I caccia sauditi hanno ripreso nei giorni scorsi i bombardamenti sul porto yemenita di Aden, controllato dai ribelli sciiti houthi e dalle truppe fedeli all’ex presidente Saleh, all’indomani del fallimento dei colloqui di pace a Ginevra. Secondo i media locali almeno 15 raid hanno preso di mira le vie d’accesso alla città portuale contesa tra i due schieramenti. “L’obiettivo è chiudere il cappio attorno ai ribelli houthi e aiutare il comitato di resistenza popolare”, come si fanno chiamare le milizie leali al presidente fuggito in Arabia Saudita Abd Rabbo Mansur Hadi, ha spiegato una fonte filosaudita.
L’altro ieri le Nazioni Unite hanno fatto sapere che i negoziati convocati a Ginevra si sono chiusi con un fallimento completo. I ribelli, sostenuti dai combattenti fedeli al deposto presidente Ali Abdullah Saleh, hanno conquistato gran parte del paese, costringendo Hadi alla fuga. Per tutta risposta da marzo una coalizione di paesi sunniti, guidata da Riad e che comprende anche l’Egitto oltre alle petromonarchie ha iniziato una massiccia campagna militare con bombardamenti dal mare e del cielo contro le postazioni delle milizie houthi e dei loro alleati, ma anche contro diverse città del paese. Campagna militare che finora ha causato circa 2.600 morti mentre l’80% della popolazione yemenita, circa 20 milioni di persone – secondo le agenzie dell’Onu – ha urgente bisogno di aiuti umanitari. Per cercare di alleviare le sofferenze della popolazione le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per raccogliere 1,6 miliardi di dollari ma in molti casi la Croce Rossa e altre agenzie hanno denunciato che i sauditi e i loro alleati impediscono l’ingresso nello Yemen o la distribuzione alla popolazione degli aiuti umanitari.
Nonostante la mediazione dell’Onu – che ha comunque sostenuto la campagna militare guidata dai sauditi legittimandone così le mire – il negoziato è iniziato con molti giorni di ritardo e in realtà non è mai decollato a causa delle reciproche precondizioni poste dalle delegazioni dei lealisti e dei ribelli.
Gli Houthi e i loro alleati pretendono che Hadi rinunci ad ogni pretesa, ma il presidente scelto per guidare lo Yemen dopo la caduta di Saleh nel 2012 (di cui era vice) non ne vuole sapere di rinunciare al potere ora che per riportare in sella le petromonarchie hanno mobilitato una forza militare senza precedenti e stringono d’assedio il paese. Da parte loro i ribelli accusano apertamente l’Arabia Saudita non solo di aver invaso il paese con la scusa che gli Houthi rappresenterebbero una minaccia per la sicurezza di Riad, ma anche di impiegare bombe al nitrogeno e altre armi proibite che fanno strage di civili, sostenendo con i loro attacchi l’espansione nelle regioni meridionali del paese delle bande di Al Qaeda ed ora anche dello Stato Islamico. Il delegato dei ribelli Yaser al-Awadi ha accusato Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti di fare lauti affari approfittando del conflitto scatenato dall’Arabia Saudita. “Le loro fabbriche di armi lavorano a pieno ritmo”, ha detto al-Awadi, “e i nostri bambini e le nostre donne sono diventati delle cavie”. I governativi pongono come precondizione all’avvio dei negoziati il ritiro delle milizie sciite e dei loro alleati dal centro e dal sud del paese, che hanno gradualmente occupato negli ultimi mesi, ma naturalmente i ribelli rispondono picche anche se si dicono disponibili ad una tregua.
Le posizioni irriducibili delle due parti hanno impedito anche solo un confronto tra le delegazioni arrivate a Ginevra, che sembra non siano riuscite neanche a trovare un accordo sul numero di delegati da ammettere ai negoziati. Secondo il ministro degli esteri yemenita Riad Yassin la delegazione degli houthi non ha nemmeno mai lasciato l’hotel di Ginevra in cui alloggiava.
E intanto gli estremisti islamici di Daesh la cui espansione è oggettivamente favorita dall’intervento militare saudita contro lo Yemen continuano a seminare terrore con i loro attentati. L’ultimo ha colpito ieri con un’autobomba la moschea sciita di Kobbat al-Mehdi durante la preghiera di mezzogiorno, provocando tre morti e numerosi feriti. Si tratta del secondo attacco in pochi giorni contro obiettivi civili sciiti, dopo che mercoledì notte altrettante autobomba avevano colpito tre moschee e il quartier generale del movimento ribelle, uccidendo decine di persone. “Una vendetta dei musulmani contro gli Houthi apostati” recitava una rivendicazione del braccio yemenita dell’Is.
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