Sembra proprio che la campagna di criminalizzazione della destra spagnolista nei confronti delle forze catalane che sostengono l’autodeterminazione avrà un effetto boomerang alle prossime elezioni del 27 settembre. Formalmente si tratta di elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Comunità Autonoma di Barcellona ma di fatto è un referendum pro o contro l’indipendenza che le forze che sostengono la piena sovranità si apprestano a stravincere.
Secondo l’ultimo sondaggio realizzato da JM&A per il quotidiano iberico Público, il numero di elettori che sosterranno una opzione apertamente indipendentista aumenterà del 10% rispetto alle scorse votazioni e concedendo a due liste una netta maggioranza assoluta nel Parlamento Autonomo Catalano con 73 seggi su 135, cinque in più della necessaria metà più uno. Le due liste sono quella di Junts pel Sì – formata dai settori indipendentisti della borghesia catalana e da Esquerra Republicana de Catalunya, storica forza di centrosinistra – e la Cup, la più radicale e di sinistra Candidatura d’Unitat Popular.
Sul fronte opposto, di fronte a un pesante crollo dei voti per il Partito Popolare, a destra emerge Ciudadanos, che dovrebbe conquistare addirittura 20 seggi. D’altronde la creatura di Albert Rivera nacque dieci anni fa proprio in terra catalana, basata su una ideologia liberista temperata e “costituzionalista” (cioè nazionalista spagnola) prima di essere scoperta da alcuni ambienti di potere statali come contraltare all’espansione elettorale di Podemos e di alcune liste di sinistra. Secondo le previsioni C’s dovrebbe recuperare alcune centinaia di migliaia di voti in fuga sia dal Partito Popolare sia dal Partito Socialista.
Le elezioni del 27 settembre dovrebbero, dicono le previsioni, registrare un record di partecipazione da parte degli elettori, centinaia di migliaia dei quali sceglieranno questa volta di non astenersi per sostenere o contrastare le forze indipendentiste. Il tasso di partecipazione dovrebbe superare questa volta il 71%.
A rimetterci dalla polarizzazione politica tra indipendentisti e nazionalisti spagnoli saranno alcuni settori intermedi. A penalizzare il centro catalanista è stata la scissione di pochi mesi fa tra i due partiti storici della borghesia catalana, la Convergenza Democratica di Catalogna (liberale) e l’Unione Democratica di Catalogna (democristiana); da sempre su posizioni regionaliste e autonomiste soprattutto per svolgere un centrale ruolo di mediazione tra gli interessi delle classi dirigenti locali e quelle statali, negli ultimi anni la Convergenza di Artur Mas si è spostata su posizioni più radicali, trascinata verso obiettivi sovranisti da una generale mobilitazione indipendentista dell’opinione pubblica catalana. Il che ha convinto la assai più moderata Unione a rompere la federazione con CDC e a spostarsi nel campo costituzionalista. La storica rottura ha lasciato spazio per una convergenza elettorale in una lista unica – Junts per Sì – tra CDC, ERC ma anche l’Assemblea Nazionale Catalana, l’Òmnium Cultural e altre associazioni indipendentiste di natura trasversale nate negli ultimi anni, oltre che di vari intellettuali, uomini di cultura e personaggi dello sport schierati per la separazione da Madrid. La scelta di andare a una lista unica ‘sovranista’ però penalizzerà le forze che vi aderiscono a causa delle caratteristiche della legge elettorale che premia il primo e il secondo partito. Pur piazzandosi al primo posto con una sessantina di eletti Junts per Sì dovrebbe perdere ben 11 seggi rispetto alla somma di quelli guadagnati separatamente da Convergenza e Unione e da Esquerra Republicana nel 2012. Da parte sua l’Unione Democratica di Catalogna dovrebbe fermarsi a uno, massimo due seggi.
Dai sondaggi sembra che la coalizione federalista Catalunya Sí que Es Pot – “Catalogna sì che si può”, formata da Podem e da varie liste di centrosinistra e sinistra, compresa la sezione locale di Izquierda Unida – non riuscirà a piazzarsi al secondo posto, scalzata dalla feroce propaganda di Ciutadanos contro i ‘separatisti’ e dal generale calo di consensi per Podemos. Ma negli ultimi giorni la lista della sindaca di Barcellona Ada Colau potrebbe recuperare in virtù di un eventuale più esplicito sostegno da parte dell’amministrazione della futura capitale catalana.
I socialisti, un tempo forza di governo, dovrebbero invece continuare il proprio declino passando da 20 a soli 13 seggi, poco più del PP (11-12) ma parecchio dietro a Ciutadanos (20-21) e anche ai federalisti di centro-sinistra (16).
Previsto invece un vero e proprio boom elettorale della sinistra indipendentista radicale rappresentata dalla Cup, che nei mesi scorsi dopo un ampio dibattito della sua base militante ha deciso di non entrare nella lista unitaria insieme a Erc e CDC e di mantenere alta la bandiera non solo dell’indipendenza ma anche del cambiamento sociale e della lotta contro il liberismo e la gabbia dell’Unione Europea. Secondo il sondaggio reso noto da Publico la Cup – che per l’occasione riceve il sostegno anche di altri piccoli spezzoni del vario arcipelago delle forze alternative catalane – dovrebbe addirittura quadruplicare la sua rappresentanza istituzionale, passando dai 3 eletti del 2012 a ben 13 seggi. Se così fosse la sinistra radicale rappresenterebbe l’ago della bilancia in un parlamento in cui il 70% degli eletti sarebbe comunque a favore di un graduale processo di separazione dallo Stato Spagnolo.
Per cercare di influenzare la campagna elettorale e intimidire gli elettori, il sempre più traballante governo del Partito Popolare ha deciso di modificare le norme che regolano il funzionamento della Corte Costituzionale, affidando al massimo organo legislativo il potere di sanzionare coloro che non rispettano le sue sentenze, prevedendo anche la rimozione dalle proprie funzioni dei rappresentanti istituzionali e dei funzionari ribelli. L’obiettivo della nuova legge, depositata martedì e la cui approvazione è facilitata da una sorta di corsia preferenziale, è stato il numero uno dei popolari catalani, Xavier Albiol, a spiegarlo: “Grazie a questa legge nessuno potrà dichiarare l’indipendenza della Catalogna”. Nel caso Artur Mas dichiarasse l’indipendenza infatti il governo otterrebbe automaticamente dalla Corte Costituzionale di inabilitare il capo della Generalitat Catalana, senza lasciare spazio ad alcun compromesso o ad un eventuale processo graduale e consensuale di formazione di un nuovo stato. Ovviamente è interesse del PP polarizzare e drammatizzare lo scontro per sottrarre spazio a Ciudadanos e ai socialisti e apparire come l’unica diga contro i ‘rossi separatisti’.
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