Si sapeva, certo, ma le parole con cui Riccardo Padovani, direttore dello Svimez, apre il suo rapporto annuale sullo stato del Mezzogiorno appaiono più drammatiche di un semplice allarme.
La crisi restituisce un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale. La flessione dell’attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese, con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali.
La crisi ha depauperato le risorse del Sud e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività. La lunghezza della recessione, la riduzione delle risorse per infrastrutture pubbliche, la caduta della domanda interna, sono fattori che hanno contribuito a “desertificare” l’apparato economico delle regioni del Mezzogiorno colpendo non solo le imprese inefficienti, ma espellendo dal mercato anche imprese sane e tuttavia non attrezzate a superare una crisi cosi lunga e impegnativa.Risulta difficile a questo punto valutare se l’industria rimasta sia in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale: il rischio è che il depauperamento risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
Se poi – come nel nostro caso – non si vede alle porte nessuna “ripresa” dell’economia italiana ed europea, allora le possibilità che il Sud possa vincere la partita contro la desertificazione produttiva sembrano ancora minori.
Una situazione che appare appesa a un filo sempre più sottile. E che un governo serio affronterebbe come un’emergenza nazionale. Poi uno guarda allo spettacolo indecente messo quotidianamente in scena tra Palazzo Chigi, la Camera e il Senato, e allora si rende conto che del Sud questi potranno salavre al massimo una persona (ieri Azzollini, col no all’arrresto), non certo chi ci vive, con o – sempre più spesso – senza un lavoro.
I dati sono impietosi. Nel corso dell’ultimo quindicennio – ben oltre i limiti dell’inizio dell’attuale crisi – persino la disperata Grecia ha fatto molto meglio, in termini di crescita cumulata.
Uno sfacelo senza limiti,che riporta un terzo del paese a oltre 40 anni fa:
“Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat”.
Il tasso di disoccupazione, di conseguenza, raggiunge qui il 20,5%, a fronte di una media nazionale del 12,7 (già altissima) e di una media del centronord sotto il 10% (9,5).
E anche la desertificazione produttiva viaggia in qeust’area a velocità doppia. Tra il 2008 e il 2014, delle 811 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 576 mila sono residenti a Sud. Per le donne tra i 15 e i 34 anni lavorare è una chimera: sono occupate solo una cinque.
Ma è tra i giovani che il degrado economico colpisce in modo più duro, fino a produrre probabilmente anche un disastro antropologico. Qui, spiega il Rapporto, si è creata una “frattura senza paragoni in Europa”. Il Sud negli anni 2008-2014 ha perso 622 mila posti di lavoro tra gli under 34 (-31,9%) e ne ha guadagnati 239 mila negli over 55 (le aziende residue, che non innovano più, preferiscono un lavoratore esperto nei vecchi sistemi piuttosto che un giovane da formare). Il tasso di disoccupazione under 24 raggiunge così il 56%.
Peggio. Questa situazione, sul lungo periodo, porta a credere che studiare non paghi più, “alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata”. Ma se lo smettere di studiare, al Nord, ha prodotto una generazione di lavoratori giovani e sottopagati, addetti soprattutto a funzioni di basso livello, al Sud non ha neanche questa alternativa impoverente. Solo il nulla.
Ne deriva “Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è la deriva e scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, con il 53,7%”.
E infine lo scenario totalmente negativo che si apre in seguito alla rottura irrecuperabile tra stagnazione (o arretramento) e sviluppo: “Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174 mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia: il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili”.
Il rapporto nelle anticipazioni del direttore:
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