Ultim’ora. Il Parlamento greco ha approvato il disegno di legge del governo Tsipras per fronteggiare la “crisi umanitaria” che affligge il paese. È una sfida aperta al parere contrario della Commissione Europea. Le misure (per una spesa totale di circa 200 milioni di euro) sono state votate anche dall’opposizione di centrodestra dell’ex servo della Troika, Antonis Samaras, preoccupato che contro di lui si possa ancora rivolgere la rabbia del paese.
Immediato anche il malumore della Commissione Europea (il “governo” comunitario), il cui presidente, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato:«Sono preoccupato e non soddisfatto dei progressi degli ultimi giorni. Vorrei che tutte le parti facessero dei passi avanti».
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Non si può dire che non siano espliciti, anche al di là delle proprie intenzioni. La lettera che Declan Costello, direttore degli affari economici dell’Unione Europea, ha inviato al governo greco è un concentrato di ferocia: “Si tratta di iniziative che vanno discusse prima con i creditori, in un quadro di riforme più ampio. Procedere unilateralmente significherebbe venire meno agli impegni presi il 20 settembre all’Eurogruppo”.
Sì, ma di cosa si sta parlando? Delle “leggi umanitarie” che oggi Tsipras sottopone all’approvazione del Parlamento di Atene. Poca cosa, vista con gli occhi del bisogno (elettricità gratis, 150 euro di sussidio per pagare l’affitto e 100 euro di buoni pasto al mese, per 150mila famiglie alla fame), ma importante per confermare le intenzioni dell’esecutivo davanti alle sofferenze di un popolo sottoposto da cinque anni a “waterboarding fiscale”.
Neanche questo minimo sollievo – secondo le “menti” dominanti da Bruxelles – dovrebbe esser disposto da un governo esplicitamente eletto per fare decisamente di più, ovvero metter fine all’austerità e al comando della Troika. Né sembra valere l’osservazione – elementare – che l’attuale esecutivo greco è l’opposto, politicamente e socialmente parlando, di quello guidato da Antonis Samaras, che aveva appunto firmato l'”accordo” con l’Eurogruppo il 20 settembre. Non importa di che colore sia il governo, hanno deciso alla Troika, deve comunque fare quel che diciamo noi.
La questione delle “misure umanitarie”, comunque, costituisce addirittura un elemento minore, all’interno dello scontro durissimo che si è aperto tra Atene e l’Unione Europea. In assenza delle “riforme strutturali” pretese da Bruxelles – e che il governo Tsipras non ha neanche preso in considerazione, finora – il presidente dell’Eurogruppo, il “falco olandese” Jeroen Dijsselbloem, ha prospettato la “soluzione Cipro”, ovvero il controllo dei capitali nelle banche greche. “Potrebbe essere una decisione utile per tenere il paese nell’euro se la situazione precipitasse. L’abbiamo fatto a Cipro nel 2013, chiudendo le banche per qualche giorno e limitando i prelievi. E ha funzionato”.
In realtà a Cipro è stato fatto molto di più. E’ stato disposto il bail in, ovvero il prelievo forzoso dai conti correnti delle banche locali, colpendo sia cittadini ciprioti che depositanti stranieri. Un esproprio, né più né meno.
Evocando questo tipo di misure, di fatto, l’Eurogruppo spinge Atene verso il default e l’uscita dall’euro. Nelle intenzioni dela Troika è una “proposta che non si può rifiutare”, ossia un ricatto stile “il padrino” che dovrebbe costringere il gruppo dirigente di Syriza a capitolare.
Che quest’ultimo stia resistendo ai limiti delle proprie possibilità, rispettando le proprie convinzioni e il mandato elettorale – per quanto assurdo possa sembrare, il 25 gennaio i greci ancora volevano sia la permanenza nell’eurozona che la fine dell’austerità. La speranza, per il popolo greco e per tutti quelli che vogliono in varia misura cambiare le cose, è che qualcuno, ad Atene, stia elaborando un “piano B”. Fuori dall’Unione Europea.
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Mic
L’Unione Europea è come il boss Paulie di “Quei bravi ragazzi”.
“Non hai da mangiare? Vaffanculo e pagami!”