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Ucraina. Un regime all’insegna del revisionismo e del negazionismo

È bufera sulle nuove leggi revisioniste approvate dal parlamento di Kiev, dominato al 90% da forze ultranazionaliste o apertamente fasciste, che oltre alle critiche in Ucraina hanno suscitato dure reazioni anche all’estero. Nel mirino delle polemiche soprattutto il provvedimento che riguarda “lo status giuridico e la memoria dei partecipanti nella lotta per l’indipendenza ucraina nel ventesimo secolo” e che in sostanza elegge ad eroi nazionali i membri delle formazioni armate che nel corso della Seconda guerra mondiale combatterono a fianco dei nazisti e si resero responsabili di tremendi crimini contro l’umanità partecipando ai rastrellamenti e all’uccisione di massa di ebrei, russi, ucraini antifascisti.
Dopo la condanna da parte delle organizzazioni ebraiche internazionali come il Wiesenthal Center appena dopo l’approvazione alla Rada lo scorso 9 aprile, nei giorni scorsi è arrivata addirittura una presa di posizione critica da parte del presidente polacco Bronislav Komorovski, che ha fatto notare come le leggi complichino il dialogo storico polacco-ucraino. E senza dialogo, ha aggiunto il capo di stato, non può esserci riconciliazione. Una presa di distanze pesante, quella polacca, visto che arriva da un paese in prima fila nel sostegno al regime sciovinista di Kiev fin dai tempi del sostegno di Varsavia all’ala dura del movimento di Maidan.

Il nodo dal quale i nazionalisti in Ucraina non hanno mai preso le distanze e che anzi attualmente, giunti al potere, stanno rivalutando in chiave negazionista, è quello del ruolo dell’Upa, il cosiddetto “Esercito insurrezionale ucraino”, a sua volta braccio armato dell’Oun, l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, che alleandosi con gli invasori nazisti combatté poi contro l’Armata Rossa e anche contro l’esercito polacco, partecipando attivamente a massacri e pogrom antiebraici in Volinia e in Galizia orientale, oltre che all’eliminazione di migliaia di dissidenti.
La legge revisionista approvata dalla Rada era stata presentata al parlamento ucraino da Yuri Shukhevych, deputato della formazione di ultradestra al governo guidata da Oleg Lyashko, il Partito Radicale. Non è da considerarsi un dettaglio il fatto che Yuri Shukhevych sia il figlio ultraottantenne di Roman, uno dei leader dell’Upa morto nel 1950.
L’elaborazione del passato e l’interpretazione della storia sono questioni controverse che l’approvazione del nuovo pacchetto di leggi ha riportato d’attualità proprio perché si riflettono nella spaccatura dell’Ucraina, tra il Donbass che resiste al regime golpista, il Sud-Est a maggioranza russofona e il resto del Paese fortemente antirusso. Non è la prima volta che ciò succede ed esattamente cinque anni fa, nel 2010, si era assistito agli stessi screzi quando il presidente filoccidentale Viktor Yushchenko, alla fine del suo mandato presidenziale, aveva dichiarato eroe nazionale Stepan Bandera, leader dei collaborazionisti che durante la Seconda Guerra Mondiale fornirono agli invasori nazisti decine di migliaia di volontari da inquadrare nelle SS. Quando Viktor Yanukovich vinse le elezioni e giunse al potere sconfessò il suo predecessore e abolì la ‘beatificazione’ di Bandera, ora di nuovo approvata da un parlamento dominato dall’estrema destra.
Lo scorso 9 aprile sono passati in parlamento altri provvedimenti che riscrivono gli eventi dell’ultimo secolo e così è stata istituita una nuova festività, la “giornata della memoria e della riconciliazione”, che l’8 maggio ricorda le vittime della Seconda Guerra Mondiale, non più chiamata Grande Guerra Patriottica come ai tempi dell’Unione Sovietica. Anche se ufficialmente la festa del 9 maggio, quella della Vittoria sul nazifascismo nel 1945, non è stata annullata, il parlamento ucraino ha voluto comunque dare un segno di relativizzazione e distanziarsi dalla tradizione antifascista comune alla Russia ma anche a molti altri paese dell’Ex Unione Sovietica. Di fatto la nuova giornata celebra tutti i morti, compresi quelli del fronte collaborazionista, in nome della comune appartenenza etnico-nazionale alla patria ucraina.
Anche una terza legge, quella che vieta la propaganda e le simbologie sia naziste sia comuniste, ha suscitato scalpore in Ucraina e fuori. A parte le ovvie critiche dei partiti e delle correnti di sinistra di mezzo mondo, a Kiev sono giunte anche le prese di distanza da parte di un lungo elenco di storico e analisti di mezzo mondo che, riuniti nel think-tank Krytyka, hanno invitato in una lettera aperta il presidente Petro Poroshenko a non controfirmare la legge perché rischia di spaccare ancora di più il paese. Non è un caso che dopo l’approvazione delle leggi revisioniste e negazioniste nel paese si è scatenata, ad opera di gruppi di estrema destra e di milizie armate agli ordini degli oligarchi più estremisti, una nuova ondata di attacchi contro monumenti e simboli della storia dell’Ucraina sovietica, con l’abbattimento di statue di Lenin e di altri leader rivoluzionari.
Come se non bastasse, la sigla dell’Upa ha fatto di nuovo la sua comparsa in un documento di rivendicazione dell’omicidio da parte di un commando del giornalista dissidente Oles Buzina e dell’ex deputato Oleg Kalashnikov. Una rivendicazione, quella giunta dal redivivo “Esercito Insurrezionale d’Ucraina” al politologo Volodimir Fesenko, che potrebbe essere di circostanza. Ma il fatto che le ali più violente ed estreme del nazionalismo ucraino utilizzino la sigla di un movimento incensato dalle nuove leggi varate dalla Rada pochi giorni prima la dice lunga sulla direzione che sta prendendo il regime ucraino sostenuto da Usa e Ue. Che l’Upa esista o che si tratti di una sigla di comodo appare più che evidente che il regime ucraino ha deciso di sbarazzarsi di esponenti politici dell’opposizione e di giornalisti critici utilizzando squadroni della morte che godono di coperture ufficiali e di impunità. Questo mentre tutte le forze di sinistra vengono di fatto espulse dalla legalità e alla stampa viene imposto il bavaglio.

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1 Commento


  • Mic

    “Sono gentaglia, gli ucraini: quando sono venuti i tedeschi, gli hanno aperto le porte e gli hanno offerto il pane e il sale. I loro banderisti sono peggio dei tedeschi”.
    Primo Levi, “Se non ora, quando?”, pag. 107

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