Gli equilibri geopolitici internazionali cambiano ormai molto rapidamente, e si fa fatica a rimanere aggiornati. Un buon indicatore dell’indice di “potenza” di alcuni poli mondiali arriva sicuramente dal mercato internazionale degli armamenti.
Gli indici del settore dicono ad esempio che la Cina, nella classifica mondiale dei paesi esportatori di armi, ha ormai scavalcato la Germania – che pure ha già deciso un aumento degli investimenti militari – piazzandosi al terzo posto soltanto dietro a Stati Uniti e Federazione Russa, anche se per ora a una distanza enorme dai due giganti. Mentre gli Usa esportano infatti il 31% delle armi vendute a livello globale e la Russia un buon 27, la Cina rimane assai lontana con ‘solo’ il 5%. E comunque Germania e Francia rimangono di poco sotto la quota raggiunta da Pechino, pur essendo paesi enormemente più piccoli.
Inoltre Washington recentemente ha allungato il passo sugli sfidanti incrementando le proprie esportazioni del 23% dal 2009 al 2014.
Però, secondo uno studio pubblicato dal Sipri – Stockholm International Peace Research Institute – di Stoccolma, Pechino sta facendo passi da gigante e scalando la classifica assai rapidamente, con un tasso di crescita delle proprie esportazioni del 143% dal 2009 al 2014, periodo in cui la Cina è riuscita a far calare le importazioni del 42%, potendo incrementare il suo apparato militare-industriale diminuendo la dipendenza da terzi (soprattutto dalla Russia e dall’Ucraina) grazie alla propria produzione interna e a consistenti investimenti.
Ormai Pechino è in prima fila nella vendita di armi a ben 35 paesi, in particolare in Asia, in Pakistan, Bangladesh e Myanmar soprattutto. D’altronde è proprio in Asia che si concentrano ben cinque dei dieci paesi che importano più armi al mondo: India (15%), Cina (5%), Pakistan (4%), Corea del Sud (3%) e Singapore (3%).
Anche se recentemente il flusso di esportazioni cinesi sta crescendo anche verso alcuni paesi africani. “L’Algeria è stato il principale importatore di armi in Africa, seguito dal Morocco, le cui importazioni di armi sono aumentate di 11 volte – ha precisato il Sipri – Camerun e Nigeria hanno ricevuto armi da Paesi diversi per far fronte alla loro richiesta urgente di armi nella lotta al gruppo islamista Boko Haram”.
“Gli Stati Uniti hanno a lungo utilizzato l’esportazione delle armi come uno strumento di politica estera e di sicurezza, ma recentemente le esportazioni servono sempre più a Washington per sostenere i livelli produttivi dell’industria degli armamenti interna in un periodo di diminuzione delle spese militari nel paese” ha dichiarato alla Deutsche Welle Aude Fleurant, direttore del programma sulle spese militari del SIPRI. Contemporaneamente, la Cina ha aumentato negli ultimi anni le proprie spese militari del 10-12%, e anche per il 2015 la previsione è di un incremento simile. Nulla al confronto con i quasi 600 miliardi di dollari che Barack Obama chiede al parlamento del suo paese di investire nel settore bellico nel 2016. Quelle previste da Pechino quest’anno – 142 miliardi di dollari – al confronto sembrano poca cosa per un paese le cui frontiere marittime sono ormai da anni assediate da un massiccio ridi spiegamento navale e militare statunitense nel Pacifico e dalla crescenti aspirazioni militariste ed egemoniche del Giappone.
A conferma del protagonismo commerciale cinese nel settore degli armamenti, grande attenzione ha ricevuto all’ultima fiera Idez ad Abdu Dhabi del sistema anti-aereo e anti-missile FD-2000 (o HQ-9) in grado di abbattere ogni velivolo o missile fino ad una distanza massima di 200 km e ad una quota di 27 km. Si tratta di un sistema di difesa aerea che la Turchia, che pure è un paese aderente alla Nato, ha confermato lo scorso 16 febbraio di voler acquistare al posto degli evidentemente meno efficaci sistemi statunitensi in dotazione ad Ankara.
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