L’Ucraina è ampiamente in default, anche se i creditori internazionali così rigidi con Atene sembrano assai più accomodanti nei confronti del regime di Kiev impegnato in un braccio di ferro con Mosca che per ora sembra costituire la priorità dei padrini internazionali dell’esecutivo ultranazionalista. Ma gli indicatori economici diffusi negli ultimi giorni non lasciano ombra di dubbio, l’economia ucraina va letteralmente a rotoli. Il prodotto interno lordo dell’Ucraina è crollato del 17,6% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo di un anno fa. In confronto al trimestre precedente il Pil è sceso addirittura del 6,5%, stando ad un comunicato del ministero dell’Economia ucraino che è lecito sospettare di ‘ottimismo’ e quindi di celare una situazione in realtà ancora più grave. Se a gennaio la Bers (la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) ipotizzava per il 2015 una recessione del 5%, le nuove stime diffuse nei giorni scorsi scendono addirittura a -7,5%, assai peggiori di quelle fornite dal governo di Kiev che si ferma ad un comunque catastrofico -5,5%.
Sull’economia ucraina pesano la separazione della Crimea e quella di fatto delle ricche regioni di Donetsk e Lugansk, certo. Ma è la scellerata decisione di imbarcarsi in una operazione militare contro le popolazioni ribelli del sudest che ha creato un enorme buco nelle casse dello stato, già saccheggiate dagli oligarchi prima durante e dopo il golpe di Maidan. Kiev spende per l’offensiva militare contro le repubbliche popolari risorse economiche che non possiede – a fronte tra l’altro di risultati sul campo tutt’altro che apprezzabili – e si indebita sempre di più con la Troika, il Fondo Monetario, gli Stati Uniti ai quali deve pagare interessi esagerati in cambio di prestiti che non fanno altro che aumentare la dipendenza dell’Ucraina dai cosiddetti ‘creditori’.
Il Pil del paese è stato recentemente penalizzato dal netto calo dei consumi interni innescato dal crollo della grivna e dal balzo dell’inflazione. Rispetto allo stesso mese del 2014, scrivono da Kiev i broker di Dragon Capital citati dal Sole 24 Ore, a marzo le spese al dettaglio si sono ridotte addirittura del 31%. Sulla base delle imposizioni dei ‘creditori’ e dei padrini del nuovo regime, e per accontentare i voraci oligarchi che sostengono il nuovo corso, il capo del governo di Kiev, il falco Arseniy Yatseniuk punta sulla privatizzazione di ben 280 compagnie pubbliche. Sulla carta l’operazione caldeggiata dal Fmi e dall’Ue potrebbe portare alle casse dello Stato circa 17 miliardi di grivne, pari a 821 miliardi di dollari. Ma di solito le stime sulle privatizzazioni sono artificialmente gonfiate, e alla fine nelle casse dello stato arrivano somme assai inferiori e c’è da giurare che oligarchi locali e multinazionali straniere potranno arraffare un consistente patrimonio produttivo a prezzi stracciati. A Tbilisi il ministro dell’Economia Aivaras Abromavicius (uno dei quattro ministri stranieri infilati da Washington e dalla Nato nell’esecutivo di Yatseniuk per condizionarne le scelte), ha fatto riferimento alla privatizzazione della generazione e distribuzione di energia, all’industria agroalimentare e alle infrastrutture portuali, i settori che evidentemente fanno più gola. Ribadendo il mantra più volte recitato dai leader dell’Unione Europea in questi anni, il lituano Abromavicius ha affermato con un ottimismo di circostanza: «Sappiamo che gli investimenti arriveranno dopo che il fronte macroeconomico si sarà stabilizzato, naturalmente ma io credo che le cifre peggiori siano già alle nostre spalle». Ma il debito ucraino continua a crescere, avendo raggiunto già l’insostenibile quota di 23 miliardi di dollari. Nel corso del Meeting annuale della Bers il ministro ucraino delle Finanze, Natalie Jaresko (un’altra straniera!), non ha escluso il rischio di un default quando ha detto che «tutte le opzioni sono sul tavolo» se i negoziati con i detentori del debito non faranno progressi entro il mese prossimo, come richiesto dal Fondo monetario che deve riesaminare un programma di aiuti da 17,5 miliardi di dollari. «Il Paese è in guerra – ha chiarito venerdì Yatseniuk alla Rada, il locale Parlamento -. Abbiamo perduto il 20% della nostra economia. Chiediamo, preghiamo e insistiamo che i creditori comprendano la situazione e accettino l’offerta, che è legittima ed è un modo di aiutare l’Ucraina». L’accordo proposto da Kiev è triplice, e prevede sia un’estensione delle scadenze che un “haircut”, un taglio di debito principale e di interessi. «Ci vogliono tutti e tre – ha detto la Jaresko – è importante che i nostri creditori capiscano». Ma tra questi ultimi, oltre ai voraci occidentali che chiederanno un prezzo sempre più alto in cambio di un eventuale allentamento, c’è anche la Russia, che detiene Eurobond per un valore di 3 miliardi di dollari.
In questo quadro salta agli occhi la notizia che il regime ucraino ha deciso di accelerare la realizzazione di una ‘muraglia’ al confine con la Russia. E così Kiev ha annunciato lo stanziamento dei primi fondi per la realizzazione della possente barriera, che entrò il 2017 – almeno nei piani di Yatseniuk e soci – dovrebbe sigillare ben 2000 chilometri di frontiera con Mosca. Il progetto non è nuovo, e i nuovi padroni di Kiev l’avevano annunciato subito dopo la presa del potere. La novità consiste appunto nello stanziamento dei primi fondi. Per ora si tratta di quattro miliardi di grivne, l’equivalente di 200 milioni di dollari. Il piano di finanziamento è stato pubblicato sul sito del governo di Kiev, riferisce l’Ukrainskaya Pravda, e prevede di coprire la considerevole cifra (per le disastrate casse statali ucraine) entro il 2019.
Il progetto prevede fossati lungo tutta la linea, pareti fortificate con metallo e fili spinati, sistemi di segnalazione, speciali punti fortificati per le guardie di frontiera, torrette di controllo alte 17 metri.
In alcuni punti i lavori sono già stati lanciati, almeno ufficialmente. In particolare all’altezza di Kharkiv (Kharkov in russo), grande città che confina con la regione russa di Belgorod e considerata a rischio di passare dalla parte delle repubbliche popolari.
Ma ora l’intenzione è di procedere con la costruzione del muro lunga tutta la linea frontaliera di terra interessata dalle operazioni “antiterrorismo”, cioè dall’operazione militare indiscriminata contro le popolazione del sudest che finora ha causato decine di migliaia di vittime, per lo più civili.
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