Il Giappone può tornare ad essere una potenza militare. L’autorizzazione non viene dall’Onu, ma dagli Stati Uniti, che si accingono a trasformare la partnership strategica con Tokyo in una vera e propria alleanza militare.
Di fatto, fin qui il Giappone era “protetto” dagli Usa a compensazione del divieto di riarmo stabilito nel trattato di resa del 1945. Quel tanto di forza militare consentita era a scopi puramente difensivi, in che si ripercuoteva anche su livelo e qualità degli armamenti in dotazione.
Ora cambia tutto. Il testo delle “linee guida” concordate ieri tra i ministri della difesa dei due paesi vanno a definire un’alleanza globale che impegnerà Tokyo teoricamente in tutto il pianeta, più realisticamente nel solo Pacifico in funzione anticinese. E oggi l’accordo sarà siglato da Barack Obama e il premier Shinzo Abe, con un summit speciale alla Casa Bianca.
Il carattere anticinese dell’accordo è stato praticamente confessato dal ministro degli esteri Usa, John Kerry, che ha illustrato in particolare l’art. 5, dedicato alle isole Senkaku, rivendicate anche dalla Cina con il nome di Diaoyu. È come se gli Usa avessere posto un veto a ogni rivendicazione di Pechino, trasformando così un contenzioso regionale in un’occasione di sfida globale. Un eventuale “casus belli” tra Pechino e Tokyo impegna dunque Washington a entrare esplicitamente in guerra al fianco del Giappone.
Non si tratta solo di parole, perché anche lo schieramento navale ed aereo statunitense nel Pacifico viene contemporaneamente ridisegnato per prepararsi a un’eventualità del genere, avvicinando notevolmente le basi operative alle isole contese.
Il trattato prevede anche “pattugliamenti congiunti” delle rotte marittime in Asia, il che obbligherà Tokyo a modificare sia la legislazione che la Costituzione (come abbiamo imparato con l’Unione Europea, i trattati internazionali svuotano i poteri dei Parlamenti nazionali); ma apre anche numerosi problemi nelle relazioni con tutti gli altri paesi asistici, fin qui neppure consultati.
Non solo. Wasgington estende la sua benedizione anche alle più controverse misure legislative interne di Tokyo, come la “legge sui segreti”. In base a questa legge, per esempio, i dipendenti pubblici che rivelano segreti di stato possono essere condannati a pene fino a dieci anni di carcere, mentre i giornalisti che raccolgono questo tipo di informazioni e le pubblicano rischiano fino a cinque anni. La questione più contestata era l’assoluta vaghezza del contenuto di un possibile “segreto di stato”, di fatto deciso volta per volta dal governo (che potrà classificare un’informazione per un periodo tra i cinque e i 60 anni). Una legge-bavaglio posta, secondo le opposizioni nipponiche, a copertura delle rinascenti ambizioni militari del governo Abe. L’accordo di queste ore suona dunque come una conferma piena delle peggiori ipotesi: militarismo all’esterno e forte autoritarismo interno vanno come sempre a braccetto.
Ma sono soprattutto gli Stati Uniti a guadagnare nell’immediato, e infatti sottolineano “l’importanza strategica del dispiegamento delle capacità Usa più avanzate e moderne in Giappone per rafforzare la deterrenza in Asia e contribuire alla difesa del Giappone e della regione”. A Okinawa, per esempio, nonostante la popolazione locale sia da sempre contraria alla presenza delle forze Usa e abbia eletto come nuovo governatore Takeshi Onaga, che aveva basato la sua campagna sul programma di ridurrre la presenza americana sul territorio dell’isola, arriverà uno squadrone di F35.
L’oceano tra i due paesi, insomma, diventerà ben presto sempre meno Pacifico.
Le “linee guida” del Trattato:
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa