Non si può certo dire che, al contrario di quello francese (approdo storico della diaspora armena e attore interessato e attivo nelle vicende postcoloniali in Medio Oriente) il governo italiano si sia particolarmente prodigato a difesa del popolo armeno e della difesa della memoria del suo genocidio in occasione dell’anniversario dei 100 anni del terribile massacro. E’ in un clima di relativo isolamento internazionale che Erevan si prepara, il prossimo 24 aprile, a celebrare il centenario alla presenza di Vladimir Putin e di Francois Hollande e di alcune celebrità artistiche provenienti da tutto il mondo, di origine armena e non. Ma all’appello mancheranno i rappresentanti di diversi paesi che preferiscono non sbilanciarsi più di tanto per non perdere punti nelle assai più consistenti relazioni con la Turchia di Erdogan che in vista delle elezioni legislative del prossimo 7 giugno ha deciso di resuscitare i toni aggressivi, sciovinisti e ultranazionalisti contro la minoranza armena e di imbarcarsi in un muro contro muro nei confronti di Papa Francesco definito niente meno che aderente “al fronte del male” per aver ricordato che quello di un secolo fa non fu solo un massacro, ma un genocidio (ora sarebbe lecito attendersi analoghe prese di posizione sui crimini commessi dalla Chiesa Cattolica nel corso del secoli…).
La situazione dell’Armenia è assai complicata: piccolo paese di soli 3 milioni di abitanti con un’economia tutt’altro che fiorente e i confini sigillati con la Turchia e l’Azerbaijian – con il quale esiste uno stato di guerra permanente ormai dalla fine degli anni ’80 a causa del contenzioso sulla regione del Nagorno Karabakh – Erevan tenta di rompere l’isolamento attraverso un suo ingresso nell’Unione Euroasiatica guidata da Mosca che però deve fare i conti ora con il crollo del prezzo del petrolio e il crescente accerchiamento economico e militare della Federazione Russa da parte di tutto il fronte occidentale dopo l’inizio della crisi ucraina.
Per tentare di convincere l’Italia a partecipare almeno alle celebrazioni del 24 aprile e ad aumentare la collaborazione politica ed economica con il suo paese qualche giorno fa il presidente armeno Serzh Sargsyan è arrivato a Roma accompagnato dal ministro degli esteri Nalbandyan. Ma i due hanno ricevuto un’accoglienza assai tiepida da parte del governo italiano e anche della classe imprenditoriale, segno che l’establishment del nostro paese non vuole indispettire né la Turchia né tantomeno l’Azerbaijian, partner economici di tutto rispetto. E così il presidente del Consiglio Renzi si è addirittura rifiutato di ricevere Sargsyan che ha potuto incontrare esclusivamente Sergio Mattarella e alcuni ministri senza grande clamore.
Neanche la vicinanza della ricorrenza del centenario del genocidio ha smosso i governanti italiani che anzi, a quanto filtrato nei giorni scorsi sulla stampa, si sono addirittura prodigati affinché il termine tanto inviso ad Ankara venisse cancellato dalle celebrazioni ufficiali organizzate dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.
Era stata una deputata del Partito Democratico, Romina Mura, a denunciare nel novembre dello scorso anno le “iniziative intraprese dall’Ambasciata Turca in Italia in occasione degli eventi commemorativi del genocidio del popolo armeno” chiedendo al suo esecutivo se non ritenesse gravi e da respingere queste intromissioni. La risposta del governo all’epoca fu più che vaga, e il cerchiobottismo di Renzi e del suo partito – la deputata Mura dovrebbe trarne le opportune conseguenze – è stato riconfermato nei giorni scorsi quando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il piddino Sandro Gozi, aveva difeso la scelta del governo italiano di non prendere posizione sul contenzioso semantico relativo al massacro del popolo armeno da parte dell’esercito turco-ottomano. Le parole di Gozi sono apparse ai più addentro nella questione un capolavoro di ipocrisia: “Nessun governo si esprime in maniera ufficiale: questo è compito degli storici. Nessun governo europeo si lancia su questi temi, i parlamenti europei si sono espressi, i governi no. (…) Io credo che non sia mai opportuno per un governo prendere delle posizioni ufficiali su questo tema. Per me, ma è la mia posizione personale, lo è stato: ma un governo non deve utilizzare la parola genocidio” ha detto il sottosegretario con delega alle Politiche Ue nel corso di una trasmissione su La7. E poi ancora: “Per noi che facciamo politica è meglio guardare ai problemi di oggi della politica. E con il governo di Ankara siamo impegnati a parlare di democrazia, diritti umani e di minoranze. Riteniamo che il dialogo e il negoziato servono a risolvere questi problemi e non il muro contro muro, ricordo quando i rapporti ed europei erano migliori abbiamo risolto il problema della minoranza curda e anche le minoranze cristiane che vivono a Istanbul. Le parole del Papa irritano moltissimo Ankara. E’ la solita e importante questione della lettura della storia, non esiste una lettura storica assoluta e la lettura della storia crea forti divisioni”.
Una presa di posizione che ha irritato non solo alcuni storici e analisti, ma soprattutto la comunità armena italiana. “Le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Sandro Gozi, sono di un opportunismo sconvolgente. Il governo, che ieri non si è fatto vedere alla cerimonia in Vaticano, lasciando sola la comunità armena, oggi parla in maniera del tutto sconnessa: da un lato Gozi, dall’altro il ministro Gentiloni. Si mettano d’accordo e dicano in maniera chiara se i nostri padri e i nostri nonni sono morti in un incidente automobilistico oppure se hanno subito un genocidio” ha dichiarato il presidente dell’Unione armeni d’Italia Baykar Sivazliyan, che poi ha rincarato giustamente la dose: “Che un sottosegretario parli di una storia che si può interpretare in maniera diversa, o che addirittura fatti accaduti 100 anni fa non contino per chi fa politica oggi, è offensivo e poco serio. Come comunità armena italiana pretendiamo chiarezza da parte dello Stato al quale anche noi apparteniamo da generazioni e a pieno titolo. Saremmo oltremodo grati come cittadini italiani di origine armena se il sottosegretario potesse leggere ed adeguarsi al recente suggerimento del Parlamento europeo del 12 marzo 2015, art. 77”.
Come accennato dal rappresentante della diaspora armena, nei giorni scorsi il ministro – anche lui piddino – Paolo Gentiloni aveva preso le difese del Pontefice sugli armeni, affermando che la spropositata reazione di Ankara alle parole di Francesco “non hanno giustificazione visto che il Papa ha semplicemente usato argomenti già utilizzati da Giovanni Paolo II ben 15 anni fa. Ma a ben vedere anche la presa di posizione del Ministro degli Esteri, di cui i media hanno riportato solo la prima parte, era intrisa di cerchiobottismo e opportunismo, visto che Gentiloni si era espresso contro una eventuale rottura con la Turchia: “si deve dire con chiarezza che queste posizioni non sono giustificate ma si deve proseguire nel dialogo perché il coinvolgimento europeo per la Turchia è un modo di muoversi nella direzione giusta”.
Poi il Ministro degli Esteri ha incontrato alla Farnesina il suo omologo armeno Eduard Nalbadyan, con il quale ha discusso delle crescenti tensioni nel Mediterraneo e in Medio Oriente, sui recenti sviluppi del negoziato nucleare con l’Iran e sulla crisi in Ucraina. Al termine dell’incontro il titolare della Farnesina ha sottolineato l’apprezzamento per il processo di riforme e liberalizzazione in atto in Armenia e per la decisione del Paese di proseguire il proprio dialogo con l’Unione Europea.
Ma è evidente che a Roma interessano di più le relazioni politiche ed economiche con i nemici dell’Armenia. Non solo la Turchia, ma anche l’Azerbaijian, che nel suo sottosuolo possiede enormi giacimenti di gas e petrolio.
Infatti proprio nei giorni scorsi – con una tempistica più che sospetta – è nata l “Unione per l’amicizia e la cooperazione tra l’Azerbaijian e l’Italia”, una associazione promossa da Dundar Kesapli, un giornalista di origine turca da 25 anni residente in Italia dove lavora come corrispondente di molte testate di Ankara. Apparentemente la nuova creatura dovrebbe soprattutto stimolare le relazioni culturali tra i due paesi ma è sul fronte economico che l’iniziativa promette risultati più appetibili per entrambe le parti, e naturalmente per la Turchia che è il vero sponsor dell’operazione. Infatti in contemporanea con la nascita della ‘Associazione’ la ministra dello Sviluppo Economico Federica Guidi è volata a Baku, capitale dell’Azerbaijian, per firmare un importante accordo industriale tra Maire Tecnimont e Socar, alla presenza del Ministro azero dell’Economia e dell’Industria Shahin Mustafayev, per la costruzione a Sumghait di un impianto petrolchimico del valore circa 350 milioni di euro. “Il rafforzamento delle relazioni economiche bilaterali, in continuità con i presupposti di partenariato strategico tra i due paesi annunciati a Roma lo scorso anno tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente Ilham Aliyev, saranno al centro degli incontri nella capitale Baku tra il ministro Guidi e primari esponenti del governo azero” aveva informato alla vigilia della visita un comunicato del governo italiano. D’altronde negli ultimi 4 anni le esportazioni italiane verso l’Azerbaijian sono cresciute da meno di 200 milioni annui a circa 600 milioni e l’obiettivo è quello di intensificare gli scambi e aumentare la presenza di imprese italiane soprattutto nel settore infrastrutturale, energetico, petrolchimico e delle tecnologie legate alla sanità e all’ambiente. Alla missione, oltre alla delegazione istituzionale composta anche da Ice, Sace e Simest, hanno partecipato circa 35 rappresentanti di aziende e Associazioni con contatti già avviati nel paese. Inoltre la missione a Baku è servita al ministro Guidi per perorare la partecipazione delle imprese italiane alla realizzazione del “Corridoio meridionale del gas” con l’auspico che si possa al più presto arrivare all’adozione dell’“autorizzazione unica” per il progetto Tap. Eh si, perché il contestatissimo gasdotto Trans-Adriatic Pipeline, che ha giustamente allarmato le popolazioni del Salento per le possibili ricadute dell’operazione sul turismo e i precari equilibri ecologici di un territorio già ipersfruttato, dovrebbe partire proprio da Baku per arrivare sulle coste italiane sviluppandosi per quasi 900 km.
Ieri anche Sergio Marchionne, il numero uno di Fca (ex Fiat) è intervenuto personalmente per auspicare che la tensione con la Turchia termini al più presto. Del resto la Fiat possiede una joint-venture in Turchia con il gruppo Koc, la Tofas. “Abbiamo avuto – ha aggiunto Marchionne al termine dell’assemblea di Cnh Industrial – una riunione del cda della joint venture due giorni fa a Torino. Non vogliamo che il paese venga isolato: è già un’area che confina con dei problemi molto significativi, non vogliamo aggiungerne altri”.
Appare quindi più che evidente il motivo della “timidezza” dimostrata dal governo Renzi sulla questione del genocidio degli Armeni, così come lo spudorato gioco delle parti tra Gentiloni e Gozi.
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