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Grecia-Ue. Il giorno dell’Armageddon

Alla fine è arrivato. Presentato come il giorno dello scontro finale, che deciderà della rovina della Grecia o l’inizio della fine dell’Unione Europea.

Difficilmente sarà una di queste due cose. Almeno nell’immediato. Al tavolo dell’ultima trattativa – divisa in due fasi, prima l’incontro tra i ministri delle finanze (Eurogruppo), poi quelllo dei primi ministri – Atene si presenta con una nuova proposta definita “l’ultima”. I tecnocrati di Bruxelles hanno risposto dicendo che “rappresenta una buona base di discussione”. Il diavolo sta sempre nei dettagli, e quello che può sembrare un ostacolo minore per una parte può diventare la vetta insormontabile per l’altra.

A favore del “compromesso” militano ragioni potenti per entrambi i soggetti.

Il governo Tsipras si gioca il rapporto con la popolazione che fin qui l’ha sostenuto con consensi superiori a quelli raccolti in sede di elezioni, a fine gennaio. Quel popolo era in piazza, ieri sera ad Atene, per far sentire il proprio peso sulla “delegazione” che si siederà oggi al tavolo, ma anche e soprattutto sull’Unione Europea, super-stato in formazione che del parere dei popoli fa programmaticamente a meno. Tsipras si gioca anche l’unità di Syriza e quindi la stabilità dello stesso governo. “Concessioni” in aperto contrasto con il programma elettorale (la “piattaforma di Salonicco”, già abbondantemente diluita rispetto al patto originario) potrebbero facilmente provocare una spaccatura con la sinistra più o meno comunista, che pesa ormai – dati dell’ultimo comitato centrale – per il 44%. 

Del resto, abbiamo scritto più volte, il “mandato elettorale” ricevuto da Syriza, e ribadito ieri sera dalla folla in piazza Syntagma, è una mission impossible: restare della Ue e nell’euro, ma mettendo fine all’austerità. “Le due cose non stanno insieme”, ha spiegato a sua volta Wolfganf Schaeuble, che tra poche ore sarà ancora una volta di fronte a gente che non ha mai nascosto di disprezzare (non fanno parte della sua scuola di pensiero, sia politico ch economico).

Anche l’Unione Europea ha la necessità di arrivare a un accordo (vedi https://contropiano.org/internazionale/item/31456-la-tessera-greca-nel-puzzle-geostrategico), ma in termini tali da non aprire le dighe a “deroghe” e richieste di “flessibilità” nell’applicazione dei demenziali trattati che regolano le politiche economiche e di bilancio dei singoli stati (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc). 

Nessuno dei due fronti può vincere appieno, nessuno dei due può o vuole “rompere la gabbia”. Diciamo che è la situazione perfetta per un pessimo “compromesso”. Non solo dal lato greco.

Cosa ha messo, Atene, nella sua “ultima proposta”, illustrata da Tsipras per telefono a Merkel, Hollande, Juncker? Di ufficiale non c’è nulla, solo le indiscrezioni lasciate filtrare per “fissare paletti” prima del vertice. 

Atene sarebbe pronta ad adottare misure fiscali permanenti pari al 2% del pil mentre i creditori chiederebbero misure per il 2,5%. Lo 0,5% mancante verrebbe coperto da altri “provvedimenti amministrativi”. Accetterebbero poi di abolire le pensioni anticipate dal 2016, e aumenterebbero il contributo di solidarietà richiesto a contribuenti e società. Ma solo in cambio di una ristrutturazione, ovvero una drastica riduzione, del debito pubblico.

Misure dure, per la Grecia, specie se si tiene conto che neanche il Pil ufficiale di Atene è una misura affidabile (vedi https://contropiano.org/documenti/item/31469-discutere-senza-sapere-sulla-grecia-e-in-genere).

Di contro, i “creditori” sarebbero disposti a offrire solo quanto già offerto a Samaras, a novembre 2012: un taglio degli interessi sui prestiti bilaterali, un’estensione delle scadenze dei prestiti Efsf di 15 anni e il pagamento di interessi differito di 10 anni. Ma solo se Atene approverà tutte le “riforme” richieste.

Non ci sono però in ballo solo i numeri o la partita geostrategica. C’è anche un dato squisitamente politico, che solo adesso viene fuori e mostra la natura profondamente reazionaria di questa “Unione Europea”. Basta leggersi l’incipi del pezzo con cui l’Ansa, stamattina, presenta il vertice.

Ormai in gioco non c’è più solo il futuro della Grecia, ma il concetto stesso di Europa. Quello che andrà in scena domani non sarà un negoziato sui numeri: le posizioni ormai sono vicine, con le nuove proposte Grecia e creditori distano solo uno 0,5% del pil ellenico. Lo scontro all’Eurosummit sarà tutto politico: un Governo di estrema sinistra, l’unico di Eurolandia e il primo in Europa Occidentale dal dopoguerra, che si ribella alle politiche di austerità decise da istituzioni a guida democristiana. Il Governo Syriza non può permettersi di tradire le promesse elettorali e gli altri Governi non possono permettersi di darla vinta a dei neogovernanti della sinistra radicale che contestano le regole applicate finora, e pretendono un taglio del debito. Sono diversi i timori dei Governi in carica nei confronti di ogni concessione a Syriza. Primo: un’apertura potrebbe spianare la strada a movimenti come Podemos in Spagna, M5S in Italia, Sinn Fein in Irlanda, Le Pen in Francia, e dare linfa a tutta la galassia euroscettica europea. Secondo: gli altri Paesi sotto programma o appena usciti, come Cipro, Portogallo, Irlanda, Spagna, potrebbero chiedere un alleggerimento delle condizioni a loro imposte in cambio degli aiuti. Ma, d’altra parte, anche mantenere una posizione rigida che potrebbe spingere la Grecia fuori dall’euro avrebbe delle ripercussioni politiche, perché pure un’Europa incapace di tendere la mano ad Atene darebbe argomenti agli euroscettici, soprattutto in un momento in cui è sotto accusa proprio perché incapace di mostrare solidarietà con la questione immigrazione. Il confronto non sarà facile, e comunque vada l’Eurozona non sarà più la stessa: se cederà a Syriza, sancirà la fine dei salvataggi in cambio di dure condizioni, e se non mollerà, cambierà per sempre forma con la prima uscita di un Paese dai 19 della moneta unica.

Detto con tranquilla consapevolezza, sarebbe meglio l’Armageddon…

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