Abbiamo spesso avuto modo di scrivere quanto i fascisti costituiscano, nel nuovo regime ucraino scaturito dal golpe del febbraio 2014, tanto un elemento utile alla normalizzazione e alla repressione della dissidenza quando una spina nel fianco nei confronti di alcuni oligarchi e di alcuni settori, strumento di battaglia politica tra i vari potentati che si sono completamente impossessati della cosa pubblica e che si contendono le spoglie dello Stato.
L’ultimo e più recente esempio si è avuto oggi nella capitale Kiev, dove le ‘falangi’ di Settore Destro e di altre formazioni fasciste hanno determinato un improvviso innalzamento della tensione in contemporanea con il voto parlamentare sul cosiddetto ‘decentramento’ delle regioni orientali russofone dell’Ucraina.
Il provvedimento è passato alla Rada con 265 voti favorevoli (ne bastavano 226) e 87 contrari; a favore si sono espressi buona parte dei deputati della maggioranza parlamentare (formata dal “Blocco” di Petro Porosenko e dal “Fronte Popolare” di Oleksander Turchinov e Arsenj Yatsenyuk) oltre che quelli del Blocco di Opposizione (nato dalle spoglie del Partito delle Regioni ed espressione delle regioni russofone). Hanno votato contro o si sono astenuti i deputati di Bat’kivshina (Patria, il partito di Julia Timoshenko), gli ultranazionalisti del Partito Radicale di Oleg Liashko e di Samopomich, e vari fascisti sparsi in varie liste.
In base agli accordi di Minsk in cambio del cessate il fuoco con le repubbliche indipendentiste del Donbass il regime ucraino avrebbe dovuto varare rapidamente una riforma costituzionale che conceda ampi poteri di autogoverno ai territori in mano ai ribelli e anche ad altri attualmente sotto il controllo dei governativi. Ma in realtà, oltre agli ampi ritardi, la misura votata oggi a Kiev non rappresenta una riforma di tipo costituzionale come pattuito e garantisce una autonomia assai relativa. Nessuna concessione reale ai ‘separatisti’ quindi, nessun tradimento, ma un provvedimento di facciata utile a coprire la preparazione di una nuova offensiva militare in grande stile contro Donetsk e Lugansk che fino ad ora è sempre stata rimandata a causa di vari problemi oggettivi – Kiev è alla canna del gas e alla bancarotta economica e militare, nonostante i massicci aiuti della Nato – e delle pressioni di Russia, Francia e Germania.
Eppure tanto è bastato a scatenare un assalto da parte dei miliziani di un partitino fascista – Pravyi Sektor – che alle ultime elezioni ha preso percentuali irrisorie ma che continua in un modo o nell’altro ad occupare il centro della scena politico-militare, perseguito a fasi alterne dalle autorità ma inserito al tempo stesso nelle forze armate fin nei posti di massima responsabilità. A spalleggiare gli estremisti ‘eretici’ anche quelli più tradizionalisti di Svoboda e del Partito Radicale, scesi in piazza questa volta massicciamente mentre alcune decine di deputati bloccavano i lavori parlamentari al grido di slogan e canti nazionalisti, denunciando “la svendita del patrio suolo alla Russia”. D’altronde l’estrema destra – sia dentro che fuori la rissosa maggioranza governativa – chiede una recrudescenza della repressione nei confronti delle opposizioni antigolpiste e delle popolazioni russofone animate da richieste autonomiste, e quindi l’inizio immediato di una guerra in grande stile, la messa fuori legge di tutte le forze politiche e dei sindacati “complici dei separatisti” ecc. Nulla che l’attuale regime non stia già facendo, anche se in modi e con tempi che non soddisfano del tutto i camerati ucraini.
Oggi gli scontri tra quelli che i media italiani hanno derubricato a “nazionalisti” e le forze di polizia sono stati tra i più cruenti dell’ultimo anno, parlando di zone in cui dovrebbe vigere la democrazia occidentale e la normale dialettica politica. Durante gli scontri – lacrimogeni e manganelli da una parte, bastoni, sassi, armi da fuoco e addirittura granate dall’altra – è rimasto ucciso un membro della Guardia Nazionale e varie decine di altri membri del corpo fondato subito dopo il golpe grazie alla legalizzazione da parte del nuovo regime sciovinista delle cosiddette ‘milizie di autodifesa’ di Maidan, composte per lo più da gruppi di estrema destra, fascisti e neonazisti. Di fatto si sono affrontati fascisti da una parte e fascisti dall’altra, e forse qualcosa è andato storto rispetto al copione prestabilito.
Questa volta infatti ci è scappato il morto, la recluta della Guardia Nazionale Igor Debrin, colpito al cuore da una scheggia. Secondo il sindaco di Kiev, l’ex campione di pugilato, pupillo di Angela Merkel e protagonista del golpe, Vitali Klitschko, i morti sarebbero addirittura tre (addirittura cinque secondo fonti di polizia poi smentite) mentre ci sarebbero vari feriti anche tra i giornalisti che documentavano lo scontro fratricida, compreso un cameraman. In tutto le vittime degli scontri e della bomba sarebbero 125, compreso un viceministro.
Anche se il Ministro degli Interni Arsen Avakov ha annunciato “arresti di massa” per ora il conteggio degli arrestati sembra assai ridotto vista l’entità e la violenza dell’assalto alla sede parlamentare: solo una trentina di fermati, tra i quali ci sarebbe anche il “lanciatore di granate”. Mentre Settore Destro accusa ‘i servizi segreti russi’ di essere dietro la provocazione pare che ad essere arrestato con l’accusa di aver provocato la strage sia stato Igor Gumenjuk, un miliziano del battaglione “Sich” formato da Svoboda nel giugno del 2014 e noto militante del partito di estrema destra. Ma per Oleg Tyagnibok, il leader del partito nazionalsocialista, il fatto che l’attentatore sia stato prontamente arrestato proverebbe in realtà che si è trattato di una “provocazione pianificata”.
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