L’Italia è un paese ormai pacificato e privo di conflitti “sovversivi”? Scorrendo la relazione annuale che i servizi segreti consegnano al Parlamento sembrerebbe di sì. Diversamente dagli anni scorsi, dove i conflitti sociali legati all’impoverimento generale, alla crisi e alle conseguenze delle misure antipopolari facevano drizzare le antenne e le azioni degli apparati repressivi (e l’alto numero di denunce, arresti, misure di sorveglianza speciale contro gli attivisti e i militanti lo certificava), l’analisi dei servizi di sicurezza presentata quest’anno pare preoccuparsi solo di quello che si è visto, in particolare le iniziative antifasciste e le mobilitazioni ambientali sui territori.
L’immagine di un paese socialmente pacificato indurrebbe a ritenere che per gli apparati repressivi non ci sia più lavoro da fare. Il modello di repressione preventiva dell’epoca Minniti sembra aver funzionato e il modello repressivo contundente dell’epoca Salvini (galera per chi occupa edifici o fa blocchi stradali) vorrebbe aver chiuso il cerchio. In realtà l’aria che si respira tra le righe di una relazione dei servizi di sicurezza, che pare preoccupata solo degli scontri con i fascisti o delle mobilitazioni popolari/ambientali, emette un odore di “accanimento terapeutico” contro i punti di resistenza e attività dell’antagonismo politico e di classe nel nostro paese.
Se è vero che gran parte della relazione è dedicata più alle minacce esterne che a quelle sul fronte interno, è bene che nessuno sottovaluti questa apparente ammortizzazione della visione degli apparati repressivi. Hanno ripulito il campo del conflitto di classe, ma vogliono impedire con qualsiasi mezzo che qualcuno torni a ingaggiare la partita della rottura e del cambiamento del quadro esistente. In questo senso comincia a delinearsi uno scenario repressivo in cui non sarà più “la commissione di reato” ad essere sanzionata, ma il soggetto politico in quanto tale (militanti, attivisti etc), per il fatto stesso di esistere e ritenere il conflitto sociale il motore del cambiamento necessario, soprattutto di fronte ad una crisi economica che presenta tutti indicatori di pesante peggioramento.
Infine occorre tenere sempre a mente che una “pacificazione” penale del fronte interno è stata sempre funzionale alla riapertura di proiezioni militari offensive sul fronte esterno.
Del resto il cinismo istituzionale e “sociale” che abbiamo visto sugli orrori nei lager in Libia, nel Mar Mediterraneo e nelle nostre strade, sta già abituando la società a convivere con tutto questo. Meglio impedire che qualche soggetto politico e sociale rompa questo incantesimo.
Qui di seguito una decostruzione dei capitoli della Relazione annuale dei servizi segreti, in fondo il testo integrale della Relazione (124 pagine) che resta sempre una lettura interessante.
Lo spettro dei marxisti-leninisti
La relazione dei servizi di sicurezza, da tempo inquadra come capitolo specifico quelli che definisce i “circuiti marxisti-leninisti”, definito ancora con quel trattino in mezzo che, come noto, ha provocato interminabili discussioni nel movimento comunista internazionale se dovesse essere mantenuto o sostituito da una “e”.
“I ristretti circuiti dell’estremismo marxista-leninista hanno continuato ad evidenziarsi per l’impegno propagandistico-divulgativo della stagione brigatista, inteso ad accreditarne l’attualità e a promuovere l’indottrinamento di “nuove leve”. Questo, come di consueto, facendo perno soprattutto su una lettura in chiave rivoluzionaria dei più recenti sviluppi della congiuntura interna e internazionale. In tale quadro, sono rimasti centrali la lotta alla “repressione”, l’“antifascismo”, l’“antimperialismo” e l’esteso panorama delle istanze sociali, a partire dall’emergenza abitativa e dalle vertenze occupazionali.
Il tema forte è sempre quello della solidarietà ai “prigionieri politici”, anche stranieri, che ha animato iniziative contro il “carcere duro”, quali i presidi del 4 maggio e del 28 settembre presso il Tribunale dell’Aquila in occasione di scadenze processuali a carico di Nadia Desdemona Lioce, ristretta nel capoluogo abruzzese e leader delle “Nuove Brigate Rosse” responsabili degli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi”.
Dopo questo preambolo volto a segnalare una certa continuità sui temi tradizionali (spesso “gonfiati” per scopi abbastanza evidenti), l’attenzione dei servizi di sicurezza allarga il monitoraggio giungendo a conclusioni che mostrano una preoccupazione piuttosto originale. Scrivono infatti che:
“Nella prospettiva della “lotta di classe” hanno continuato a trovare spazio i richiami, a fini di proselitismo, ad un “nuovo proletariato urbano” composto da lavoratori immigrati, precari, disoccupati e “senza casa” – e fin qui potremmo dire che siamo nella norma della visione questurina. Sorprende, invece, quando nella relazione si indica che tra i soggetti eversivi “si inscrivono nel filone internazionalista ed “antimperialista” le manifestazioni in appoggio alla resistenza palestinese ed in chiave “anti-israeliana”, come la protesta in occasione del Giro d’Italia, che per l’edizione 2018 ha preso il via da Gerusalemme Ovest”.
Avevamo fino ad oggi ritenuto che manifestazioni e contestazioni all’occupazione coloniale israeliana della Palestina fossero una “preoccupazione” relativa solo per il Mossad, scopriamo invece che lo sono anche per i servizi segreti italiani.
Il movimento antagonista
C’è poi il capitolo specifico su quello viene definito come il movimento antagonista. Un universo politico a geometria variabile per il numero di collettivi e reti in cui si aggrega, disgrega e ricompone e che rappresenta un po’ il rompicapo nel monitoraggio dei servizi di sicurezza.
Di tutto quello che si muove sul piano dei conflitti sociali – purtroppo non particolarmente vivace nell’ultimo anno – gli apparati repressivi sembrano preoccupati soprattutto dalle lotte ambientaliste e dalle vertenze a difesa del territorio, quest’anno senza però l’ossessiva – e sgradita – attenzione particolare al movimento No Tav.
Nella relazione si scrive che: “L’eterogenea galassia dell’antagonismo si è distinta soprattutto per il tentativo di superare una persistente tendenza alla “parcellizzazione delle lotte”, così da dare maggiore compattezza al fronte della contestazione. Ancorché declinato su specifiche realtà del territorio nazionale, il dinamismo antagonista sul versante delle proteste ambientaliste ha ricercato convergenze e sinergie, con l’obiettivo di strumentalizzare in chiave oltranzista l’attività dei cd. “Fronti del No”, che si oppongono alla realizzazione di infrastrutture di vario genere (grandi opere, installazioni energetiche e militari, ripetitori, inceneritori etc.)
Tra le preoccupazioni “sovversive” che spiccano nella relazione di quest’anno c’è quella dell’antifascismo militante al quale viene riservata anche una scheda particolare (vedi più avanti). E’ scritto: “Gli attivisti hanno provato a serrare i ranghi concentrando la protesta antisistema sull’“antifascismo” e sull’“antirazzismo”, come testimoniato dalla manifestazione nazionale di Macerata del 10 febbraio, organizzata all’indomani del raid omicida a sfondo razzista compiuto nella città marchigiana da un simpatizzante di estrema destra ed indicata, nella propaganda d’area, come punto di partenza per favorire il rilancio di un percorso di mobilitazione il più possibile comune e condiviso.
Anche l’organizzazione degli immigrati su vari terreni di lotta inerenti i propri bisogni materiali sembra provocare particolare attenzione da parte dei servizi di sicurezza. “In tale quadro, ha assunto specifico rilievo strategico, nelle progettualità antagoniste, il coinvolgimento nelle mobilitazioni della popolazione straniera, ritenuta, in particolare dai segmenti più oltranzisti, un bacino di reclutamento “capace di produrre conflitto” – è scritto nella relazione annuale – “Una linea, questa, evidenziatasi anche a livello locale, ove i vari “movimenti per l’abitare” hanno mostrato interesse verso la “propensione ribellistica” delle fasce più disagiate e precarie, pure attraverso appelli ad una ripresa delle occupazioni abusive, intese quale “pratica militante di riappropriazione del reddito”. L’impegno antagonista sulla tematica migratoria ha continuato a qualificarsi come un ambito sensibile per l’ordine pubblico in ragione del concorrente attivismo di componenti della destra radicale, con il rischio di un’intensificazione di episodi di conflittualità fra opposti estremismi.
La mobilitazione “antifascista”
L’affrontamento sui territori dei tentativi dei fascisti di strumentalizzare l’emergenza migranti ha visto materializzarsi una pratica antifascista militante che è ora entrata nel mirino degli apparati di sicurezza, che a questo tipo di mobilitazione dedicano un’apposita scheda nella relazione. Colpisce l’attenzione e la finta preoccupazione dei servizi segreti sul fatto che l’antifascismo abbia fatto un piccolo “salto di qualità”, passando da un antifascismo sostanzialmente costituzionale e culturale al piano militante. Una sottolineatura che pare funzionale a preparare una legittimazione alla repressione della mobilitazione antifascista di fronte – invece – al pieno sdoganamento dei fascisti che mostrano ormai apertamente le evidenti coperture fornite dagli apparati repressivi e istituzionali: “Nell’ambito della mai sopita ostilità tra estremismi di opposta matrice, l’”antifa” definisce la posizione più avanzata e intransigente dell’antagonismo di sinistra nel contrasto alla destra, consistente in un impegno militante che privilegia la “dimensione combattiva” rispetto al confronto politico-culturale. Nel 2018, la propaganda e le pratiche della mobilitazione “antifa” hanno evidenziato una rinnovata radicalizzazione in reazione ad una percepita crescita di visibilità e protagonismo dell’estrema destra su questioni riguardanti la sicurezza, l’immigrazione e il disagio sociale. In questo quadro sembrano inserirsi taluni episodi di aggressione contro attivisti della destra radicale, danneggiamenti a sedi aggregative nonché la divulgazione sul web di documenti e “dossier” dai toni istigatori. L’accentuata propensione allo scontro rischia di aggravare la conflittualità tra i due fronti, con una possibile intensificazione di provocazioni, aggressioni e reazioni in grado di generare criticità sul piano dell’ordine pubblico.
Gli internazionalisti in Rojava e in Donbass
Colpiscono infine due schede dedicata a chi è andato in questi anni a dare sostegno internazionalista in Rojava e in Donbass. E’ la prima volta che si dedica a questo una attenzione così esplicita. Nel primo caso, il Rojava, la relazione scrive che: “Spunti di attivazione sono stati colti anche negli ambienti dell’estremismo marxista, tradizionalmente sensibili alla causa curda, che, in collaborazione con omologhi circuiti esteri, sono stati impegnati a sostenere le formazioni combattenti attraverso specifiche campagne finalizzate alla spedizione di materiale medico”.
Nel secondo caso, il Donbass, i servizi segreti scrivono che: L’operazione “Ottantotto” del luglio 2018 coordinata dalla Procura della Repubblica di Genova, che ha coinvolto diversi soggetti accusati di “associazione a delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata al reclutamento di mercenari e al combattimento in un conflitto in un territorio controllato da uno Stato estero”, ha riportato all’attenzione generale il tema della presenza nel teatro di crisi ucraino di cittadini italiani o di stranieri residenti in Italia”.
Ma sul Donbass, diversamente che in Rojava, per i servizi di sicurezza il monitoraggio verso il sostegno internazionalista si complica per la diversificazione dei soggetti attivizzatisi (militanti della sinistra ma anche gruppi di destra) e della diversità di collocazione “sul fronte”. Nella relazione è scritto infatti che: “Sin dal principio, infatti, la crisi ucraina ha suscitato l’interesse dell’estrema destra, scatenando però un vivace dibattito interno che ha determinato il formarsi di due fronti: l’uno, favorevole alle istanze nazionaliste di Kiev; l’altro, solidale con gli indipendentisti delle regioni orientali dell’Ucraina, sostenuti da Mosca. Tale contrapposizione si è tradotta nella rilevata presenza in entrambi gli schieramenti di militanti dell’ultra-destra italiana, spinti da motivazioni tanto ideologiche quanto economiche. Più nel dettaglio, mirati approfondimenti informativi hanno rilevato che: a favore dei lealisti ucraini si è mobilitata una parte della destra radicale nazionale, in considerazione del ruolo di rilievo ricoperto dai movimenti ultranazionalisti nel corso delle note proteste di piazza del novembre 2013 (cd. Euromaidan); a sostegno dei separatisti si è invece schierata una componente di estrema destra più numerosa, d’impronta più propriamente identitaria, che sostiene le posizioni russe in chiave anti-USA e anti-UE”.
A complicare il lavoro dei servizi di sicurezza italiani emerge poi un altro dato che gli ha scombinato lo schema: “Accanto ai filo-russi, peraltro, si è registrata anche una non irrilevante presenza di militanti dell’antagonismo di sinistra che, dal canto loro, interpretano la resistenza contro il Governo di Kiev in chiave antifascista e antimperialista. Nella maggior parte dei casi, i soggetti spinti da motivazioni politico-ideologiche si sono recati nel Donbass per iniziative propagandistiche, allo scopo dichiarato di documentare quella “esperienza di lotta” e portare sostegno alla popolazione locale, mentre solo una parte, più consistente per gli elementi di destra, risulta coinvolta nei combattimenti. Accanto ai soggetti caratterizzati politicamente, figurano poi quei profili “ibridi” che vantano anche esperienze nel circuito dei contractors. Come per analoghe mobilitazioni, anche in questo caso il web si è rivelato uno strumento di comunicazione e propaganda in grado di favorire contatti e adesioni. Sebbene il fenomeno risulti numericamente contenuto e, per evidenti ragioni, non paragonabile a quello dei foreign fighters jihadisti, esso presenta comunque potenziali criticità, correlate soprattutto all’esperienza e alle competenze di natura militare che, al rientro in territorio nazionale, potrebbero essere riversate negli ambienti di riferimento”. Dunque le carovane di solidarietà con le Repubbliche del Donbass non sono state gradite nè sono passate inosservate.
“L’allarme sugli anarchici”, come sempre, da sempre
Nella relazione, ovviamente e come è ormai consuetudine, ci sono diverse pagine dedicate agli anarchici, in particolare “sull’anarco-insurrezionalismo, confermatosi come l’espressione più insidiosa, capace di tradurre in chiave offensiva gli appelli istigatori della propaganda d’area, specie quella riconducibile alla Federazione Anarchica Informale/Fronte Rivoluzionario Internazionale (FAI/FRI).Nonostante l’incisiva azione di contrasto degli ultimi anni e le divergenze tra le varie componenti, il movimento si è reso protagonista di numerose sortite, rivendicate e non, che hanno preso di mira obiettivi riferibili ai tradizionali fronti di attivazione libertaria: “lotta alla repressione”, non solo nella consueta accezione di “solidarietà rivoluzionaria ai compagni prigionieri”, ma sempre più anche in chiave “antifascista” e “antirazzista”; campagna contro le grandi opere (Trans Adriatic Pipeline-TAP in primis); antimilitarismo; opposizione al “dominio tecno-scientifico”. Sembra quasi la descrizione di una imbarcata di “Unabomber” da film statunitense. Ma i recenti arresti di Torino e lo sgombero del centro sociale Asilo occupato, confermano come, per gli apparati repressivi, gli anarchici-insurrezionalisti siano oggetto di una attenzione particolare, da giocarsi poi su mass media compiacenti per seminare allarme sociale. Insomma siamo ancora nella visione da “deep state” nel paese della Strage di Piazza Fontana, di Valpreda e degli anarchici usati come depistaggio e capri espiatori rispetto alla strage di Stato.
Il capitoletto sui fascisti
I fascisti sono un problema per la sicurezza? No, lo sono solo se cercano di federarsi, dismettono la “casacca dei bravi ragazzi” e fingono di contestare Nato e Usa, Ue.
Negli anni scorsi, l’attenzione degli apparati repressivi colpiva per la scarsissima attenzione/documentazione sui gruppi neofascisti (nonostante emergessero spesso i loro legami con la malavita e il traffico di droga, ndr). Una disattenzione qualitativa e quantitativa leggibile anche nella descrizione di “bravi ragazzi impegnati nel sociale” emersa nelle relazioni dei servizi di sicurezza e nei rapporti di polizia negli scorsi anni. Quest’anno c’è un po’ di attenzione in più, ma soprattutto sulla dimensione internazionale, specie sulla frazione disallineata rispetto al dogma atlantista ed europeista dentro cui si colloca l’Italia.
“Costante attenzione informativa è stata riservata al panorama dell’ultradestra che, caratterizzatosi per una pronunciata vitalità, ha riproposto, specie con riguardo alle formazioni più strutturate, alcune consolidate linee di tendenza: competizioni “egemoniche” e fluidità di rapporti, interesse ad accreditarsi sulla scena politica mantenendo uno stretto ancoraggio alla “base”, propensione ad intensificare le relazioni con omologhe formazioni estere. Le strategie d’inserimento nel tessuto sociale hanno fatto leva su iniziative propagandistiche e di protesta, soprattutto in talune periferie urbane, centrate sull’opposizione alle politiche migratorie, nell’ambito di una più ampia mobilitazione su tematiche sociali di forte presa (sicurezza, lavoro, casa, pressione fiscale). Tale attivismo, di impronta marcatamente razzista e xenofoba, si è accompagnato ad una narrazione dagli accenti di forte intolleranza nei confronti degli stranieri che, al di là del richiamato omicidio di Macerata, potrebbe aver concorso ad ispirare taluni episodi di stampo squadrista, oltre che gesti di natura emulativa, e potrebbe conoscere un inasprimento con l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale europeo. Le varie campagne propagandistiche hanno tradito l’intento di coniugare l’esigenza di proiettare un’immagine “moderata” con la determinazione a preservare, per ragioni di proselitismo, i rapporti con quel variegato sottobosco comprendente anche segmenti politicizzati delle tifoserie calcistiche, nonché sigle di matrice neonazista, antisemita e skinhead. In quest’ultimo ambito, si è registrato un rimarchevole fermento organizzativo e programmatico da parte di componenti hammerskin attestate nel Nord Italia, interessate ad espandere il proprio raggio d’azione a livello nazionale attraverso un ambizioso “progetto federativo” rivolto a gruppi minori. Strumenti privilegiati di proselitismo sono la promozione di concerti d’area e di manifestazioni di carattere sia politico-culturale sia commemorativo-nostalgico, nonché di iniziative a sfondo sociale. La determinazione di tali ambienti ad acquisire peso ne ha influenzato i rapporti con altre compagini nazionali, in alcuni casi portando alla ricerca di sinergie, in altri accentuando la concorrenzialità. In Alto Adige i tradizionali contatti tra gruppi skinhead germanofoni e circuiti neo-nazisti tedeschi si sono ulteriormente rafforzati, facendo registrare la presenza di militanti altoatesini ad iniziative di protesta d’impronta xenofoba svoltesi in Germania”.
Fin qui l’attenzione è alla geometria variabile nelle aggregazioni dei gruppi neofascisti, soprattutto nell’Italia del Nord. Qualche preoccupazione in più emerge invece quando si guarda alle relazioni e alla visione internazionale dei gruppi neofascisti: “Si è confermata, più in generale, la spiccata proiezione internazionale delle principali formazioni d’area, con assidui e stretti rapporti con i maggiori gruppi stranieri dell’ultradestra, funzionali all’affermazione di un “fronte identitario paneuropeo”, a difesa delle radici etnico-culturali dell’Europa, di orientamento filorusso e pro-Assad e in contrapposizione alla UE, agli USA e alla NATO. Un contesto, questo, che ha confermato l’interesse dell’area nei confronti della crisi ucraina, anche in termini di sostegno attivo ai due schieramenti contrapposti. “iniziative propagandistiche e di protesta centrate sull’opposizione alle politiche migratorie”.
Insomma antifascismo militante e mobilitazioni popolari/ambientali sembrano essere le aree più attenzionate dai servizi di sicurezza. Ma, come detto sopra, guai ad abbassare la guardia sul fronte della risposta repressiva ai conflitti sociali, soprattutto se l’evidente avvitarsi della crisi economica accentuerà una crisi sociale nei settori popolari. A quel punto per gli apparati repressivi, tutto quello che si metterà di traverso avrà un suo potenziale sovversivo da colpire, anche quando si muove sul terreno della lotta “legale”. Non sarà la commissione del reato l’oggetto delle misure repressive, ma il soggetto “sovversivo” in quanto tale.
Il testo integrale della Relazione annuale: http://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/Relazione-2018.pdf
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