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Putin: “aumenteremo l’arsenale nucleare”. Juncker ricorda la solidarietà atlantica

Una provocazione oggi, una reazione domani, e alla fine sarà impossibile fermare l’escalation scatenata dagli Stati Uniti dopo il golpe ultranazionalista andato in scena a Kiev nel febbraio del 2014 dopo alcuni mesi di gestazione. Un atto che ha provocato una rottura netta nelle relazioni tra occidente e Russia, che ha risposto annettendo la Crimea e iniziando a sostenere, seppur timidamente, la resistenza anche militare delle popolazioni del Donbass contro gli assalti dei fascisti ucraini.

Nel frattempo è successo di tutto. Prima le sanzioni contro la Russia – e le contro sanzioni di Mosca – poi la militarizzazione dei cieli del Baltico e della Scandinavia da parte della Nato, poi l’annuncio della creazione di una forza di reazione rapida della Nato in grado di mobilitare migliaia di soldati e armi pesanti nel giro di 24 ore. Poi ancora l’avvio di imponenti e continue esercitazioni lungo la frontiera con la Federazione Russa, e poi l’invio di centinaia di soldati di Washington, Londra e Ottawa in Ucraina per addestrare la Guardia nazionale di Kiev. E come se non bastasse, pochi giorni fa, la rivelazione che Washington starebbe pensando a inviare almeno 5000 soldati accompagnati da carri armati e altre armi pesanti in una decina di paesi che, dopo la dissoluzione dell’Urss, sono stati assimilati dalla Nato. Alleanza militare sempre più offensiva e aggressiva che sta premendo come non mai affinché Svezia e Finlandia entrino a far parte del club guidato da Ue e Stati Uniti, e i cui confini sono già stati spostati fino in Georgia e di fatto hanno inglobato l’Ucraina. Ma, incredibilmente, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha definito la obbligata risposta di Mosca un «pericoloso tintinnio di sciabole, ingiustificato, destabilizzante e pericoloso», commentando l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin che l’esercito russo aggiungerà più di 40 missili nucleari intercontinentali al suo già consistente arsenale nel corso del 2015. Per il presidente russo gli armamenti «saranno in grado di contrastare qualsiasi sistema di difesa missilistica, anche il più sofisticato», con chiaro riferimento ai progetti statunitensi e Nato di creare uno scudo (anti?)missilistico in Europa orientale. Putin ha anche affermato che la Russia «presterà particolare attenzione ad implementare gli armamenti su larga scala e al programma di modernizzazione dell’industria militare».
Intervenendo al forum dell’industria bellica ‘Army-2015′ a Kubinka, vicino Mosca, Putin ha fatto sapere che le truppe russe “hanno cominciato a ricevere i mezzi corazzati” di ultima generazione mostrati in anteprima durante la parata del 9 maggio sulla piazza Rossa in occasione del 70° anniversario della vittoria sovietica sul nazismo. “Se qualcuno mette in pericolo il territorio della Russia, essa deve puntare i propri armamenti verso i Paesi da dove proviene questa minaccia” ha detto Putin in un incontro con il presidente finlandese Sauli Niinisto. “È la Nato – ha insistito il presidente russo – che si sta avvicinando alle nostre frontiere, non noi”.
Nei giorni scorsi i comandi militari del Cremlino aveva affermato che se Washington invierà soldati e armi in Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Repubbliche Baltiche come rivelato dal New York Times, la Federazione Russa sarà costretta a militarizzare i propri confini, a schierare missili nell’enclave russa di Kaliningrad (situata tra Lituania e Polonia) e forse addirittura a stanziare proprie truppe sul territorio della Bielorussia. Di fatto Mosca ha già iniziato una lunga serie di manovre militari sia nel Baltico che nel Mar Nero, sia per dare una rappresentazione della propria potenza militare alla Nato sia per addestrare le proprie truppe a uno scenario di guerra che sembra sempre meno fantascientifico. 

In questo quadro la politica occidentale – in particolare degli Stati Uniti, dalla quale l’Ue sembra non riuscire a sganciarsi più di tanto – del ‘più uno’ accresce la tensione e pone le condizioni per una pericolosa escalation che come è evidente rischia di prendere la mano ai contendenti.
Dopo una serie di infinite misure e contromisure di carattere militare, commerciale, diplomatico e tecnologico, Putin ha però tirato in ballo la questione fondamentale: il proprio arsenale nucleare. La Russia non è la Jugoslavia, né l’Afghanistan, né la Libia, né l’Iraq. Non è pensabile che si possa arrivare ad uno scontro militare diretto tra la Federazione Russa – e i suoi alleati – e lo schieramento raccolto sotto l’ombrello della Nato. In numerosi territori negli ultimi anni, un certo numero di membri degli eserciti di paesi occidentali hanno operato in paesi nei quali agivano, in qualità di consiglieri, elementi delle forze armate russe. Più spesso sono mercenari o truppe locali addestrate da paesi aderenti alla Nato a fare il lavoro sporco per conto di Washington o di Bruxelles. In Ucraina la presenza di centinaia di paracadutisti e altri militari provenienti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dal Canada e dalla Polonia costituisce un pericoloso elemento di drammatizzazione in un paese in cui intere regioni sono abitate da popolazioni russofone – e russe, dal punto di vista storico, politico, valoriale – che Mosca non può non difendere. Ma rimane comunque un conflitto ‘per interposta persona’. Pensare di portare l’escalation in corso con la Russia – e tendenzialmente con la Cina – alle sue estreme conseguenze vuol dire mettere in conto un conflitto che veda per la prima volta dal 1945 l’uso di ordigni nucleari. E non è un caso che Putin, per la seconda volta in un anno, abbia fatto riferimento esplicitamente proprio a questo elemento che ha un carattere oggettivamente deterrente (sempre che al governo degli Stati Uniti e dei suoi apparati militari non siedano dei novelli ‘Dottor Stranamore’, il che non è impossibile…).
Del resto per lo stesso Stoltenberg Mosca starebbe «sviluppando nuove capacità nucleari, usa di più la retorica atomica nel comunicare la strategia di difesa», mentre le dichiarazioni di Putin «confermano uno schema aggressivo». Ma il segretario generale dell’Alleanza si rallegra del’annunciato invio di carri armati e militari da parte degli Usa nelle cinque basi della Nato in via di realizzazione nell’Europa dell’Est, sottolineando che «tutto quanto facciamo risponde ai nostri obblighi internazionali», compreso il «preposizionamento» di capacità militari che la Nato «sta aumentando per rispondere alle sfide alla difesa».
Se qualcuna pensa che gli Stati Uniti o i comandi Nato stiano parlando solo per loro, il presidente della Commissione Europea Juncker ci ha tenuto a ricordare che «nessuno deve ignorare che abbiamo l’articolo 5», quello che fa scattare la cosiddetta difesa collettiva della Nato (quella che Washington e Tbilisi richiesero, senza successo, nello scontro con Mosca del 2008), e che «se arrivassero gli eventi cui non penso che arriveremo, verrà usato con tutte le conseguenze ad esso collegate».
Più chiaro di così, è il caso di dirlo, si muore…

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