Ben sessantotto pagine per spiegare che “si può andare solo avanti”. Ormai ciò che rimane della Syriza normalizzata e deputata da critici e oppositori è in piena campagna elettorale. D’altronde si vota il 20 settembre in una competizione di fatto voluta da Alexis Tsipras con l’intenzione di avvantaggiarsi della disorganizzazione e della scarsa credibilità degli avversari sfruttando il proprio carisma personale (o almeno di limitare i danni, visti i non proprio entusiasmanti sondaggi degli ultimi giorni) prima che l’elettorato greco trasformi la disillusione in rabbia.
Il programma di Syriza somiglia a quello che portò alla vittoria del 25 gennaio scorso, un po’ più sbiadito, un po’ più ‘realista’ e un po’ più minimalista. Di fatto Tsipras e i suoi promettono, se vinceranno, di fare ciò che non hanno potuto e voluto fare in sei mesi di governo ‘rivoluzionario’. L’obiettivo rimane ridurre l’austerity, recuperare la sovranità, varare piani di investimento nel sociale per attutire le conseguenze delle politiche imposte dai creditori. E l’accettazione del Terzo Memorandum? E le privatizzazioni? E l’aumento delle tasse? E l’aumento dell’età pensionabile? “Un compromesso tattico momentaneo” li definisce il partito, sperando che il suo elettorato continui a crederci e non si rivolga a forze più radicali e battagliere o ai nazisti. Di fatto il linguaggio che i dirigenti di Syriza 2.0 stanno utilizzando sembra quasi da forza di opposizione, come se si fosse di nuovo tornati alla casella di partenza e i sei mesi di governo con i nazionalisti di destra “antiausterity” fossero solo una allucinazione collettiva: difesa del lavoro e dei contratti collettivi, sistema fiscale equo, programmi sociali, ecc. Come portare a casa il risultato, però, il gruppo dirigente di Syriza non lo spiega, e ribatte sulla novità rappresentata dal movimento rispetto ai ‘vecchi partiti’ del sistema che non sono stati in grado di risolvere i problemi dei greci. Quelli con cui ha di fatto governato per settimane – in ballo c’era l’approvazione del pacchetto lacrime e sangue imposto dalla Troika in cambio del megaprestito da 86 miliardi – prima delle dimissioni.
Intanto i settori dissidenti di ciò che è stata fino a luglio una coalizione di forze socialiste, comuniste e ecologiste continuano a serrare i ranghi in vista dell’appuntamento elettorale del 20 settembre. I riflettori sono puntati soprattutto su ‘Unità Popolare’ – la formazione messa in piedi forse frettolosamente (ma la tabella di marcia è stata imposta da Tsipras) dall’ex ministro Panagiotis Lafazanis – che stando ai sondaggi dovrebbe superare lo sbarramento del 3% e quindi entrare in parlamento togliendo preziosi consensi all’ex partito di governo. Al gruppo di deputati, dirigenti e militanti provenienti dall’ex Piattaforma di Sinistra di Syriza – formata da una decina di gruppi politici provenienti da varie tradizioni, con forti accentuazioni antieuro – si stanno via via sommando altri spezzoni critici in fuga da Tsipras. Pare addirittura che anche Zoe Konstantopoulou, la battagliera presidente del parlamento, voglia essere della partita, e che rinuncerà addirittura a creare un suo movimento per entrare direttamente nella formazione che dovrebbe mantenere una forma federale, come quella che aveva Syriza all’inizio. Intanto ieri Konstantopoulou ha reso noto che si candiderà nelle liste di Unità Popolare, respingendo le accuse lanciate dallo stato maggiore del suo ex partito di aver lavorato alla scissione e anzi accusando Tsipras di non aver voluto capitalizzare i risultati della Commissione Parlamentare per la Verità e la Giustizia sul Debito Pubblico, dopo averla creata, nonostante questa fosse arrivata alla conclusione che il debito greco è “illegale e illegittimo”.
A Lafazanis è arrivata da Parigi la solidarietà dell’ex leader del Fronte di Sinistra francese, Jean Luc Mèlenchon, mentre Syriza continua a ricevere l’appoggio di buona parte di Podemos.
Da segnalare che alle prossime elezioni dovrebbe essere presente anche un’altra forza di sinistra radicale, Antarsya, che ha vissuto una relativa spaccatura nel corso del dibattito su una possibile confluenza elettorale ed organizzativa con la creatura di Lafazanis. La riunione del 30 agosto del Coordinamento nazionale della coalizione ha infatti cristallizzato le posizioni contrastanti già emerse precedentemente: da una parte i gruppi Aran e Aras che hanno già aderito ad Unità Popolare e i cui candidati correranno nelle liste del nuovo partito, dall’altra parte il resto delle forze promotrici che invece hanno rifiutato un patto con Lafazanis che non riconoscesse pari dignità e rappresentazione ai due partiti.
L’ex componente maoista di Syriza, il Koe – Organizzazione Comunista di Grecia – ha fatto intanto sapere informalmente che non aderirà a nessuna delle nuove formazioni pur avendo abbandonato la coalizione e che non esprimerà propri candidati alle prossime elezioni.
Anche nel resto del panorama politico si susseguono le notizie di patti di collaborazione tra diverse forze politiche nel tentativo di limitare i danni o di superare lo scoglio del 3% e poter quindi entrare in parlamento.
Il Partito socialista panellenico Pasok e quello di Sinistra Democratica (Dimar) hanno annunciato di aver stretto nello scorso fine settimana un accordo di collaborazione per le prossime elezioni politiche. L’annuncio segue di un paio di giorni quello del fallimento di un analogo accordo con il Movimento dei Socialisti Democratici (Kidiso) fondato lo scorso anno dall’ex primo ministro socialista George Papandreou. L’ex leader del Pasok, in dichiarazioni rese sabato scorso, ha attribuito la responsabilità del fallimento dell’intesa all’attuale dirigenza del Pasok. I sondaggi più recenti suggeriscono che i socialisti oltrepasseranno la soglia di sbarramento, e l’accordo con la piccola formazione fondata alcuni anni fa da transfughi di destra di Syriza e da critici di sinistra del Pasok potrebbe rendere la formazione più appetibile agli elettori di centrosinistra.
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