Ora sì che il gioco si fa teso e tetro. La Grecia ha annunciato poco fa che non rimborserà al Fondo Monetario Internazionale le prossime rate dovute per prestiti negoziati con i governi precedenti (il “socialista” Papandreou e il conservatore Samaras, di fatto indistinguibili).
Si tratta di ben quattro tranche in scadenza a giugno: «Le quattro rate per l’Fmi valgono un miliardo e 600 milioni, questo denaro non sarà versato e non ce n’è da versare», ha dichiarato il viceministro Nikos Voutsis. A meno che non si trovi in extremis un accordo con i creditori, che al momento appare lontanissimo. “Stiamo discutendo, sulla base del nostro limitato ottimismo, perché ci sia un accordo forte in modo che il Paese sia in grado di respirare. Questa è la scommessa”.
In ogni caso Atene non intende sottostare alla strategia del “soffocamento” messa in atto da parte dei cosiddetti partner europei: “Questa politica di estrema austerità e disoccupazione in Grecia deve essere colpita. Non fuggiremo da questa battaglia”.
Anche il ministro delle finanze Yanis Varoufakis è uscito dal lugo silenzio che si era autoimposto dopo che l’establishment di Bruxelle e tutta la grande stampa padronale europea avevano deciso di attaccarlo nella speranza di dividere il governo greco e ottenere ad Atene un equilibrio politico più disposto a cedere alle pressioni. In buona sostanza, in un’intervista televisiva alla Bbc, ha detto il governo greco “ha già dato”, e almeno ha fatto la sua parte. Ma non ha trovato interlocutori altrettanto disposti al compromesso. «Gli siamo andati incontro a tre quarti del percorso, ora loro devono venirci incontro facendo quell’ultimo quarto».
Si è detto consapevole che un’eventuale uscita di Atene dall’eurozona (e magari anche dall’Unione Europea) sarebbe «catastrofica, l’inizio della fine per il processo della moneta unica». Ma la Grecia non può più continuare sulla strada disastrosa imposta dalla Troika negli ultimi cinque anni.
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