. Non che saranno loro a dichiararla, ma penso che loro stiano anticipando cose che accadranno, che loro saranno coinvolti in qualche tipo di guerra nei prossimi cinque, sei anni”. Parla chiaro il generale Frederick Hodges, comandante dell’esercito statunitense in Europa.
E’ un clima davvero incandescente quello in cui si colloca il vertice odierno tra le grandi potenze sulla crisi ucraina. Il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel andranno oggi a Minsk “per tentare tutto il possibile fino all’ultimo”, ha annunciato questa mattina un portavoce dell’Eliseo confermando lo svolgimento del summit, fino ad ora in forse, nella capitale bielorussa. 
Intanto nel corso della notte i rappresentanti delle Repubbliche Popolari del Donbass hanno sottoposto al Gruppo di Contatto formato dai rappresentanti di Kiev, di Mosca e dell’Osce le loro proposte in vista di un possibile cessate il fuoco. “Abbiamo sottoposto ai partecipanti del Gruppo di contatto una serie di misure in vista di una soluzione politica e militare”, ha dichiarato l’emissario della repubblica di Donetsk Denis Pushilin secondo il quale però è troppo presto per parlare di una tregua. Dopo due ore di discussioni, l’ex presidente ucraino Leonid Kuchma, l’ambasciatore russo a Kiev Mikhail Zurabov, la rappresentante dell’Osce in Europa Heidi Tagliavini e gli emissari delle due repubbliche indipendentiste, Denis Pushilin e Vladislav Deinego, hanno lasciato il luogo dell’incontro senza fornire ulteriori particolari sul contenuto delle proposte.
Ieri pomeriggio il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier aveva lanciato un appello alle parti in conflitto affinché non sabotino il summit di Minsk. “Io spero che nessuno di coloro che sono implicati nei combattimenti spingerà a un’esplosione di violenza che rimetta in causa (il fatto che si tenga la riunione di) Minsk” aveva dichiarato il capo della diplomazia tedesca in una conferenza stampa congiunta col suo omologo greco Nikos Kotzias a Berlino. “Non sarebbe – ha aggiunto – la prima volta che un atto di sabotaggio politico, un tiro volontario, riduca a nulla le speranze di cessate-il-fuoco”.
Ma poco dopo è stato di nuovo il presidente degli Stati Uniti ad aizzare il fuoco. In una telefonata al leader russo Vladimir Putin Barack Obama è tornato di nuovo a usare un tono durissimo nei confronti di Mosca, minacciando un intervento diretto degli Usa nel conflitto nel caso in cui la Russia non accetti gli ultimatum dettati nei giorni scorsi – l’ingerenza di Mosca nel conflitto, il supporto delle milizie indipendentiste – ribadendo il sostegno della Casa Bianca “sovranità e all’integrità territoriale” dell’Ucraina.
Una telefonata minatoria alla quale Mosca ha reagito dicendosi “pronta all’escalation” se Washington deciderà di inviare aiuti militari al regime di Kiev. Gli Stati Uniti – ha accusato il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev – «cercano di coinvolgere la Russia in un conflitto militare interstatale» e «sfruttando la questione ucraina vogliono un cambiamento del potere» in Russia e «infine lo smembramento del nostro Paese». 
Una chiara risposta anche al segretario di Stato Usa John Kerry che di nuovo, ieri, rivolgendosi ai deputati, si era detto favorevole al supporto militare diretto delle forze governative ucraine da parte degli Stati Uniti.
All’interno dell’amministrazione Obama e tra i comandi militari, secondo alcuni media d’oltreoceano, si stanno rafforzando sempre più le posizioni favorevoli ad una escalation nei confronti di Mosca e dell’intervento militare a fianco delle truppe di Kiev. E non mancano gli attacchi a quello che viene definito “l’attendismo” dell’inquilino della Casa Bianca. Ad esempio quello di Den­nis Ross, ex inviato di Clinton per il Medio Oriente e poi con­si­gliere del segre­ta­rio di Stato Hil­lary Clin­ton per l’Iran. «Il rischio di pun­tare sulla debo­lezza e lasciare che la cosa si evolva è che Putin può anche così pro­vo­care molti danni», ha sottolineato Ross, attualmente ana­li­sta al Washington Insti­tute for Near East Policy. La questione dell’invio di un ingente quantitativo di armi – e qualcuno parla anche di truppe – a Kiev sta creando molte tensioni tra Washington e gli alleati europei, e sembra che Berlino abbia minacciato Washington di svincolarsi dalla filiera militare statunitense e di accelerare la formazione dell’esercito europeo e di un complesso militare-industriale dell’Ue, d’altronde già in atto. Un’eventuale rottura tra Usa e asse franco-tedesco potrebbe ulteriormente dividere i due corni della Nato, già immobilizzata dalle divisioni in alcune recenti crisi e che per ora mostra i muscoli a Mosca senza però dimenticare che la controparte è una grande potenza nucleare, e che riempire il Baltico o l’Europa Orientale di basi militari e di caccia avrà uno scarso potere deterrente in caso di guerra totale.
Ma la voglia di guerra negli Stati Uniti cresce, e anche il riluttante e ondivago Obama ha ribadito che “l’invio di armi difensive all’Ucraina è una delle opzioni in campo, da non escludere a priori”. Una scelta ormai sostenuta non solo da Kerry, ma anche dal vicepresidente Biden e dalla consigliera Susan Rice, per non parlare del generale Philip Breedlove, comandante supremo della Nato in Europa.
Secondo ex diplomatici, alti gradi militari ed esperti statunitensi interrogati dalla stampa a stelle e strisce, gli aiuti statunitensi a Kiev comprenderebbero “missili anti-blindati, radar anti-artiglieria, droni leggeri, radio criptate, informazioni di intelligence, munizioni e altro tipo di equipaggiamenti”. Secondo i vertici militari di Kiev i missili leggeri anti-blindati sarebbero cruciali per consentire all’esercito ucraino di respingere gli attacchi delle milizie del Donbass che sono state capaci di sfondare le linee nemiche con l’aiuto di veicoli blindati e carri armati strappati ai governativi o recuperati da vecchi musei militari. 
Un rapporto realizzato da un team di esperti occidentali (tra questi l’ex sottosegretario al Pentagono Michèle Flournoy e l’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della Nato) evidenzia che l’artiglieria dei “separatisti” ha provocato il 70% delle perdite tra le forze ucraine che non dispongono di droni e radar contro-batteria per rispondere con efficacia al fuoco nemico. Il report propone di decuplicare gli aiuti militari Usa a Kiev (114 milioni di dollari l’anno scorso su 350 milioni previsti entro il 2016) portandoli a un miliardo quest’anno più altri due entro il 2017.
I media nostrani fanno finta di nulla, ma nel caso Washington dovesse decidere di riempire le truppe ucraine di armi e sistemi logistici dovrebbe necessariamente prevedere l’invio di un cospicuo numero di consiglieri militari per insegnarne l’uso ai beneficiari. E se davvero Washington punta alla soluzione militare del conflitto in Donbass dovrà intervenire massicciamente su un esercito ucraino composto di truppe poco motivate e scarsamente addestrate, inclini alla diserzione o alla resa e spesso dirette da ufficiali incompetenti. Lo sforzo necessario in termini militari ed economici sarebbe quindi assai più consistente di quello prefigurato ora all’opinione pubblica statunitense. Anche perché l’Ucraina le armi e l’assistenza ricevute non sarebbe certo in grado di pagarle.
A favore del riarmo di Kiev ci sono però altri partner. Sicuramente i falchi antirussi di Polonia e Repubbliche Baltiche. Il ministro degli Esteri della Lituania Linas Linkevicius ha descritto la possibilità per gli Stati Uniti di fornire all’Ucraina armi americane come “una mossa logica”. Secondo Linkevicius “l’Ucraina deve essere aiutata, non solo finanziariamente ed economicamente, ma anche militarmente, per esempio fornendo armamenti difensivi”. Anche la Polonia non esclude la possibilità di fornire armi all’Ucraina almeno stando alle dichiarazioni del ministro della difesa polacco Tomasz Siemoniak. “La Russia deve tener conto del fatto che gli Stati Uniti, o l’Occidente in generale, sono in grado di prendere la decisione di armare l’Ucraina e che si tratta di una carta in mano all’Occidente, che può essere utilizzata in futuro, se non oggi”, ha affermato Siemoniak citato dal Financial Times. “La Polonia è aperta alla vendita di armi all’Ucraina” ha sostenuto il ministro degli Esteri polacco Grzegorz Schetyna.
Ed anche il governo britannico, che sembrava schierato con Germania e Francia contro l’escalation, sembra ora riallinearsi almeno in parte con il tradizionale partner. “Il Regno Unito si riserva il diritto di armare l’Ucraina e non consentirà il collasso dell’esercito ucraino” ha affermato ieri il ministro degli Esteri di Londra Philip Hammond, secondo il quale Vladimir Putin si comporta come un “tiranno della metà del secolo scorso”, inviando le sue truppe ad “oltrepassare la frontiera internazionale e occupare il territorio di un altro paese”. Hammond ha poi precisato che rifornire di armi l’Ucraina non è “al momento un’ipotesi” considerata da Londra, ma anche che il suo governo potrebbe cambiare idea.

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