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Ankara abbatte drone siriano ma arresta soldati che riforniscono d’armi i ribelli

Le forze militari turche hanno abbattuto un elicottero siriano “che aveva violato lo spazio aereo della Turchia” nel Sud del Paese, almeno questa è la spiegazione fornita dal ministro della Difesa turco.
“Un elicottero siriano che aveva violato la frontiera per cinque minuti in un perimetro di 11 chilometri è stato abbattuto”, ha dichiarato il ministro Ismet Yilamz, citato dall’agenzia di stampa Dogan. In precedenza era stata diffusa la notizia che ad essere abbattuto da un F-16 turco fosse stato un aereo siriano. Ma poi i media siriani hanno riferito che quello colpito dall’aviazione turca era un drone di sorveglianza di piccole dimensioni controllato a distanza e naturalmente senza equipaggio a bordo. Una versione confermata dopo qualche ore anche da alcune agenzie di stampa turche che hanno intervistato testimoni e diffuso alcune immagini del relitto.
Intanto nei giorni scorsi la polizia turca ha arrestato altri 8 militari di Ankara accusati di far parte di un gruppo terroristico, di aver ostacolato l’azione del governo e di spionaggio.
Gli arresti rientrano in un quadro piuttosto complesso – e assai contraddittorio – di azioni condotte dalle autorità turche dopo la scoperta, lo scorso anno, di una certa quantità di armi destinate ai ribelli islamisti siriani a bordo di alcuni camion alla frontiera con la Siria. Ma secondo alcuni documenti circolati su internet, i camion perquisiti erano in realtà dei servizi segreti turchi che inviavano armi ai ribelli in guerra contro il governo di Damasco per conto dell’esecutivo che pure ufficialmente è impegnato in una campagna di arresti nei confronti dei sostenitori dei fondamentalisti. La settimana scorsa erano stati arrestati, nell’ambito della stessa inchiesta, quattro procuratori e un ufficiale dell’esercito, ma in totale gli arresti sarebbero una cinquantina.
L’elenco si è arricchito nelle ultime ore anche se per motivi apparentemente diversi legati al conflitto di potere in atto tra la leadership del Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan e il suo ex mentore, il predicatore e imprenditore Fethullah Gulen, esule negli Stati Uniti. Ieri sono stati arrestati l’ex capo della polizia di Diyarbakir, la maggiore città curda nel sud-est della Turchia, e altri nove agenti responsabili del corpo. Recep Guven – riporta il quotidiano turco Hurriyet – è accusato di aver abusato delle sue funzioni per mettere sotto intercettazione una decina di uomini politici, tutti consiglieri del presidente, e dei giornalisti, senza rispettare le procedure previste dalla legge. Il capo della polizia è in stato di detenzione preventiva, secondo quanto disposto da un tribunale di Ankara. Guven respinge tutte le accuse: “I poliziotti, un tempo considerati eroi, adesso sono accusati di tradimento”, ha dichiarato prima del suo arresto. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esecutivo sono convinti che le intercettazioni – grazie alle quali a fine 2013 emerse un grave scandalo di corruzione che riguardava proprio il circolo più ristretto attorno ad Erdogan – siano state orchestrate dall’imam Fethullah Gülen, diventato acerrimo nemico del governo liberal-islamista di Ankara, e nonostante le purghe operate dal regime tuttora molto influente negli apparati dello stato turco.
La scorsa settimana il regime turco aveva anticipato che sono oltre mille gli appartenenti alle Forze Armate del paese finiti sotto inchiesta per presunta appartenenza al cosiddetto “stato parallelo”, come l’Akp chiama la rete economico-politica guidata da Fethullah Gulen, accusato di tramare contro il governo. 
Molti ipotizzano che anche gli arresti nei confronti dei militari e dei funzionari accusati di consegnare illegalmente armi ai ribelli siriani servano in realtà a giustificare un ulteriore repulisti all’interno delle forze armate per rafforzare il potere della lobby legata alla coppia Erdogan-Davutoglu. D’altronde più volte media indipendenti turchi e stranieri e anche alcuni esponenti delle forze armate hanno denunciato la contiguità tra l’esercito di Ankara e i jihadisti dello Stato Islamico ai quali nonostante le apparenze il regime turco continua ad assicurare una certa tolleranza pure essendo impegnata – insieme agli Stati Uniti – nell’addestramento di alcune migliaia di miliziani appartenenti alle cosiddette formazioni ‘moderate’ e teoricamente in conflitto con le forze fondamentaliste dell’Is e di Al Nusra.

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