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Austria. 250.000 firme per referendum anti-euro

Neanche tutti quelli che parlano tedesco amano più l’Unione Europea, i suoi trattati, la sua moneta. Nella baraonda mediatica che ha accompagnato il referendum greco un po’ tutti ci eravamo persi questa notizia, apparsa su Il Fatto Quotidiano. Ci sembra il momento giusto per rimediare…

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Austria, 250mila firme per proposta per uscire da euro. E referendum più vicino

Oltre 250mila cittadini austriaci hanno sostenuto una proposta di legge perl’uscita dell’Austria dall’euro. E’ solo la seconda volta da dieci anni a questa parte che un’iniziativa popolare riesce a superare la soglia richiesta di 100mila firme. L’obiettivo è stato abbondantemente oltrepassato. Adesso il Parlamento è obbligato a discutere e deliberare sulla proposta di portare il Paese fuori dalla moneta unica. Ma non è questo il punto. Secondo le leggi austriache il Parlamento è tenuto a discutere le leggi di iniziativa popolare, ma può anche optare per un respingimento.

Sarà difficile che una proposta sostenuta nel Paese soltanto da comitati di cittadini possa trovare appoggi tra i partiti. Nessuna forza politica, ufficialmente, ha sostenuto la raccolta delle firme. Può essere, quindi, che il Parlamento alla fine respinga la proposta. Ma il vero nodo della questione è un altro. Indipendentemente dal percorso parlamentare, infatti, lo scenario di un referendum è ora più vicino. E di fronte a una consultazione popolare la politica sarebbe obbligata ad accettare il responso. A ogni modo i parlamentari non potranno sorvolare sul tema a cuor leggero. Duecentocinquantamila firme – 261.259 per l’esattezza – sono tutt’altro che un risultato trascurabile.PubblicLa raccolta delle adesioni si svolge come una normale tornata elettorale. Per aderire i cittadini devono recarsi negli uffici pubblici. Tempo massimo, una settimana. Per di più, la campagna di informazione si è svolta nel quasi assoluto silenzio della televisione pubblica e dei giornali mainstream.

Il comitato promotore ne va fiero. “Consideriamo che almeno un terzo della popolazione austriaca non era informata dell’esistenza di questa petizione popolare”, racconta Inge Rauscher, portavoce del movimento. “Abbiamo ottenuto un grande risultato senza l’appoggio dei partiti e senza finanziamenti di grandi sponsor. Ce l’abbiamo fatta esclusivamente grazie al passaparola di tantissimi volontari, impegnati tanto a distribuire volantini, quanto nell’uso dei social network e dei media alternativi”. Una sola volta e per l’arco complessivo di un minuto la televisione di stato Orf ha dato notizia dell’iniziativa di petizione popolare, senza peraltro aggiungere informazioni sul contenuto della proposta e sulle modalità di adesione.

Nel comitato promotore c’è un po’ di tutto, dai professori universitari a liberi professionisti a semplici pensionati. In Rete ci si imbatte in siti web, video youtube, pagine Facebook, inviti ad aderire online. Di motivi per uscire dall’euro ne vengono elencati a iosa. “Non vogliamo che i contribuenti pubblici continuino a pagare per salvare l’euro e rimediare ai danni delle speculazioni delle banche“. Un no netto arriva anche nei confronti di austerità e neoliberismo. “Gli accordi di libero scambio – qui il riferimento è al Ttip in corso di trattativa fra Ue e Usa – favoriscono solo gli interessi delle multinazionali a svantaggio dei diritti della salute, dell’ambiente e delle economie nazionali”.

Finora “le politiche dell’Ue hanno portato al crollo di salari e pensioni”. Temi che hanno fatto breccia un po’ ovunque, in maniera trasversale, sia fra gli elettori di tutti i partiti, a destra come a sinistra, sia soprattutto nelle sacche dell’astensionismo e dei senza partito. L’Europa messa sotto accusa in Austria è la stessa Europa che vede malvolentieri celebrarsi un referendum in Grecia sulle politiche economiche. Un’Europa che lascia molto a desiderare soprattutto nella propria costituzione democratica. “I trattati di Lisbona” sono un passo indietro della democrazia, “non rispettano la separazione dei poteri”, non prevedono “l’elezione del commissario europeo” e non riconoscono al parlamento europeo un “vero potere legislativo”.

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