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Burkina Faso. Manifestanti ancora in piazza contro il golpe, militari e golpisti trattano

Il presidente Michel Kafando, deposto il 17 settembre dai militari golpisti del Reggimento di sicurezza Presidenziale (RSP) guidati dal generale Gilbert Diendéré, dovrebbe tornare oggi ad occupare la propria carica di capo dei poteri di transizione. Questo uno dei punti dell’accordo tra putschisti e forze armate lealiste che sarebbe stato raggiunto ieri sera sulla base della mediazione del Consiglio economico dell’Africa Occidentale (Cedeao) riunito appositamente ad Abuja, in Nigeria. Lo stesso Diandéré aveva dichiarato ieri sera che Kafando sarebbe stato “rimesso in sella” oggi. Militari lealisti e golpisti del RSP si sarebbero inoltre impegnati a rispettare un accordo di pacificazione. Oltre la mediazione diplomatica, non poco pare abbiano influito su quella che, per ora, sembra un’intesa, le manifestazioni popolari che, sin dai primi momenti del golpe, hanno interessato gran parte delle città più importanti del Burkina Faso, manifestazioni organizzate dal movimento “Balai citoyen”, che aveva guidato l’ottobre scorso la rivolta contro Compaoré e che già domenica, appena annunciata l’ipotesi di compromesso, l’aveva definita “vergognosa”, perché ” legittima il colpo di stato e le richieste del Reggimento di sicurezza presidenziale”.
Quattro capi di stato dell’Africa occidentale sono ora attesi a Ouagadougou per cercare di suggellare, con l’effettivo reintegro nelle sue funzioni del presidente Kafando, la mediazione che fino a ieri sera era ferma al progetto di compromesso elaborato domenica dal presidente senegalese Macky Sall e discusso ieri al vertice del Cedeao. Ad atterrare oggi a Ouagadougou saranno di nuovo Macky Sall e il beninese Boni Yayi, protagonisti del tentativo di mediazione tra golpisti e autorità legittime; ad essi si uniranno i presidenti di Togo e Nigeria, Faure Gnassingbé e Muhammadu Buhari. All’inizio, era sembrato che il progetto di accordo fosse finito in un vicolo cieco: i punti principali accoglievano per lo più le richieste dei putschisti, scontentavano un po’ tutti e rischiavano di screditare lo stesso Cedeao. Ancora ieri sera, la “Reuters” scriveva di una situazione pressoché bloccata: l’esercito rimasto fedele al presidente di transizione Michel Kafando continuava a controllare le vie d’accesso e buona parte dell’interno della capitale, mentre il Reggimento di Sicurezza Presidenziale (RSP) che fa riferimento al protagonista del golpe, il generale Gilbert Diendéré, aveva in mano radio e televisione nazionali, palazzo presidenziale e alcuni assi viari strategici. “Jeune Afrique” aveva in effetti anticipato che Diendéré aveva detto di volersi rimettere alle decisioni del Cedeao, ma aveva anche ammonito di esser pronto a difendersi in caso di attacco. Sempre ieri sera, l’Unione africana ribadiva che l’unica soluzione è il disarmo dei golpisti del RSP, per il cui scioglimento si è pronunciato il Presidente del Consiglio nazionale di transizione, Chériff Sy.
Lunedì scorso l’esercito lealista, nel circondare la capitale, aveva imposto ai golpisti del RSP di deporre le armi; ancora ieri però questi ultimi non parevano intenzionati a cedere. Diendéré aveva detto di essere in trattative con i capi dell’esercito, per “far ripartire” le unità arrivate nella notte a Ouagadougou. L’unica nota positiva registrata ieri mattina era stata la liberazione del primo ministro del governo di transizione Isaac Zida, fino ad allora prigioniero del Consiglio Nazionale per la Democrazia (CND), l’organo di cui si è autonominato presidente Gilbert Diendéré al momento del golpe. Zida si troverebbe ora in un luogo sicuro, di cui non è stata rivelata la posizione. Già lunedì sera anche il deposto presidente di transizione, Michel Kafando, aveva lasciato l’alloggio sorvegliato dai golpisti, per essere accolto nella residenza dell’ambasciatore francese.
Rimangono tuttavia diverse incognite, frutto anche del progetto di mediazione del Cedeao, troppo favorevole al RSP. Non è chiaro, al momento, ad esempio, quale sarà la sorte dei golpisti. “Jeune Afrique” scrive che le parti si sarebbero accordate ieri sera su due punti principali: il primo riguarda l’acquartieramento dei rivoltosi del RSP nel loro Quartier generale di Nabaa Koom, dietro il palazzo presidenziale di Kosyam (qui verrà anche effettuato l’inventario delle loro armi); il secondo punto è l’allontanamento delle truppe lealiste a 50 chilometri dalla capitale. Sembra non si sia fatto cenno, per ora, né all’amnistia reclamata dai golpisti, né alla sorte del principale personaggio della vicenda, Gilbert Diandéré.
Ieri “Jeune Afrique” riassumeva il curriculum di Gilbert Diandéré, a partire dalla sua partecipazione alla rivoluzione del capitano Thomas Sankara, nel 1983, e anche all’uccisione di Sankara stesso, nel 1987. Da tempo si parla anzi del suo ruolo diretto, come braccio armato del traditore Blaise Compaoré, nell’assassinio del capitano rivoluzionario: la riesumazione dei cadaveri di Sankara e dei compagni uccisi al suo fianco, insieme alle conclusioni delle autopsie, sarebbe stato anzi motivo non secondario che ha spinto al golpe dello scorso 17 settembre. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Diandéré a “Jeune Afrique” e a “France 24”, egli si sarebbe deciso al colpo della scorsa settimana per evitare che il paese precipitasse nel caos. Le lezioni presidenziali e legislative fissate per l’11 ottobre, a suo dire, “non erano ben organizzate”, ci sarebbero stati “tentativi di frode” e, quindi, di “disordini”. Ma, chiosa “Jeune Afrique”, tutto ciò non spiega che una parte delle azioni “di un uomo che è al centro di tutti gli sconvolgimenti che ha conosciuto il suo paese da più di trent’anni, ma che si era sempre preoccupato, fino al 17 settembre, di rimanere nell’ombra. A detta sua, egli non aveva intenzione di prendere il potere: se ne è sentito in dovere, con l’unico obiettivo di incanalare la furia dei suoi uomini del Reggimento di sicurezza presidenziale (RSP), inferociti per il fatto che la Commissione di Riconciliazione Nazionale e delle Riforme, emanazione del Governo di transizione, si apprestava a sciogliere tale corpo speciale. Così, “datemi il tempo di calmarli”, avrebbe detto Diandéré ai mediatori africani, prima di promettere nuove elezioni, pur rinviate di oltre un mese. 
In effetti quando gli uomini del RSP hanno occupato i palazzi governativi, mercoledì scorso, Diandéré non era con loro, è comparso dopo: dalla cacciata di Compaoré, un anno fa, egli non controllerebbe più il RSP, non vi ha più un ruolo ufficiale e non gode di alcun privilegio al Quartier generale del RSP, il campo di Naba Koom. Sarebbero gli ufficiali di grado inferiore a dettare le linee di azione del Reggimento; e però si sarebbero rivolti a Diandéré al momento di negoziare il compromesso: dopo tutto, la sua reputazione se l’è fatta, tra colpi di stato e missioni segrete in Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Mali. Un ruolo non secondario nel tentativo di golpe, ad ogni modo, lo avrebbero svolto anche i leader del Congresso per la Democrazia e il Progresso, il partito del deposto Compaoré, soprattutto dopo che il Consiglio costituzionale aveva escluso dalle liste elettorali alcuni candidati apertamente legati a Compaoré e c’è chi nutre forti dubbi che, da qui alle elezioni previste ora per il 22 novembre, tutto fili liscio. Del resto, prima del 17 settembre, Compaoré, dall’estero, aveva più di una volta avvertito che qualcosa sarebbe presto accaduta.

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