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Poroshenko firma la legge sui militari stranieri in Ucraina

Nelle ultime 24 ore le milizie del Donbass, secondo l’agenzia Novorossija, hanno registrato alcune decine di violazioni del cessate il fuoco da parte delle forze armate ucraine, con l’impiego di carri armati, lanciamine, razzi e lanciagranate, oltre che di armi leggere. Particolarmente bersagliate Donetsk, Gorlovka, Dokučaevsk, insieme ai villaggi di Širokino, Spartak, Jasnoe, Žabičevo, Novaja Laspa, e Staromikhajlovka. Le truppe governative, ha dichiarato il vice Ministro della difesa della Repubblica Popolare di Donetsk, Eduard Basurin, hanno colpito anche un convoglio di aiuti umanitari della Croce rossa in transito nei pressi del villaggio di Berezovoe. L’altro ieri gli osservatori dell’Osce avevano verificato il transito di alcuni obici da 120 mm non lontano dalla linea di demarcazione, nel territorio del Donbass controllato da Kiev: per la precisione, nei pressi del villaggio di Novoselovka Vtoraja, 36 km a nord-nordest da Mariupol. L’Osce scrive anche di un allargamento e consolidamento dei trinceramenti e un accresciuto numero di militari governativi a nordovest di Donetsk, dove si sono osservati anche movimenti di carri armati.
Come è noto, secondo gli accordi di Minsk, le armi pesanti di calibro superiore ai 100 mm dovevano essere allontanate di 50 km dalla linea di contatto, fino a una massima di distanza di 140 km per i razzi a più lunga gittata; ma già da inizio giugno, Kiev ha provocatoriamente ufficializzato il ridislocamento delle artiglierie pesanti a ridosso del fronte.

Secondo lo speaker del Parlamento della DNR, Andrej Purghin, il Donbass è sull’orlo della ripresa di operazioni militari in grande stile, pur se ha espresso l’augurio che i paesi occidentali eviteranno di acuire la situazione: <Auspico che non vorranno interferire; è chiaro che gli Stati Uniti intervengono in ogni conflitto nel mondo, ma spero che gli altri paesi cercheranno di non intromettersi nel conflitto dalla parte di uno dei due contendenti>. Proprio oggi, Novorossija, con riferimento a Globe and Mail, scrive che il Ministro della difesa canadese Jason Kenny, al termine della seduta della commissione “Nato-Ucraina” a Bruxelles, ha dichiarato che il suo paese non dispone di scorte di armi di cui potersi privare e inviare in Ucraina. In precedenza, il Canada aveva rifiutato l’invio di armi a Kiev, per impedire una escalation del conflitto nel Donbass. In ogni caso, il Canada sta già ora rifornendo le truppe ucraine con equipaggiamenti “non letali”: uniformi, giubbetti antiproiettile, e altro materiale e istruttori canadesi sono attesi in Ucraina per il prossimo agosto.

Senza dimenticare che mercenari di molti paesi stanno già combattendo, da mesi, schierati dalla parte di Kiev e mobilitati soprattutto tra le file dei battaglioni ultranazionalisti, sembra chiaro che si stia preparando il terreno per una aperta e ufficiale partecipazione straniera al conflitto nel Dobass. Lo Stato maggiore della cosiddetta “Operazione AntiTerrorismo-OAT”, l’eufemismo con cui Kiev sta terrorizzando il Donbass da più di un anno, è di nuovo intervenuto per accrescere ulteriormente il numero di militari russi che, secondo Kiev, sarebbero ammassati lungo la frontiera con l’Ucraina o direttamente nel Donbass. Se finora il presidente Petro Porošenko aveva parlato, in varie occasioni, di 40.000 russi, per difendersi dai quali l’Occidente deve rifornire di armi l’Ucraina, il portavoce dell’OAT, Andrej Marinovič, ha parlato oggi di <oltre 54.000 militari> russi dislocati nella regione russa di Rostov sul Don, di cui una quindicina di battaglioni già posizionati nel Donbass. Ecco dunque che Porošenko, rinverdendo ciò che la guardia dichiarava al Creonte sofocleo, “Nulla, o mio signore, possono gli umani giurare inattuabile”, firma la legge della Rada che consente l’introduzione ufficiale di soldati stranieri su territorio ucraino. Un po’ come “la santificazione attraverso il peccato” predicata dall’avventuriero Rasputin, ora l’articolo 3 della legge specifica che scopo della permanenza di militari stranieri in Ucraina può essere quello di <fornire all’Ucraina, su sua richiesta, aiuto sotto forma di operazioni internazionali, sul suo territorio, per il mantenimento della pace e la sicurezza sulla base di ONU oppure UE>.
A non voler dire altro su questa specificazione – ad esempio, che il mantenimento della pace passi attraverso la riduzione a cimiteri delle città del Donbass – appare “curioso” che, secondo la Rada ucraina, modi e tempi della sicurezza mondiale possano venir stabiliti indifferentemente da ONU o da UE. In fondo, Kiev mette nero su bianco quanto le cancellerie euroatlantiche non dicono, ma fanno quotidianamente, autoincaricandosi degli interventi militari in ogni angolo della terra. Inoltre, delizia legislativa, tra quei militari stranieri ammessi su territorio ucraino, non possono esserci quelli di quei paesi <che scatenano un’aggressione armata contro l’Ucraina>: nel gennaio scorso, la Rada aveva dichiarato la Russia “paese aggressore” e poche settimane fa lo Stato maggiore ucraino aveva consegnato a Washington le “prove dell’aggressione militare russa”. Sembra il gioco delle tre carte: comunque le giri, il banco sa sempre dove stia quella che gli assicura la vittoria. E il triangolo si chiude con gli ultranazionalisti di Pravyj sektor che, in attesa della loro ennesima “marcia su Kiev” prevista per il prossimo 3 luglio, pretendono da Porošenko l’aperta rinuncia agli accordi di Minsk e che si passi direttamente all’attacco. A questa offerta di matrimonio governativo dell’ultradestra, Porošenko aveva già spedito le proprie partecipazioni, rispondendo picche alle proposte di modifica costituzionale (previste dagli accordi di Minsk) avanzate dalle Repubbliche Popolari per il nuovo status del Donbass; ora ribadisce che non concederà nulla alle richieste di federalizzazione, sia che vengano da <Donetsk o Lugansk, sia che partano da Kharkov o dalla Bessarabia>. Difficile pensare a un prossimo tavolo di trattative tra Kiev e le Repubbliche Popolari, considerato dalle diplomazie – soprattutto russa – unica possibilità di pace.

Proprio sul fronte della diplomazia, secondo la Tass il Cremlino giudica costruttivo il colloquio telefonico tra Barack Obama e Vladimir Putin, parte del quale ha riguardato proprio la situazione ucraina. Il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, ha dichiarato che i due leader hanno stabilito che prossimamente l’assistente del Segretario di Stato, Victoria Nuland (sì, proprio lei: quella del “vaffa” alla UE all’epoca di Majdan e del golpe a Kiev) e il vice Ministro degli esteri russo, Grigorij Karasin, discuteranno l’andamento della realizzazione degli accordi di Minsk. Sembra che Obama abbia chiesto a Putin, sempre per la realizzazione di quegli accordi, “il ritiro di truppe e mezzi russi dall’Ucraina” di cui, come abbiamo visto, Kiev fornisce a Washington continue “prove”; al che Putin gli avrebbe risposto che la supposizione sulla presenza di truppe russe in Ucraina è pura fantasia.

Che, al di là delle formule su “l’assenza di alternative al dialogo” dichiarata da Peskov, la strada sia tutt’altro che in discesa, è opinione anche delle diplomazie e degli esperti occidentali. A conclusione della riunione dei Ministri degli esteri di Russia, Francia, Germania e Ucraina, lo scorso 23 giugno, lo stesso Sergej Lavrov, ha ammesso che ci sono forze (<non ne farò i nomi>, ha detto; ma solo i cognomi, vorremmo aggiungere noi) che agiscono attivamente contro il processo di pace e non ha potuto non evidenziare i recenti movimenti militari attorno alla linea di demarcazione. Secondo le parole del politologo svedese Stefan Hedlund, del Centro di ricerche su Russia e Eurasia dell’Università di Uppsala, l’Occidente arriverà alla distruzione dell’Ucraina, piuttosto che accordarsi con Putin. Secondo lo studio di Hedlund, riportato da Novorossija, la crisi ucraina è giunta allo stadio finale e gli “amici” occidentali di Porošenko non si sognano lontanamente di fornirgli aiuto; ormai <sono stati tagliati tutti i ponti per il compromesso e la pacificazione> e la situazione economica dell’Ucraina è al collasso. Intervenendo a Ginevra di fronte alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, il Segretario del PC ucraino Petr Simonenko, accanto alle atrocità commesse dai battaglioni neonazisti nel Donbass e a quelle ufficiali delle autorità governative nei confronti dei comunisti, ha ricordato anche come il 60% della popolazione, secondo i dati ufficiali ONU, si trovi sotto il limite della sopravvivenza, “grazie” alle riforme imposte dal FMI. Il PIL dell’Ucraina, al primo trimestre del 2015, si è ridotto del 17,6% rispetto allo stesso periodo del 2014. Il debito estero al 1 gennaio di quest’anno era di 126.307 milioni di dollari e se lo scorso anno esso costituiva il 71% del PIL, nel 2015, secondo la Banca di Stato potrebbe arrivare al 100%. Secondo alcuni economisti tedeschi, il PIL dell’Ucraina, con una popolazione di 45 milioni di abitanti, può paragonarsi oggi a quello dello Schleswig-Holstein, uno dei più piccoli land della Germania, con 2,8 milioni di cittadini. Nel 2010, il PIL del land tedesco era di 75,6 miliardi di euro; a fine 2014 il PIL dell’Ucraina era di 66 miliardi di euro. Al di là di ogni raffronto privo di concrete basi comparative, quei dati dimostrano a cosa abbia ridotto, quella che era un tempo una delle repubbliche più ricche dell’ex Unione Sovietica, la guerra tra clan per la spartizione delle ricchezze del paese – e la guerra terroristica contro la popolazione del Donbass è anche una guerra di rapina contro l’area più ricca dell’Ucraina – scatenata e condotta di pari passo a quella voluta oltre Oceano per disegni geopolitici più vasti e mortalmente pericolosi. Ai clan politico-affaristici-speculativi che, dagli scranni governativi stanno depredando il paese, varrebbe la pena rivolgere le parole di Teseo a Creonte: <Gli acquisti di frode senza giustizia non si serban molto>. 

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