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L’Eurogruppo spinge la Grecia al fallimento

L’Unione Europea sembra abbia deciso: la Grecia deve morire. O almeno questo suo strano governo che pretende di restare “in Europa” ma senza le regole idiote che hanno distrutto quel paese solo per salvare le banche tedesche e francesi e “far vedere chi comanda”.

Il ministro delle finanze di Atene, Yanis Varoufakis, aveva inviato la lettera di impegni in vista della riunione dell’Eurogruppo di domani, accompagnando con interviste – da parte sua, di Tsipras e persino dell’alleato minore, il destro PanosKammenos, ministro della difesa – in cui il tabù di un referendum popolare sull’euro veniva citato apertamente. Una dimostrazione di determinazione da parte greca, della serie “più di così non medieremo, piuttosto ce ne andiamo”.

Ma l’Eurogruppo, su forte spinta tedesca e olandese, fiancheggiati però dai governi di destra di Spagna, Irlanda e Portogallo (che rischiano di uscire di scena con le prossime elezioni politiche), ha scelto la linea durissima, al limite e oltre il limite dell’insulto.

La lista di riforme annunciate da ATene viene infatti definita  «lontana dall’essere completa», in ogni caso realizzabile su tempi troppo lunghi (lotta all’evasione e alla corruzione, portano risultati non quantificabili in anticipo e, appunto, richiedono tempo e battaglie politico-amministrative dure). 

La notizia più tragica, però, è l’annuncio – fatto direttamente dal presidente dell’Eurogruppo, il super-falco olandese Jeroen Dijsselpbloem – che «Nessuna tranche di aiuti verrà versata nel mese di marzo». L’intenzione criminale è dunque di lasciare Atene senza liquidità a stretto giro di giorni, magari sperando – o lavorando dietro le quinte – che le forze di destra elleniche prendano l’occasione per tentare la spallata di forza contro il governo Syriza.

A questo punto diventa molto più probabile  il ricorso al referendum popolare per chiedere al popolo greco se davvero vuole restare – come dicevano i sondaggi fino al giorno delle elezioni, il 25 gennaio – dentro l’Unione Europea, i suoi trattati e dunque anche la moneta comune. Sarebbe la certificazione dell’impossibilità di “riformare” l’Unione Europea, prigione da cui si può solo cercare di evadere il prima possibile.

Il ministro Varoufakis ha dato una formulazione leggermente più restrittiva, parlando di un referendum solo «sulle misure» che il governo dovrebbe adottare nel caso che la Troika (Bce, Ue, Fmi) continuino a chiedere a un governo di “sinistra radicale” di adottare le stesse “riforme” chieste e realizzate dal governo di destra precedente. Un modo di attivare tutto il popolo e farsene forti anche nelle trattative istituzionali a Bruxelles.

I più carogneschi sono stati però in giornata due dei funzionari della Troika che per anni avevano imperversato ad Atene, scrivendo la legisalzione che poi Papandreou e Samaras avevano adottato, ma che il nuovo governo aveva perfino rifiutato di incontrare: secondo loro, infatti, molte delle misure indicate nella lettera all’Eurogruppo sarebbero “dilettantesche”.

A seguire i “tecnici” che hanno analizzato la lettera di Atene, i quali – appunto – avrebbero concluso che “non rispetta” i termini dell’accordo di 15 giorni fa e pertano impedisce di sbloccare la tranche di liquidità che doveva essere erogata a marzo.

 A questo punto la riunione dell’Eurogruppo di domani diventa un processo al governo greco per arrivare a metterlo davanti a un ultimatum definitivo.

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L’intervista di Varoufakis al Corriere della Sera, ovviamente prima della risposta dell’Eurogruppo:

Grecia, parla Varoufakis: «Atene non chiederà altri prestiti»

Intervista al ministro delle Finanze greco: «La Bce nel 2012, in una crisi simile ma con un governo conservatore, aumentò senza problemi la nostra possibilità di emettere titoli a breve termine Ora invece è molto ”disciplinante” con la Grecia»

Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, dice che non ci sarà bisogno di un nuovo prestito internazionale ad Atene. Naturalmente se la strada che ha in mente il suo governo sarà condivisa dai partner europei. Sul caso ellenico si riunirà lunedì, a Bruxelles, l’Eurogruppo (i ministri finanziari dell’eurozona): discuterà la lettera con le proposte avanzate da Varoufakis per affrontare l’emergenza dei prossimi mesi, che dal punto di vista dei flussi di cassa può diventare drammatica. In questa intervista – raccolta a Venezia, mentre partecipava a un convegno dell’Aspen Institute Italia – il ministro illustra invece la strategia di medio-lungo periodo del governo guidato da Alexis Tsipras: per rispettare il mandato ricevuto dagli elettori e allo stesso tempo trovare un accordo con Ue, Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi), i suoi creditori principali. Problemi seri di cassa?
«Posso solo dire che il denaro per pagare le pensioni e i salari dei dipendenti pubblici lo abbiamo. Per il resto vedremo».
Nei giorni scorsi si è parlato della necessità di un terzo prestito ad Atene, di 50 miliardi.
«Non credo sia necessario un nuovo prestito. Non torneremo nel meccanismo del prestito in cambio di un programma da rispettare. L’idea che proponiamo ai partner europei è quella di un progetto che ridia alla Grecia la possibilità di crescere e fermare la crisi umanitaria».
Come?
«Tra ora e giugno si tratta di stabilizzare la situazione. Poi, dovrà scattare un secondo livello: per fare ripartire l’economia greca. È nostra intenzione arrivare a un “contratto per la crescita” basato su un approccio fiscale ragionevole».
Un «contratto sulla crescita» fondato su cosa?
«Tre punti essenziali. Un surplus di bilancio rivisto, quello previsto in passato strangolerebbe la Grecia. Una ristrutturazione del debito intelligente. Un piano di investimenti di grande portata».
Iniziamo con il surplus primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) che i creditori vorrebbero al 4,5% del Prodotto interno lordo.
«Fare una percentuale oggi non ha senso. Dipende dalla bilancia dei conti correnti e dal rapporto tra investimenti e risparmi. Ora c’è troppo risparmio rispetto all’investimento. Dobbiamo cambiare senso alla situazione e, a quel punto, maggiore sarà l’investimento maggiore potrà essere il surplus del bilancio pubblico».
Ristrutturazione del debito: l’Eurogruppo l’ha esclusa più volte.
«Ma ci propongono di allungare le scadenze dei rimborsi e una diminuzione dei tassi d’interesse: cos’è questa se non una ristrutturazione? L’alternativa che proponiamo non ha l’obiettivo di fare pagare agli altri Paesi i nostri debiti, anzi proponiamo di remunerare di più i prestiti».
Qual è la proposta?
«La sostituzione del debito attuale con titoli legati alla crescita nominale (più il Paese cresce, maggiori interessi paga; meno cresce, meno ne paga, ndr). Niente di unilaterale. Ma vorrei che in Europa si capisse che è un modo per restituire più denaro, non meno. Inoltre, avrebbe l’effetto straordinario di dare il segnale che l’Europa è un nostro partner nella crescita».
Terzo, il piano di investimenti.
«Il mio modello è la Banca europea per gli investimenti (Bei). Per tutta l’Europa. C’è un enorme lago di liquidità in circolazione, la Bei può emettere grandi quantità di bond, raccogliere capitali tra gli investitori e impiegarli in buoni progetti. C’è il timore che un’operazione così faccia alzare i rendimenti che la Bei deve pagare? Se i suoi titoli li compra la Bce, come ha già deciso di fare in una certa misura, il problema è risolto».
Che risposte riceve nell’Eurogruppo quando fa queste proposte?
«Silenzio. C’è silenzio. È che l’Europa va avanti per inerzia. È come una grande nave che impiega tempo per cambiare rotta. In più, se il cambiamento viene da un governo della sinistra radicale, prevale il timore che dietro ci sia qualcosa di losco».
La Grecia è tornata in recessione, dopo che Syriza ha vinto le elezioni. Come vede le prospettive quest’anno?
«La Grecia non è tornata in recessione. Per il semplice fatto che non ne era mai uscita. È falso sostenere il contrario. A causa della deflazione, il Pil nominale cala anche se quello reale cresce. Io voglio che cresca il Pil nominale (quello che tiene conto dell’andamento dei prezzi, ndr). Crescere quest’anno sarebbe possibile. Se ci sarà un accordo nell’eurozona. Ma c’è una situazione di prezzi dei beni in caduta che è ingegnerizzata politicamente».
Ingegnerizzata politicamente?
«Chi viene a investire in Grecia se si parla continuamente di “Grexit”, della nostra uscita dall’euro? Parlare di “Grexit” è velenoso. Quando cesserà, e questa è una scelta politica, ci sarà un rimbalzo, molta esuberanza, persino il rischio che si creino bolle. Per questo voglio che la ripresa abbia basi solide. E queste vengono dall’accordo con l’Europa».
Senza un accordo a Bruxelles potreste avere problemi ad Atene?
«Credo che il governo sopravvivrebbe comunque. La nostra grande forza è il legame di fiducia con la gente: noi non mentiamo ai greci. Dopo cinque anni in cui l’establishment ha sostenuto di volere salvare la Grecia, e ha messo tutto sulle spalle dei poveri, la gente capisce. Mi ferma per strada e mi chiede solo di dire la verità e di ridare dignità al Paese».
Se però Bruxelles non accetta il vostro piano…
«Potrebbero esserci problemi. Ma, come mi ha detto il mio primo ministro, non siamo ancora incollati alle poltrone. Possiamo tornare alle elezioni. Convocare un referendum (sull’euro, ndr)».
Com’è il suo rapporto con Mario Draghi e la Bce?
«Formale».
Cosa intende?
«La Bce è molto “disciplinante” nei confronti della Grecia. Nel 2012, in una situazione di crisi simile ma con un governo conservatore, fu flessibile, aumentò senza problemi la possibilità del governo di emettere titoli a breve termine. Ora invece ha molto ridotto la nostra agibilità».
Quando crede che la Bce comprerà titoli greci all’interno del programma di Quantitative Easing che ha lanciato? Si dice a luglio.
«Penso che il Quantitative Easing andrebbe fatto dove la mancanza di crescita è massima. Invece si compreranno grandi quantità di titoli tedeschi. Quindi credo che la Bce avrebbe dovuto comprarli ieri i titoli greci. Non un domani. Ritengo Draghi uno splendido banchiere centrale, date le condizioni di scarsa libertà in cui si muove. Ma l’indipendenza della banca centrale deve essere nei due sensi: anche la Bce non deve dare giudizi politici, deve trattare tutti i Paesi allo stesso modo».

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