Francois Hollande, Angela Merkel, Vladimir Putin e il presidente ucraino Petro Poroshenko “hanno constatato che il rispetto del cessate-il-fuoco” nell’est dell’Ucraina “è stato globalmente soddisfacente malgrado incidenti locali che occorre rapidamente risolvere”. E’ questa la formula che il capo dell’Eliseo ha utilizzato ieri per confermare il rispetto degli accordi di Minsk dopo essersi consultato al telefono con gli altri tre componenti del quartetto.
Ma il linguaggio diplomatico lascia già intravedere delle crepe non indifferenti nel fragile accordo raggiunto su pressione di Putin e dei leader di Francia e Germania dopo l’ennesima escalation impressa alla crisi ucraina dagli Stati Uniti e dai nazionalisti di Kiev.
Già ieri le due parti in conflitto si sono accusate reciprocamente di aver violato il cessate il fuoco entrato in vigore a mezzanotte. Il bilancio complessivo delle ultime 24 ore prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco è stato sabato di almeno 14 persone uccise, 8 militari e 6 civili. Tre bambini (di 1, 6 e 12 anni) erano rimasti uccisi il giorno prima a Gòrlovka, in conseguenza di un bombardamento governativo, e altri tre morti li ha provocati sabato a Donetsk la probabile azione di un gruppo di sabotatori infiltratisi oltre le linee delle Repubbliche Popolari.
Eduard Basurin, portavoce del Ministero della Difesa dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, ha denunciato che l’esercito ucraino «ha violato la tregua e che i civili continuano ad essere uccisi in località popolate», aggiungendo che i miliziani «hanno risposto selettivamente al fuoco nemico dei nazionalisti e dei sabotatori di Kiev». Il regime ha replicato attraverso il portavoce dell’esercito Anatoly Stelmach: «Ci sono stati dieci attacchi dei ribelli sulle nostre postazioni, principalmente nell’area di Debaltseve».
E’ proprio su quanto potrebbe accadere nella sacca di Debaltsevo, dove sei-ottomila soldati e miliziani governativi – e, sembra, qualche centinaio di mercenari stranieri – sono accerchiati ormai da due settimane, che si concentrano le preoccupazioni delle due parti in conflitto e delle grandi potenze.
Di fatto nei 13 punti concordati in Bielorussia dal quartetto non ci sono indicazioni specifiche sulla soluzione del rompicapo Debaltsevo. La soluzione più logica è che i soldati di Kiev intrappolati e circondati da numerose batterie di artiglieria pesante abbandonino le armi e si arrendano, in cambio della possibilità di tornarsene a casa. Ieri il leader della repubblica di Donetsk, Aleksander Zakharchenko, ha chiesto che le “forze ucraine a Debaltseve e nelle aree urbane limitrofe lascino la città disarmate e in modo organizzato”.
Si eviterebbero un bagno di sangue e una disfatta di enormi proporzioni per l’esercito governativo, ma Poroshenko e Jatsenjiuk, e ancora di più le forze di estrema destra ucraine, non vogliono sentir parlare di una resa che consegnerebbe agli insorti un importante nodo ferroviario e strategico a metà strada tra Donetsk e Lugansk.
Intanto nelle scorse ore il primo intoppo, quando i rappresentanti dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), incaricati di monitorare il rispetto delle clausole di Minsk, hanno denunciato che le forze militari indipendentiste hanno impedito loro l’accesso alla sacca di Debaltsevo. Secondo l’Osce non solo nella località in questione, ma anche a Raihorodka e nella città di Lugansk si è sparato ieri.
Mentre l’oligarca Petro Poroshenko si è appigliato ad alcune veline statunitensi per denunciare “la presenza di artiglieria russa a Debaltsevo”, il governo di Mosca si è detto «fortemente preoccupato» dai tentativi di Kiev e dell’Occidente di «distorcere» gli accordi di Minsk 2, che la Russia propone di suggellare con il sostegno del consiglio di sicurezza dell’Onu al quale ha presentato una bozza di risoluzione.
Altri due punti assai controversi degli accordi raggiunti nella capitale bielorussa riguardano lo status dei territori ribelli all’interno di una Ucraina “federalizzata” e il controllo della frontiera tra Donbass e Russia. Per quanto riguarda il punto 11 della road map di Minsk, il rappresentante della Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin, ha ricordato che la DNR e la LNR pretendono una riforma della Costituzione ucraina che conceda ai rispettivi territori un ampio autogoverno per quanto riguarda lingua e cultura, polizia locale, nomina dei giudici, bilanci e tassazione ecc.
Sabato Aleksander Zakharchenko, incontrando i giornalisti (e scampando ad alcune esplosioni che hanno preso di mira il centro di Donetsk, a 100 metri dall’hotel dove era prevista la conferenza stampa) ha ricordato che se Kiev non concederà alle due repubbliche “una indipendenza de facto” gli insorti reclameranno l’intero territorio delle due regioni ucraine abitate da popolazioni russofone.
D’altra parte l’accordo bielorusso stabilisce anche che l’Ucraina riprenda il controllo militare e politico dei suoi confini orientali, ma è più che evidente che né le repubbliche indipendentiste né Mosca accetteranno mai che le truppe di Kiev si installino sulla linea di frontiera, di fatto sparita, tra Donbass e Federazione Russa.
Due argomenti spinosissimi per il presidente Poroshenko – insieme all’implicito riconoscimento della perdita definitiva della Crimea – che a Minsk ha dovuto ingoiare il rospo ma che ora in patria ha non pochi problemi a difendere la trattativa in un parlamento dominato dalle forze estremiste. Non è solo il leader dei neonazisti di Pravyj Sektor, Dmitrij Jarosh, a dichiarare pubblicamente che il suo battaglione continuerà a combattere «nonostante Minsk». Il partito di coloro che denunciano la ‘resa’ e ‘il tradimento’ del re del cioccolato si infoltisce di ora in ora.
Sul fronte opposto anche Vladimir Putin, che secondo molti analisti sarebbe il vero vincitore di Minsk, deve confrontarsi con la scarsa predisposizione delle Repubbliche indipendentiste – o almeno di parte di esse – a lasciarsi strumentalizzare per poi magari venire abbandonate dal Cremlino una volta allentata la tensione con l’Ue o la Nato. Non sono mancati negli ultimi giorni espliciti altolà a Mosca da parte di Donetsk e Lugansk, che mentre la trattativa bielorussa entrava nel vivo hanno indurito le proprie richieste e in un primo momento avevano affermato di non sentirsi vincolati dai 13 punti di Minsk che poi invece hanno riconosciuto, lasciandosi però mano libera su Debaltsevo. Da segnalare che i due premier delle repubbliche indipendentiste – Zakharchenko e Plotnitsky – hanno sottoscritto l’accordo come privati cittadini. Perché il loro status non viene riconosciuto non solo dall’Ucraina e neanche dalla Federazione Russa, ma anche perché in questo modo le due rispettive entità del Donbass potrebbero svincolarsi più facilmente dalla gabbia di Minsk.
D’altronde dal punto di vista militare – con l’aiuto di Mosca – le milizie di autodifesa hanno ottenuto negli ultimi mesi importanti vittorie militari liberando circa 500 chilometri quadrati di territorio e non vogliono certo farsi ricacciare indietro in nome di un processo negoziale nato monco e che non garantisce alcuna soluzione.
Che la soluzione sia lontana, lontanissima, e che la tregua in vigore sia solo un fuoco di paglia sembrano confermarlo due notizie dell’ultim’ora. La prima è che l’ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili è stato nominato consigliere del presidente ucraino Petro Poroshenko per il processo di riforme del Paese. Saakashvili, 47 anni, sarà a capo del Consiglio consultivo internazionale per le riforme con l’obiettivo di indicare a Kiev le riforme da avviare, rafforzando così il controllo della Nato e del Fondo Monetario su un paese economicamente già allo sbando.
Occorre ricordare che Saakashvili arrivò al potere in Georgia nel 2003, dopo la cosiddetta “Rivoluzione delle Rose” che aveva provocato la destituzione del presidente Eduard Shevardnadze. Autore di una provocazione militare contro la Russia che nell’estate del 2008 costò al suo paese una dura sconfitta, è attualmente sottoposto a procedimento penale in patria per corruzione e per aver ordinato il pestaggio di un avversario politico. Non proprio il curriculum ottimale per un eroe della lotta alla corruzione…ma sicuramente sì per una marionetta di Washington e da sempre fautore dell’espansione della Nato ad est.
Come se non bastasse, da fonti di stampa si apprende che l’Unione Europea ha deciso di non sospendere l’applicazione di nuove misure sanzionatorie contro la Russia come invece promesso in caso di raggiungimento di un cessate il fuoco in Donbass.
Dalla Gazzetta Ufficiale dell’UE si apprende che ci sono anche due viceministri della Difesa di Mosca nella lista ampliata delle sanzioni dell’Unione Europea varate contro singoli individui “coinvolti nel conflitto nell’Est dell’Ucraina”. Si tratta di Arkady Bakhin e Anatoly Antonov, rispettivamente primo viceministro e viceministro della Difesa russa, inclusi nella black list europea perchè “sostengono il dispiegamento delle truppe russe in Ucraina”. Secondo l’agenzia Interfax, nella lista ampliata figura anche il responsabile della Difesa della Repubblica di Donetsk, Basurin.
Mentre scriviamo le agenzie di stampa battono la notizia che dall’entrata in vigore della tregua, sabato a mezzanotte, sarebbero già cinque i soldati di Kiev uccisi. E domani sembra assai difficile che inizi il ritiro dell’artiglieria pesante a 25 chilometri dal fronte così come previsto dagli accordi di Minsk. Lo ha detto chiaro e tondo il portavoce dell’esercito ucraino, Vladyslav Seleznyov: “al momento è assolutamente escluso il ritiro delle armi pesanti” dal fronte di guerra.
Leggi anche: La Nato si prende l’Ucraina: al governo banchieri stranieri e marionette Usa
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
paolo dp
la georgia è in bilico per aderire alla nato, ma dopo l’ultima invenzione golpista degli usa con shakasvili, vi è stata una dura presa di posizione.
speriamo che a tblisi la gente si svegli e faccia finita con questi mafio-fascisti.