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Ucraina. Guerra tra oligarchi, Poroshenko licenzia il capo dei servizi segreti

Oltre che con gli accordi di Minsk appesi a un filo e con il default economico dietro l’angolo (non dichiarato dai creditori finora solo perché l’Ucraina è un’utile testa d’ariete contro la Russia e non sarebbe saggio farla fallire), Kiev continua a fare i conti con una guerra senza quartiere tra i diversi oligarchi che si spartiscono il potere e le macerie su cui si è costruito il nuovo regime sorto dal golpe del febbraio 2014.
I tempi della cosiddetta “rivoluzione” di Maidan, quando i manifestanti promettevano una Ucraina liberata dalla schiavitù imposta dagli oligarchi, sembrano lontani, lontanissimi. I meccanismi del sistema oligarchico ucraino sono rimasti intatti ed anzi si sono rafforzati. Qualche oligarca filorusso ha perso posizioni ma nuovi spregiudicati miliardari hanno scalato la classifica degli uomini di potere proprio in virtù del loro sostegno al nuovo regime nazionalista, si sono impossessati di pezzi interi dello stato, sono stati nominati sindaci o governatori, hanno piazzato le loro pedine nei ministeri e nei dipartimenti, hanno costituito milizie private che ne rafforzano la capacità di persuasione nei confronti dei sempre più deboli leader politici filoccidentali. La nuova élite al potere, ancora più accentratrice e corrotta che in passato, bloccata da una guerra contro il Donbass che non è andata affatto secondo le previsioni e alla guida di un paese in bancarotta e saccheggiato dalle istituzioni economiche internazionali (Fmi, Troika, Banca Mondiale…) continua ad essere scossa da una estrema conflittualità interna. Il di per sé instabile tandem formato dal presidente Petro Poroshenko e dal premier Arseni Yatseniuk, (nemici per la pelle anche se alleati per necessità) è ancora al comando ma è sottoposto a continue bordate da parte del parlamento, dei diversi partiti maidanisti e dagli oligarchi che vogliono, pretendono più spazio e più potere. Per giustificare lo sfacelo rappresentato dal nuovo regime il settimanale europeista Tyzhden – che si definisce ‘progressista’ – dà la colpa agli scampoli di regime precedente sopravvissuti al nuovo corso. “La nuova amministrazione non è stata in grado di neutralizzare le forze reazionarie e rendere così irreversibile il processo di rinnovamento politico” ha scritto Tyzhden, intendendo che il necessario processo di lustratia che ha espulso dal potere i vecchi oligarchi, i funzionari e i leader del partito delle Regioni del deposto presidente Yanukovich non sarebbe stato abbastanza deciso e andrebbe quindi portato alle estreme conseguenze. Per Tyzhden “la minaccia della reincarnazione del regime di Yanukovich sotto altre spoglie non è solo possibile, ma sempre più probabile”. Nessun cenno naturalmente al fatto che una decina di deputati, ex ministri e funzionari del precedente governo, questo spazzato via dall’assalto dei miliziani di Maidan nel febbraio del 2014, siano stati tolti di mezzo, eliminati fisicamente in circostanze così oscure che hanno costretto anche la irreggimentata stampa ucraina a darne conto. Il tentativo dell’establishment è quello di orientare il malcontento, la rabbia popolare per una situazione insostenibile economicamente e socialmente contro il Blocco d’Opposizione, formazione che raccoglie i cocci del Partito delle Regioni di Yanukovich scioltosi come neve al sole dopo il colpo di stato sciovinista. Ma i deputati dell’unico partito d’opposizione presente in parlamento – i comunisti sono in condizione di quasi clandestinità ed espulsi dalle istituzioni – sono solo 42 contro i 144 del Blocco Poroshenko e gli 82 del Fronte Popolare (ancora più estremista) di Yatseniuk. E dare la responsabilità dei mali dell’Ucraina odierna a una forza di minoranza relegata all’angolo e tollerata solo in quanto espressione degli interessi di alcuni oligarchi non eliminabili dalla scena appare un tentativo propagandistico di comodo malriuscito e velleitario (alla quale però l’agenzia di stampa Askanews e qualche giornale italiano hanno immancabilmente abboccato).
Altra cosa è che alcuni dei più importanti oligarchi del paese come Dmitri Firtash o Rinat Akhmetov, che continuano a tenere i piedi in due scarpe sostenendo il nuovo regime ma spingendo per una ricomposizione con Mosca, stiano affilando le armi per indebolire l’accoppiata Poroshenko/Yatseniuk.
D’altronde i continui scontri tra i tre partiti che compongono l’alleanza di Poroshenko sono lo specchio della putrefazione di un regime nato già morto, tenuto a galla esclusivamente dal sostegno economico e militare della Nato, dell’Ue e degli Stati Uniti che utilizzano l’Ucraina come pedina in un gioco sempre più sporco. Le tre formazioni – Samopomich (Autoaiuto), il Partito radicale di Oleg Lyashko e Patria di Yulia Tymoshenko – non fanno altro che prendersi a calci, minando l’autorevolezza e la capacità di governo del presidente Poroshenko che pochi giorni fa ha ordinato l’ennesimo rimpasto di governo. 

Mentre il ministro delle Finanze ucraino, la statunitense Natalie Jaresko, ha promesso di pagare gli interessi sul debito di tre miliardi contratto con la Russia – si tratta di 75 milioni di dollari da versare entro domani – la Rada ha deciso di sollevare dal suo incarico il capo dei servizi segreti di Kiev, Valentyn Nalyvaichenko, scaricando su di lui i continui rovesci subiti dal regime nella cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ scatenata contro le popolazioni del Donbass. Ispiratore della misura punitiva è stato lo stesso Poroshenko, che nei giorni scorsi ha anche licenziato gli ambasciatori di Kiev in due paesi ‘alleati’ (dovremmo dire ispiratori e sponsor) del nuovo regime sciovinista. Con due decreti presidenziali Poroshenko ha rimosso Valeriy Zhovtenko dall’incarico di Ambasciatore d’Ucraina in Lituania, e Vasiliy Tsybenko dall’incarico di Ambasciatore di Kiev in Georgia. L’ennesimo tentativo da parte del ‘re del cioccolato’ di rimanere in sella. 

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