La precipitazione della Tunisia nell’incubo della guerra globale dichiarata dall’Isis è una parziale novità. Novità perché non era accaduto fino ad ora, parziale perché l’Isis sembra che stia “marcando il territorio” delle sue azioni militari in tutti i paesi arabo-islamici ritenuti “apostati”. Colpisce però il fatto che lo Stato Islamico continui ad agire solo contro paesi che risultano dissonanti dagli interessi statunitensi (Siria, Libia, Iraq). E la Tunisia del nuovo governo Essebsi, in tal senso, sembra che abbia fatto recentemente qualche passo che non è piaciuto affatto alla Casa Bianca.
Il 20 febbraio scorso l’ambasciatore statunitense in Tunisia Jacob Walles, aveva voluto incontrarsi con il neo presidente tunisino Beji Caid Essebsi. Nell’incontro, l’ambasciatore Usa intendeva insistere sul progetto di una base militare statunitense in Tunisia, una proposta alla quale – secondo Press Tv – il presidente tunisino avrebbe reagito con grande irritazione. Non solo. Pare che la “irritazione” di Essebsi per le pressioni statunitensi sia arrivata al punto di negarsi ad una telefonata di Obama. Essebsi ha vinto le ultime elezioni in Tunisia con il partito Voce della Tunisia che ha ottenuto la maggioranza sconfiggendo il partito islamico Ennhada che aveva governato a Tunisi dopo la rivoluzione del 2011.
In Tunisia il nuovo governo sta conducendo un’offensiva militare sulle montagne di Kasserine dove sono attivi gruppi di jihadisti prima affiliati ad Al Qaida del Maghreb e adesso, pare, integratisi nell’Isis. A questi gruppi sembrano appartenere i due autori del sanguinoso blitz terroristico di ieri. Nelle scorse settimane il governo aveva scatenato la caccia ai membri del gruppo “Okba Ibn Nafaa”, affiliato allo Stato Islamico e attivo proprio nell’area montuosa di Kasserine. Il 26 febbraio le forze di sicurezza hanno arrestato diversi elementi della cellula jihadista, responsabile di un attacco nella città di Boulaaba, in cui sono stati uccisi quattro agenti della guardia nazionale. Tra i terroristi catturati figurava anche Khaled Hamadi Chaieb noto come Lokmane Abou Sakhr, uno dei leader jihadisti più in vista del paese. Negli anni scorsi gruppi jihadisti hanno assassinato vari dirigenti laici e di sinistra tunisini che si opponevano al montare dell’onda islamista nel paese.
Il no tunisino alla richiesta di una base statunitense fa il paio con il rifiuto dell’Algeria di ospitare sul proprio territorio il Comando Africom delle forze armate Usa. Un atteggiamento che a Washington non viene affatto gradito. Il sanguinoso blitz di ieri era diretto infatti verso il palazzo del governo e solo successivamente si è spostato al Museo del Bardo dove c’erano i turisti. Che sia il segnale del “non gradimento” Usa per il rifiuto di Tunisi?
Il nesso tra i due fatti potrebbe essere del tutto casuale. Come è noto sono soprattutto le petromonarchie del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in competizione tra loro) a giocare alla destabilizzazione dei governi arabi non allineati utilizzando l’Isis o altri gruppi del network jihadista. Ma nel doppio e triplo gioco in corso in Medio Oriente diventa difficile escludere qualsiasi ipotesi.
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