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Il socialista Corbyn nuovo leader del Labour, sconfitto l’establishment

Jeremy Corbyn è il nuovo leader del Labour Party. Il parlamentare di Islington North ha letteralmente stravinto il congresso convocato dopo le dimissioni di Ed Miliband, seguite alla netta sconfitta delle ultime elezioni. Circa 423 mila iscritti laburisti, un record di partecipazione (l’affluenza è stata del 76,3 per cento degli iscritti) hanno consegnato a Jeremy Corbyn una maggioranza schiacciante. Il nuovo leader è stato eletto infatti al primo turno delle primarie del Partito Laburista, chiusesi giovedì, con quasi il 60% delle preferenze e più di 250 mila preferenze.
Il sistema di voto prevedeva un’elezione a quattro turni, con graduale eliminazione dell’ultimo arrivato fino a che un candidato non avesse raggiunto la maggioranza. Ma a differenza che nel 2010, quando Ed Miliband riuscì a sconfiggere il fratello David solo all’ultima votazione, il congresso è stato dominato da Corbyn, che ha trionfato grazie al gran numero di nuovi iscritti affascinati dalle sue posizioni, molti dei quali provenienti dai sindacati sempre più bistrattati dal New Labour blairiano quando non da formazioni politiche o associazioni a sinistra del partito che da sempre si spartisce il potere con i Conservatori all’interno di un sistema bloccato ed oligarchico. 

La “gioiosa macchina da guerra” messa all’opera dall’establishment del partito e dalla stampa padronale per impedire che l’outsider riuscisse a conquistare la guida della formazione politica non ha sortito grandi effetti, anzi ha probabilmente convinto alcuni settori tradizionalmente scettici sulla possibilità di cambiare un partito laburista sempre più schiacciato su posizioni liberiste e guerrafondaie a iscriversi alle primarie e a votare per il parlamentare socialista. Leader della corrente di sinistra interna, Corbyn è noto per il suo europeismo critico, per un punto di vista contrario alle varie avventure militari che Londra ha intrapreso negli ultimi decenni ad fianco di Washington e alla permanenza nella Nato, per la sua contrarietà all’utilizzo dell’energia nucleare sia in campo civile che militare, per le sue posizioni solidali con le rivoluzioni democratiche dell’America Latina e con le lotte di alcuni popoli, a partire da quello palestinese.
Niente di rivoluzionario, Corbyn è comunque un esponente storico del Partito Laburista e si considera vicino alle posizioni di Syriza e di Podemos. E dovrà temperare le sue posizioni con le nuove responsabilità e il suo nuovo incarico (e come si sa in moltissimi non reggono al salto).
Ma tanto è bastato affinché la dirigenza del movimento e vari ambienti di potere scatenassero contro di lui una massiccia campagna denigratoria volta a convincere gli iscritti alle primarie a non sostenere un leader definito velleitario, sognatore, non affidabile e non in grado di portare il Labour alla vittoria contro i conservatori, avvantaggiando anzi i suoi avversari con le sue posizioni troppo radicali. Ma alla fine Milliband e lo stesso Tony Blair, entrato in campo nell’ultima settimana in un estremo tentativo di sbarrare la strada a ‘Corbyn il rosso’, sono stati sconfitti. Anche più dei suoi tre sfidanti appartenenti all’establishment, Andy Burnham, Yvette Cooper e Liz Kendall, letteralmente stracciati. L’ultima, la candidata blairiana, ha preso solo il 4.5% delle preferenze.
I cardini del programma del nuovo leader del Labour sono porre fine all’austerità, aumentare la tassazione dei grandi patrimoni e delle aziende e rinazionalizzare alcune imprese privatizzate a partire dall’era di Margaret Thatcher, a cominciare dalle ferrovie. Nel suo intervento al congresso, tra gli applausi dei delegati, Corbyn ha poi chiarito che il suo obiettivo è dare “speranza alla gente comune che non ne può più di ingiustizie, disuguaglianza, povertà non inevitabile” ed ha rivendicato il legame “organico” con i sindacati reciso dalle precedenti direzioni denunciando come un “attacco alla democrazia” la riforma messa in cantiere dal governo conservatore per limitare il diritto di sciopero. A impensierire l’establishment interno ed esterno al Labour è anche il nuovo numero due del partito Tom Watson, classe 1967 e parlamentare per il seggio di West Bromwich East fin dal 2001. Molto amato all’interno dei sindacati, Watson è considerato un nemico giurato del tycoon Rupert Murdoch e una ‘bestia nera’ per il suo impero mediatico e i suoi interessi.

Ora bisognerà vedere come la macchina organizzativa del Labour risponderà alla vittoria dell’outsider, se seguirà il nuovo leader e obbedirà alla svolta a sinistra sul piano ideologico, sociale, economico e internazionale o seppure – è l’ipotesi al momento più probabile – boicotterà la nuova direzione nel tentativo di costringere il 66enne Corbyn ad abbandonare la guida del partito.
Uno dei suoi competitori, Andy Burnham, è l’unico ad aver fatto trasparire di essere disposto a partecipare a un governo guidato da Corbyn, e anche Sadiq Khan, il nuovo candidato sindaco di Londra – musulmano e favorevole ai diritti dei gay e delle minoranze – potrebbe avere un ruolo importante, avendogli offerto il suo voto per permettergli di essere incluso nelle liste.

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