Nelle scorse settimane Maria Elena Scandaliato, Veronika Yukhnina e Bruno Federico hanno visitato il territorio della Repubblica Popolare di Lugansk, nel Donbass. Un viaggio durato 20 giorni per conoscere la realtà delle repubbliche popolari in lotta con il governo golpista di Kiev, per visitare le miniere e le fabbriche, i quartieri distrutti, intervistare gli amministratori e i gruppi di miliziani combattenti. I giornalisti hanno in particolare voluto approfondire gli elementi di lotta di classe all’interno della più generale lotta delle popolazioni del Donbass, e i primi esperimenti volti alla costruzione di uno stato sociale. Il materiale girato servirà per produrre un video documentario, nel frattempo vi proponiamo un’intervista realizzata a Vladislav Deinega, il vicepresidente del Parlamento della Repubblica Popolare di Lugansk.
Quali sono le nuove istituzioni del nuovo governo, come è composto?
Mi chiamo Vladislav Deinega, sono il vice capo del consiglio popolare della LNR, la repubblica è abbastanza giovane e si sta ancora formando, non c’è una forma compiuta per ora. Ma una certa struttura comunque c’è: c’è un capo del governo (Igor Plotnizkij) che dirige il potere esecutivo, il potere legislativo è invece diretto dal consiglio popolare. C’è un consiglio dei ministri e il capo del governo partecipa al suo lavoro, mentre il presidente del consiglio lo dirige. Il consiglio dei ministri si occupa di tutte le questioni dell’organizzazione della vita nella repubblica. I ministeri per mancanza di quadri sono multifunzionali, cioè un ministero può occuparsi di più questioni. Il consiglio popolare si occupa della base legislativa. La costituzione esiste in forma temporanea, approvata il 18 Maggio 2014. I codici legislativi dell’Ucraina vengono pian piano sostituiti da quelli nuovi scritti da noi.
Nel consiglio popolare siedono 50 deputati eletti legalmente il 2 Novembre del 2014. Si tratta della seconda elezione del consiglio, la prima era stata fatta l’11 Maggio dell’anno scorso, quando 118 deputati sono stati promossi dalle piazze mobilitate dai vari comitati territoriali, cioè eletti spontaneamente.
Com’è avvenuta la presa del potere in questo palazzo (Palazzo dell’Amministrazione)?
Ci sono state 3 tappe: a marzo, ad aprile e a maggio. La prima non era una vera e propria presa, la gente radunata fuori incitava l’amministrazione ad una reazione agli eventi di Kiev. Nella seconda alcuni gruppi di cittadini sono entrati nell’ufficio del capo dell’amministrazione chiedendo le sue dimissioni. Nella terza invece è avvenuta l’occupazione del palazzo con il conseguente insediamento del consiglio dei deputati e dei ministri.
Chi erano questi cittadini?
“La Guardia di Lugansk” e altre associazioni.
I deputati del consiglio popolare sono stipendiati? Di che cosa si stanno occupando attualmente?
Si ipotizza uno stipendio quando avremo dei soldi, fino ad oggi si lavora gratuitamente, tranne alcuni dirigenti che vengono pagati. Il consiglio opera in due direzioni: lavoro coi cittadini e lavoro all’interno dei comitati, che si occupano delle questioni più vitali. I comitati sono convocati dai deputati stessi, per ora sono sette.
Quali sono i partiti rappresentati nel consiglio popolare?
Non abbiamo partiti e vi spiego perché: in Ucraina i partiti sono diventati dei “club per interessi”, non hanno una base politica ma solo gli interessi dei clan e del business. La vita politica deve essere fatta da associazioni. Un partito può essere registrato ma non partecipare alle elezioni. Per ora abbiamo rifiutato il sistema dei partiti per evitare che i nuovi partiti possano essere corrotti e comprati dagli oligarchi. Chiunque può entrare in un’associazione invece, quindi la vita politica diventa più accessibile ai semplici cittadini.
Quali sono i problemi principali che affronta il Governo?
I problemi ci sono ovunque. Innanzitutto: il conflitto con il Governo di Kiev che influenza tutto il resto. Kiev non vuole ammettere la perdita dei territori delle repubbliche. Impone blocchi economici, energetici, di trasporto. Ostacola i cittadini negli spostamenti da e per il Donbass. Ai posti di blocco ucraini ai cittadini vengono chiesti documenti particolari per passare il confine, certificati dello status speciale etc. Inoltre sparano su gruppi di persone che attraversano i posti di blocco. Hanno fatto esplodere un ponte che veniva usato per il trasporto delle merci. Mentre l’Ucraina dipende dal nostro carbone, e non abbiamo mai smesso di rifornirla. C’era un problema di pagamenti, a volte usavamo il baratto. É un problema affrontato anche nei trattati di Minsk. Noi sappiamo che dall’altra parte vivono persone semplici come noi e non possiamo farli rimanere al freddo.
Siamo stati a Stakhanov e Pervomaisk, abbiamo visto persone patire freddo e fame. Come commenta questa contraddizione?
L’autunno scorso era particolarmente difficile: non avevamo la benzina per il trasporto del carbone, per trasportare aiuti umanitari, l’acqua, raccogliere la spazzatura. Alcune strade erano bloccate dalle forze militari ucraine. Anche se loro stessi soffrono per la rottura delle comunicazioni fanno esplodere ponti e ferrovie.
Per esempio il nostro carbone serve per mandare avanti la stazione termo-elettrica a Sciastie, che è dalla loro parte. Senza il nostro carbone la stazione non produce elettricità neanche per loro, ciononostante hanno fatto esplodere l’unica ferrovia che veniva usata per la consegna del carbone. Precisamente si tratta dell’opera del battaglione “Aidar” che spesso viene definito come “sfuggito al controllo” del governo.
Per quel che riguarda l’export del carbone avevamo problemi anche coi nostri che non lo volevano fare uscire dal territorio bloccando i camion. Questo comportamento del miliziani è comprensibile: non vogliono aiutare uno stato che uccide i loro fratelli e amici. Per loro che stanno nelle trincee è difficile vedere delle persone comuni dall’altra parte, per loro sono tutti nemici.
E lo stato dell’economia? Sappiamo che l’industria é ferma…
Nelle repubbliche la sfera economica è bloccata. La banca nazionale ucraina ha bloccato ogni attività delle banche sul nostro territorio. Stiamo valutando se creare un sistema fiscale nostro, interno del Donbass, ma sarebbe scomodo per i nostri partner esteri poiché l’economia del Donbass si basa soprattutto sull’export. Alcune miniere però continuano a lavorare e ad estrarre il carbone.
Si è sentito parlare molto di una possibile nazionalizzazione delle industrie più importanti, o come minimo di convincere i loro proprietari a pagare le tasse alla Repubblica, come stanno le cose da questo punto di vista?
La prima convocazione dei deputati ha deciso che non si sarebbero mosse alcune richieste simili nei confronti dei proprietari, anche se abbiamo sentito dichiarazioni radicali da alcuni singoli esponenti delle amministrazioni. Pensiamo che imporre tali progetti nelle condizioni di guerra, quando ci sono persone armate dappertutto potrebbe essere un grave errore. Sappiamo da alcuni esempi della storia che è sbagliato, invece si dovrebbero condizionare le imprese a lavorare a favore delle necessità di uno stato in guerra, cioè farli lavorare per la difesa delle repubbliche.
Il consiglio dei deputati attuale ha formato un comitato per le questioni sulla nazionalizzazione per la quale comunque dobbiamo attendere il ritorno della pace. Prendiamo con le pinze l’argomento. Ci sono casi in cui è evidente che l’esproprio va fatto, per esempio quando le proprietà sono state ottenute in seguito ad un raid, ci sono imprese invece che i proprietari hanno costruito da zero con le proprie forze, ci sono oligarchi che hanno pagato il prezzo giusto dell’impresa privatizzata. Ognuno di questi casi deve essere valutato bene per sviluppare una strategia giusta da seguire.
Potrebbe fare alcuni esempi delle industrie che vanno nazionalizzate?
Per esempio il settore energetico ma bisogna stare attenti, perché tutto è collegato in una rete, e non è una cosa che può essere risolta tecnicamente, ma strategicamente.
Dove prendete le risorse per fare funzionare le istituzioni e formare il budget visto che la maggior parte delle imprese sono ferme o pagano le tasse a Kiev?
Tante delle imprese che funzionano pagano le tasse a noi a partire dallo scorso ottobre. A Gennaio da quando abbiamo firmato una nuova legge fiscale il loro numero è aumentato, abbiamo firmato la legge sui dazi doganali da applicare sui trasporti merci dalla Russia nel Donbass.
Perché alcune pagano e altre no, è la questione di simpatia nei confronti della Repubblica?
É questione di fiducia. Molti non credono nella stabilità delle repubbliche. In effetti siamo in una situazione di continuo confronto con il potere di Kiev che non ci vuole riconoscere. Le imprese hanno paura di possibili sanzioni da parte di Kiev. Invece noi per quel che riguarda il futuro dell’Ucraina lo vediamo davvero grigio. Sono già in debito con il FMI e altre istituzioni internazionali per una somma maggiore rispetto a quella che il fondo deve ancora stanziare entro i prossimi anni.
Che ne dice della posizione di un oligarca che tutti conosciamo bene, Rinat Achmetov?
La sua è una posizione complicata, ha attività sia nel Donbass sia nell’UE. La parte del Donbass è quella dell’estrazione e della prima lavorazione, quella europea è di produzione secondaria. Sa bene che se esprime le sue simpatie nei confronti delle repubbliche i suoi partner europei gli bloccano le attività. Vorrebbe rimanere con un piede “in due scarpe”, ma prima o poi dovrà prendere una posizione. Per ora manda aiuti umanitari al Donbass e gli siamo grati per questo.
Visto che non siete intervenuti contro Achmetov o altri oligarchi, perché credete che il popolo e i lavoratori dovrebbe credere che la repubblica porterà cambiamenti positivi per loro?
Il popolo per ora è devastato, impoverito, stanco della guerra, non è colpa del governo della Repubblica. Se finora non siamo riusciti a intervenire efficacemente con l’oligarchia non vuol dire che non ci si stiamo lavorando. Non possiamo semplicemente eliminare gli oligarchi, ma possiamo lavorare per fare sì che lavorino nell’interesse del popolo.
Sappiamo che i rappresentanti delle repubbliche non erano parte attiva nelle trattative di Minsk, ma sono stati invitati in un secondo tempo, quando il grosso degli accordi erano già stati presi. Qual è stato il ruolo della Russia nelle trattative, si può dire che rappresentava le repubbliche?
Nel gruppo di contatto c’ero io a rappresentare l’LNR (Repubblica Popolare di Lugansk ndr) e Denis Puscilin a rappresentare la DNR (Repubblica Popolare di Donetsk). Abbiamo lavorato per 36 ore senza sosta. Dalla parte russa era presente Michail Zurabov, un ottimo diplomatico senza il quale tutto sarebbe molto più difficile se non impossibile. Lui rappresentava la Russia e non noi, il conflitto nel Donbass ha toccato la Russia considerevolmente per via delle sanzioni. In questo senso dipendono dalle nostre decisioni.
Più della metà del tempo abbiamo cercato di convincere Poroshenko ad includere il problema di Debaltsevo negli accordi, ma non ne voleva sapere. D’altro canto Plotnizkij con Zacharcenko invitati nella parte conclusiva delle trattative si sono rifiutati di firmare gli accordi visto che non comprendevano una soluzione del problema di Debalzevo. Alla fine Angela Merkel assieme a Francois Holland si sono proposti come garanti di Poroshenko nella risoluzione del problema di Debaltsevo in separata sede e hanno invitato le parti a firmare gli accordi senza affrontare questo tema. É stato un grave errore politico: circa 3 mila persone sono state uccise nella sacca di Debaltsevo.
Qual è il ruolo della Russia nella vita politica delle repubbliche?
La Russia ha una posizione leale verso di noi. Ci sostengono con consulenze e con aiuti umanitari.
Potrebbe raccontarci come si comporta Kiev nell’adempimento delle condizioni dei trattati di Minsk?
C’era una scadenza per la partenza del ritiro dell’artiglieria pesante: il 17 Febbraio. Kiev l’aveva rinviata fino al 22 e poi ancora fino al 26. Noi invece avevamo la scadenza per il completamento del ritiro, il 6 Marzo, quindi era importante che Kiev facesse lo stesso. Tuttora (16 Marzo) l’OCSE incaricata a fornire resoconti sulla situazione non ci ha comunicato il completamento del ritiro dell’artiglieria ucraina. Anzi l’OCSE si rifiuta di utilizzare tutti i mezzi tecnici di osservazione a loro disposizione previsti dai trattati di Minsk: satelliti, la radio localizzazione e i droni. Provano ad utilizzare solo i droni, ma si lamentano del fatto che vengono abbattuti. Però gli altri mezzi che non possono essere abbattuti non vengono utilizzati.
Inoltre la parte Ucraina doveva fornirci la lista delle unità amministrative che dovrebbero entrare all’interno del territorio definito da Kiev “temporaneamente occupato”, ma non lo fa.
Secondo noi la tregua finirà non appena le forze di Kiev si rafforzeranno militarmente. Dipende dai crediti del FMI, poiché i fondi destinati a finanziare la guerra il governo di Kiev li ha esauriti molto tempo fa. Io definirei l’FMI come lo sponsor principale del terrore di Kiev.
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