“Un cessate il fuoco immediato” da parte di tutte le forze coinvolte nel conflitto in Yemen. Lo ha chiesto alcune ore fa il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che invita anche a creare “corridoi umanitari” a favore di una popolazione allo stremo. “Già prima dell’ultima escalation – ha notato il segretario generale – due yemeniti su tre erano dipendenti dall’assistenza umanitaria: i livelli d’insicurezza alimentare erano più alti di quelli delle parti più povere d’Africa”. Ban Ki-moon ha inoltre chiesto sostegno per il processo di mediazione che le Nazioni Unite stanno cercando di portare avanti, definendolo “la miglior via d’uscita da una guerra con implicazioni terrificanti per la stabilità regionale”.
Parole sacrosante. Ma poco credibili, visto che pochi giorni fa il Consiglio di Sicurezza dell’Onu al completo – solo la Russia si è astenuta mentre a favore hanno votato anche i rappresentanti di Cina e Venezuela – ha varato una risoluzione scritta dagli aggressori che impone ai ribelli yemeniti l’embargo delle armi, il blocco navale e sanzioni ai leader Houti mentre non condanna le operazioni militari straniere contro il paese.
Come se non bastasse, Riad è riuscita ieri a togliere di mezzo anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, il diplomatico marocchino Jamal Benomar che da tempo era finito nel mirino dell’Arabia Saudita a causa delle sue prese di posizione poco compatibili con i desiderata della monarchia feudale. Dopo il voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu Benomar si sarà sentito isolato e delegittimato e di qui la scelta, annunciata in un’intervista al New York Times, di farsi da parte. “Chiedo a tutti di mantenere un comportamento responsabile” – ha detto Benomar nel suo messaggio di addio in evidente polemica con la strategia dell’istituzione internazionale rispetto allo Yemen – “di cercare di ricreare le condizioni dell’unità nazionale e di risolvere i contrasti attraverso il dialogo e le soluzioni politiche”.
Ban Ki-moon si appresta a nominare come sostituto di Benomar l’ex responsabile dell’Onu per la lotta all’Ebola, il mauritano Ismail Ould Cheikh Ahmed che, c’è da sospettare, sarà meno neutrale rispetto al proprio predecessore.
Intanto sul campo continuano i bombardamenti dal mare e dal cielo da parte dei sauditi, degli egiziani e di altri paesi aderenti alla coalizione sunnita che ormai da tre settimane hanno deciso di intervenire contro il paese scosso dalla guerra civile con l’obiettivo di riportare al potere il governo fantoccio di Abd Rabbo Mansour Hadi, destituito dai ribelli sciiti e poi scappato a Riad. Secondo i dati forniti dalle stesse Nazioni Unite 364 civili avrebbero perso la vita, oltre a “centinaia di combattenti”, da quando il 26 marzo scorso sono iniziati i raid della coalizione a guida saudita. Tra le vittime, dicono le agenzie umanitarie, si contano almeno 84 bambini e 25 donne. Ma l’ambasciatore saudita a Washington, Adel al-Jubeir, ha difeso di nuovo ieri la campagna militare, sostenendo che il suo paese cerca di “evitare le perdite civili” e che i raid hanno finora raggiunto “molti dei loro obiettivi”.
Intanto secondo il capo della Brigata 135 di stanza nella regione di Hadhramout, Yahya Abu Oja, sarebbero circa quattromila i soldati e i miliziani tribali che combattono per il governo ”legittimo” del presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi. Secondo il comandante lealista altre unità dell’esercito per ora fedeli all’ex presidente Alì Abdullah Saleh, alleato di comodo dei ribelli Houti, potrebbero presto unirsi alle forze pro-governative indebolendo quindi il fronte avverso. All’ex capo di stato destituito nel 2012 e al figlio Ali Ahmed, che guida quelle che un tempo erano le Guardie Repubblicane, mercoledì il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha imposto il divieto di espatrio e congelato i beni. Negli ultimi giorni il capo della Brigata 123 nella provincia orientale di Al-Mahrah ha annunciato il suo passaggio dalla parte di Hadi e il sostegno all’operazione militare denominata “Tempesta decisiva”. Il sostegno al fronte lealista sarebbe stato espresso anche dal luogotenente Thabit Qassem Abdullah, responsabile della base militare dell’aviazione ad al-Mahra.
Ma non è dato sapere se si tratti di dichiarazioni propagandistiche destinate a deprimere il morale dei ribelli o di informazioni realistiche. Fatto sta che secondo indiscrezioni l’ex presidente yemenita Saleh starebbe cercando di lasciare il paese e di fuggire in Oman, il cui Sultano avrebbe acconsentito ad accoglierlo. Saleh è diventato uno dei principali obiettivi delle milizie di Al Qaeda nella Penisola Arabica che in alcune regioni del paese ha stretto una sorta di patto di non aggressione con le forze lealiste, entrambe interessate a colpire i ribelli sciiti e le forze sunnite ad esse alleatesi.
La guerra civile e il sostegno delle petromonarchie e dell’Egitto (oltre che dell’Onu) ad Hadi stanno favorendo enormemente le forze fondamentaliste che continuano ad avanzare nel centro-sud del paese. I miliziani qaedisti hanno infatti preso il controllo di uno dei principali aeroporti nel sud dello Yemen, il Riyan di Mukalla, la quarta città yemenita. I miliziani, affermano le fonti, hanno conquistato lo scalo dopo un breve conflitto a fuoco con i militari incaricati di proteggerlo. Al Qaeda aveva già preso il controllo della città all’inizio di aprile, liberando centinaia di detenuti tra i quali un comandante militare del gruppo. Nasser Baqazouz, un attivista locale, riferisce che i militari fedeli al presidente Hadi si sono ritirati senza opporre resistenza all’assalto dei qaedisti.
Ora tutto il capoluogo ormai è sotto il controllo dei qaedisti, ad eccezione della base militare ancora difesa dalla 27ma brigata meccanizzata dell’esercito.
Intanto, combattenti di alcune milizie tribali hanno preso il controllo di al-Shehr, un terminal petrolifero ad una cinquantina di chilometri dalla stessa città. Martedì le tribù locali si erano già impadronite del terminal per il gas naturale di Belhaf, l’unico del paese.
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