Un dossier a cura della Rete dei Comunisti
La necessità di iniziare a fornire materiali di approfondimento storico-teorico sul significato politico della lotta di liberazione palestinese all’interno dell’attuale dibattito dentro l’ampio movimento di solidarietà con la causa palestinese ci ha spinto a produrre questo primo dossier nella versione di e-book gratuito.
Abbiamo scelto di “assemblare” due dei primi testi pubblicati in Italia sull’argomento quando la solidarietà con la resistenza palestinese, accanto a quella con quella vietnamita, ha cominciato ad essere al centro dell’agenda politica internazionalista della sinistra rivoluzionaria in quello che è stato il Lungo ’68 italiano.
Si tratta di due testi.
Il primo è il volume “La lotta del popolo palestinese”, pubblicato nell’aprile del 1969 dalla Feltrinelli, con una introduzione di Guido Valabrega ed a cura di Carlo Pancera che contiene differenti saggi di Sami Hadawi, Fayes A. Fayez, e Asa’d Abdul-Rahaman con un appendice su Al Fatah.
L’altro è un pamphlet del Comitato Vietnam Milano nell’ottobre del 1970.
Due testi differenti, con tagli “diversi” che avevano il pregio di porre una ricostruzione storica con intenti divulgativi ed un punto di vista politico.
Questo primo dossier non è affatto esaustivo, perché si tratta di una prima tappa di un work in progress che vogliamo proseguire per dare innanzitutto la prospettiva storica di una lotta e delle forze che l’hanno animata, e l’approccio politico che la sinistra di classe ha avuto nell’affrontarla e sostenerla all’interno di un processo di emancipazione più complessivo.
Il dossier è rivolto in particolare a quelle giovani generazioni che stanno animando oggi le piazze e le iniziative a fianco della Resistenza Palestinese per riannodare quel filo rosso della solidarietà che ha storicamente caratterizzato la nostra organizzazione – contribuendo ad animare il Forum Palestina – e le esperienze che l’anno preceduta e per cui rimandiamo ai due volumi della “Storia Anomala”.
Qui, a mo’ di introduzione, vogliamo mettere in evidenza alcuni punti sintetici che per noi risultano centrali:
1) L’operazione “Diluvio di Al-Aqsa” condotta da Hamas il 7 ottobre scorso, ha reso evidente che non ci può essere la pace in Medio-Oriente senza il soddisfacimento delle storiche rivendicazioni palestinesi ed ha messo a nudo la natura dello stato sionista.
La ferocia della rappresaglia israeliana, con la completa complicità del blocco euro-atlantico, ha mostrato al mondo intero la natura genocida dello Stato Israeliano, e del progetto sionista ad esso intrinsecamente connaturato.
L’ideologia e la pratica sionista hanno degli obiettivi precisi: cacciare dalla propria terra i palestinesi, espandere la propria colonizzazione dal Giordano al Mediterraneo, e costringere alla subordinazione politica gli stati confinanti “normalizzandone” le relazioni diplomatiche o tentando di sminuzzarli in piccole patrie etnico-confessionali dopo averli destabilizzati; il tutto mentre viene mantenuto un regime di ferocissima apartheid nei confronti dei propri cittadini “arabi” dentro i confini del suo Stato confessionale.
Il sionismo prima e lo Stato d’Israele poi sono stati infatti storicamente strumenti dell’imperialismo “più forte” – prima quello britannico e poi quello nord-americano – e vettori della contro-rivoluzione in un perimetro che è andato ben oltre i confini del “Medio-Oriente” ma che dentro quel quadrante si è storicamente voluto affermare con la politica di potenza.
L’entità sionista è stata sempre un’acerrima nemica dei processi di emancipazione dei popoli del Tricontinente ed uno dei principali strumenti della contro-rivoluzione a livello globale ed il principale vettore della tendenza alla guerra a livello regionale.
Le sorti del sionismo sono quindi legate a doppio filo e da sempre – in una relazione di implicazione reciproca – con quelle dell’imperialismo più forte: la forza dell’uno ne garantisce quella dell’altro e vice-versa.
2) La centralità della dialettica tra la dimensione nazionale palestinese e la dimensione Pan-araba ed islamica della lotta contro il nemico sionista è una costante dei processi storici medio-orientali che i tentativi di normalizzazione dell’entità sionista non hanno annullato.
Il periodo considerato nei due testi può essere considerato diviso in due fasi: nel 1948/1967 e dal 1967 in avanti.
Nel primo periodo la dimensione nazionale araba era chiaramente prevalente su quella palestinese, per così dire “diluita” dentro il Movimento Nazionale Arabo – che è la culla della futura leadership palestinese – con una chiara direzione anti-imperialista e che è rappresentato nel suo culmine da Nasser e dal “nasserismo”.
Un progetto portato avanti dalle borghesie arabe alleate del blocco sovietico, il cui sviluppo entra in rotta di collisione con il binomio sionismo/imperialismo.
L’esigenza di disarticolare il progetto panarabo troverà la sua realizzazione con la guerra dei sei giorni del ’67.
L’attacco sionista è improvviso e micidiale, occupa il Golan, la Cisgiordania ed il Sinai. Ancora una volta il massacro palestinese si dà con l’esodo di 410 mila tra palestinesi, drusi e beduini che saranno costretti a lasciare le loro case e la loro terra.
Nel secondo periodo come riflessione sulle ragioni della sconfitta del 1967 si è affermata – grazie al consolidamento dell’OLP e allo sviluppo della sinistra rivoluzionaria palestinese, – la necessità di salvaguardare e consolidare la particolare dimensione palestinese dentro il quadro generale della Nazione Araba, con strumenti propri, una maggiore autonomia ed una propria traiettoria.
3) La dimensione internazionale della lotta palestinese. Nel rapporto tra Israele e imperialismo, l’entità sionista si è progressivamente elevata da semplice strumento mercenario a partner del sistema di interessi globali del campo imperialista a cominciare dal suo strumento di affermazione: la NATO, divenuta oggi vera e propria “camera di compensazione” a guida statunitense tra i paesi del blocco euro-atlantico.
Considerando la strategia generale israeliana e la natura generale del rapporto tra sionismo ed imperialismo, viene naturale affermare che sono diventate egualmente forti e organiche le interconnessioni tra il successo del popolo palestinese nel recuperare i propri diritti finali dagli artigli dello stato stato sionista e il successo delle forze che vogliono invertire la tendenza alla guerra del blocco euro-atlantico, in direzione di un mondo effettivamente multipolare e poli-centrico.
Lo è in particolare per quei paesi del centro imperialista dove la tendenza alla guerra esterna che si concretizza anche con la complicità con lo stato d’Israele si coniuga con l’austerità economica e con la torsione autoritaria nei confronti delle garanzie di azione politica delle classi subalterne.
Quella che nel periodo preso in esame era una possibile tendenza è ora un fatto difficilmente oppugnabile.
4) La capacità della Resistenza palestinese di fare di un popolo di profughi e di diseredati che il sionismo ed i suoi alleati vorrebbe relegato ai margini dei processi storici come veri e propri dannati della terra, un popolo di combattenti in grado ciclicamente di imporre agli attori internazionali le proprie rivendicazioni che non possono essere ignorate, nemmeno in seguito a cocenti sconfitte.
Una Resistenza che si è storicamente data una combinazione creativa delle forme di lotta impiegate proprio perché i palestinesi si trovano di fronte ad un nemico che tenta di negare la loro stessa esistenza, cancellarne l’identità e la cultura, di falsificarne la storia e di distogliere l’attenzione del mondo dai loro legittimi diritti.
Nel periodo in questione, successivo alla sconfitta del 1967, fu la guerriglia dei Fedayn che aprì una prospettiva nuova non solo per il movimento palestinese ma per tutto il movimento arabo, riprendendo in mano la lezione vittoriosa della guerra di liberazione algerina, quella cubana e cinese.
Buona lettura.
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