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Messico: proteste contro il terrorismo di stato. Uccisi giornalista e quattro donne

Le ultime cinque vittime del terrorismo delle bande criminali – che può essere considerato un vero e proprio ‘terrorismo di stato’ tante e tali sono le connivenze tra la criminalità e gli apparati politici e di sicurezza del paese – hanno scatenato in Messico veementi proteste.

Sono migliaia le persone che sono scese per le strade delle maggiori città del Messico per protestare contro l’ennesima strage.
A Città del Messico, ma anche a Guadalajara, ad Acapulco e soprattutto a Xalapa, capitale dello Stato di Veracruz, accanto ad attivisti dei diritti umani, semplici cittadini, sindacalisti, esponenti politici hanno manifestato anche centinaia di giornalisti e fotoreporter. Come lo era Ruben Espinosa, fotoreporter che lavorava nello Stato di Veracruz e si era rifugiato a Città del Messico due mesi fa dopo aver ricevuto minacce di morte. Solo un mese fa l’uomo nel corso di alcune interviste aveva denunciato di sentirsi minacciato anche dal governatore dello stato orientale di Veracruz.
E’ il suo uno dei cinque cadaveri trovati sabato mattina in un quartiere della capitale federale Città del Messico. Lo ha confermato il procuratore della città. Era l’unico uomo fra le cinque vittime che la polizia ha trovato con le mani legate e colpito alla testa nel quartiere di Narvarte della capitale. Secondo un’associazione che si batte per la libertà di stampa, “Articolo 19”, il fotoreporter è stato torturato prima della morte: al momento del ritrovamento presentava gravi ferite sul volto ed è stato freddato con due colpi di pistola alla testa. La stessa sorte hanno subito le altre quattro vittime – tutte donne, compresa una domestica di soli 18 anni – anche loro torturate ed anche violentate. Una delle vittime era la militante per i diritti umani Nadia Vera Perez, esponente del gruppo #YoSoy32 creato
Espinosa lavorava per il giornale investigativo Proceso, in prima fila nel sostegno alle proteste sociali e nelle denunce contro la corruzione della classe politica,  e per altri media. Lo Stato di Veracruz, dal quale era dovuto scappare, è un territorio sempre più pericoloso per i cronisti ficcanaso; sono 13 i giornalisti uccisi dal 2010, durante l’amministrazione del contestatissimo governatore Javier Duarte: l’ultimo solo un mese fa.
Il procuratore di Città del Messico, Rodolfo Rios Garza, ha detto in conferenza stampa che la divisione dell’ufficio del procuratore generale federale per i delitti contro la libertà d’espressione sta collaborando alle indagini. “Tutte le piste d’indagine sono aperte” ha detto sabato scorso, intendendo quindi che non si segue nessuna pista particolare. Il procuratore ha addirittura ipotizzato che il massacro possa essere la conseguenza di una rapina o di una violenza sessuale di gruppo, il che ha indignato non poco chi conosce la travagliata storica di Espinosa e di alcune delle attiviste per i diritti umani assassinate insieme al fotoreporter.
Ma i manifestanti puntano il dito contro l’immobilismo e il silenzio delle istituzioni di fronte alla situazione, che in molti casi sfocia nella tolleranza o nell’aperta complicità con i narcos che ogni mese versano il sangue di centinaia di persone. Di fatto in molti casi le bande agiscono in nome e per conto di oligarchi locali, manager delle industrie di stato o private, esponenti politici, ufficiali dell’esercito.
Dal 2000 a oggi in tutto il Messico sono stati assassi­nati ben 88 gior­na­li­sti. Ma non sono solo giornalisti e gli attivisti dei diritti umani a cadere sotto il piombo delle bande: negli ultimi anni risultano sparite – desaparecidas – ben 25.700 persone, molte delle quali durante la presidenza dell’attuale Capo dello Stato, Enrique Peña Nieto, iniziata solo nel 2012.
“Oltre 100 giornalisti sono stati uccisi, ecco perché il Messico è considerato il secondo, forse il terzo Paese più pericoloso al mondo per la professione” dice. “Sfortunatamente lo Stato di Veracruz è quello con il maggior numero di omicidi” ha denunciato alla stampa il giornalista José Reveles, intervistato a Città del Messico. “Se uno dice la verità lo uccidono, i giornalisti che come me non si fanno comprare o li uccidono o spariscono. Cosa possiamo fare? Me lo dica, io davvero non so cosa fare” ha chiesto retoricamente un’altra giornalista, Cristina Guerrero.
Espi­nosa aveva ini­ziato a lavo­rare come foto­grafo di Javier Duarte quando il personaggio politico era can­di­dato a gover­na­tore del Vera­cruz, ma poi se ne era allontanato scegliendo di documentare le lotte dei movimenti sociali. Ad esempio quelle degli studenti del novembre del 2012 contro il governatore, nel frattempo la carica era stata assunta proprio da Duarte. Nel corso di un pestaggio ad uno studente da parte della polizia venne minacciato apertamente: se avesse continuato a scattare le sue foto avrebbe fatto la fine, gli dissero, di Regina Martinez, una corrispondente della rivista Proceso assassinata.
Dopo una lunga serie di persecuzioni e minacce, a giugno, alla vigilia delle elezioni, documentò l’aggressione subita da otto studenti ad opera di un gruppo di poliziotti incappucciati. A quel punto le minacce si fecero più dirette e decise di fuggire da Xalapa per rifugiarsi nella capitale. Ma la mano degli assassini lo ha raggiunto anche a Città del Messico.

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